Editoriale
2 F. Feliziani Kannheiser
Scene da un matrimonio
Studi
5 M. Belli
Scienze umane e teologia liturgica
10 V. Conti
In opere e in parole
16 G. Pavan
L’attaccamento e la fede
21 L . Paris
Neuroteologia?
26 E . Parolari
Liturgia e compensazione
32 M. Gallo
La riconciliazione:
psicologo low-cost o liturgia?
37 D. Wlderk
La catechesi e i suoi contenuti
42 G. Zanchi
Un’educazione sentimentale
Formazione
47 L . Palazzi – L. Balugani
Ars celebrandi: celebrare con cordialità
6. Presiedere
52 N . Toschi
Una Chiesa, molti doni e ministeri
6. Ministeri istituiti e forma Ecclesiae
58 D. Locatelli
I mestieri della liturgia
6. Il liturgista
63 A . Join-Lambert
La Liturgia delle Ore: preghiera
della Chiesa
6. Dove? Ovunque vivano dei cristiani
Asterischi
68 D. Piazzi
Il Lezionario
6. «Non soltanto in un solo modo…»
71 M. Gallo – G. Tornambé
Sulle spalle dei giganti
Movimento liturgico e psicologia
EDITORIALE
Franca Feliziani Kannheiser
Scene da un matrimonio
Rapporti tra psicologia e teologia
Ho scelto di titolare l’editoriale di questo numero, composto da contributi diversi sul rapporto psicologia, teologia e liturgia, con un’immagine che evoca un’unione, una connessione che può riuscire o non riuscire, ma che rappresenta una realtà del nostro vissuto, quella che muove due persone, con personalità e storie diverse, a condividere il loro cammino e a generare vita. Di matrimonio si parla, in senso figurato, anche per indicare il vincolo tra istituzioni o ambiti di ricerca, ai fini di realizzare una collaborazione proficua per entrambi i componenti. Si può allora parlare di matrimonio tra scienze psicologiche e scienze teologiche? O l’immagine è troppo ardita? Tra le tante psicologie e psicoterapie di cui si potrebbe parlare, sceglierò la psicoanalisi e la terapia che ne scaturisce perché è la strada che meglio conosco, percorrendola ormai da quasi 50 anni. Lo studio si è intrecciato con l’analisi personale pluriennale che mi ha fatto sperimentare l’efficacia di un metodo che cura attraverso la parola, ma soprattutto attraverso l’incontro di due menti che, con responsabilità e ruoli diversi, si lasciano coinvolgere in un percorso originale e unico da cui si può uscire con un nuovo modo di concepire la propria storia, il rapporto con se stessi e con gli altri, il senso della vita.
1. Questo matrimonio non s’ha da fare! I rapporti tra psicoanalisi e Chiesa cattolica non sono iniziati, tuttavia, come è noto, nel migliore dei modi. Lo psicoanalista Leonardo Ancona (2006) ricorda nel suo saggio Il debito della Chiesa alla Psicoanalisi la durissima posizione assunta da rappresentanti e organi della Chiesa cattolica nei confronti della psicoanalisi che si andava diffondendo in Itala. Cosicché Padre Agostino Gemelli ne denunciava il pericolo per la coscienza cristiana e un grave Monitum del Santo Uffizio (15 luglio 1961) proibiva a sacerdoti e religiosi di sottoporsi a un trattamento psicoanalitico. Queste posizioni così rigide si andarono nel tempo attenuando fino alla raccomandazione del concilio Vaticano II di servirsi della psicoanalisi per aiutare preti e religiosi in difficoltà Freud e i suoi allievi, dal canto loro, non espressero giudizi meno rigidi nei confronti della religione e del cristianesimo in generale. Alla base di questo conflitto ci sono posizioni obiettivamente diverse, ma anche disinformazioni e pregiudizi che in parte continuano e da cui è necessario sgombrare il campo, per scoprire con gioia alcuni elementi comuni che vitalizzano l’uno e l’altro ambito di ricerca.
2. Un matrimonio possibile, anzi necessario L’incontro tra scienze psicologiche e teologiche s’impone oggi per una rinnovata consapevolezza della centralità della persona, della sua complessità e dinamica e del suo bisogno di orientamento e di cura nella realizzazione di sé, in un mondo sempre più frammentato e complesso. La presa di coscienza che noi siamo un colloquio, dentro e fuori di noi, come già esprimeva il poeta tedesco Hölderlin e come riafferma la psichiatria fenomenologica, impegna scienze teologiche e scienze umane a ricercare insieme le vie di comprensione e di realizzazione di questa realtà. Essa impegna le scienze umane tra cui la psicologia a comprendere modi e tempi in cui ciascuno di noi cresce nella relazione con se stesso e con gli altri, riconoscendo anche quegli aneliti e quelle esigenze che cercano oltre e che sporgono la persona verso una dimensione trascendente. Già Theilard de Chardin raccomandava: Rivolgendomi ai professionisti della psicoanalisi direi questo: fino ad oggi, e per buonissime ragioni, la vostra scienza si è occupata di far percepire all’individuo, nel profondo di se stesso, impressioni dimenticate, complessi che una volta smascherati ed accettati, svaniscono alla luce del Sole. Tutto ciò va benissimo. Ma una volta compiuto questo lavoro di pulizia e di liquidazione, non è che ce ne sia da fare un altro più costruttivo e quindi più importante? Voglio dire, aiutare il soggetto a decodificare nelle zone ancora poco esplorate e chiarite di se stesso quelle grandi aspirazioni che sono: il senso di irreversibilità, di Cosmicità, il senso della Terra, il senso dell’Umanità. Operazione inversa alla precedente. Psicoanalizzare non per liberare ma per impegnare. Permettere l’introspezione non per dissipare i fantasmi, ma per dare consistenza, direzione e soddisfazione a certi grandi bisogni o chiamate che soffocano dentro di noi (e per le quali noi soffochiamo) se non tradotte e capite. In verità si tratta di una delicata e complicata opera di scoperta poiché in questo campo professore e studente, colui che dirige e chi è diretto, avanzano entrambi a tentoni: lavoro però molto fecondo poiché impegnato a discernere non più ciò che ci lega e ci appesantisce ma le molle più segrete e più generose del dinamismo psichico che ci anima1.
3. Le esperienze umane come preambolo antropologico a un discorso di fede È importante riflettere sul tipo di rapporto che si realizza tra esperienza umana ed esperienza di fede: esse non s’identificano, né si giustappongono. Se l’esperienza umana non può essere né ignorata, né by-passata, ma deve essere riconosciuta e ospitata in tutte le sue componenti nei percorsi di educazione alla fede, allo stesso modo, va riconosciuto che la fede è il dono gratuito di Dio da accogliere e a cui corrispondere in modo sempre più consapevole. Solo in questo movimento di accoglienza- risposta, essa potrà diventare, per il singolo e per la comunità, fermento di vita nuova ed offrire senso pieno e pieno sviluppo, proprio come il lievito che trasforma la massa in qualcosa di nuovo che è il pane. La Chiesa esercita nei confronti di ogni battezzato la sua funzione materna/ paterna quando, riconoscendone i bisogni fondamentali, rispettandoli e rispondendo ad essi, li apre alla dimensione del desiderio, della scoperta e dell’accoglienza del Mistero. Così la catechesi – diventata kairotica – fa risuonare parole di vita sulla vita di ciascuno e l’azione liturgica, attraverso i riti, fa partecipare pienamente – corpo, spirito e mente – al Mistero di Cristo, nel segno del dono, dell’esuberanza, della bellezza.
4. L’accompagnatore sapiente Rintracciare le scritture della vita in cui il mistero di Dio si manifesta, richiede accompagnatori che sappiano percorrere, con consapevolezza e umiltà, i sentieri dell’umano e nutrano un’autentica passione per la vita. A loro si possono indirizzare le raccomandazioni che Rainer Maria Rilke (1910) fa al poeta, quando gli ricorda che per scrivere un solo verso: Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone [...]. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d’infanzia che sono ancora inesplicati, […] a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle [...]. Si devono avere ricordi di molte notti d’amore […]. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati […]. E anche avere ricordi non basta […]. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso2. Perché essere appassionati dell’umano è, in modo misterioso e profondo, accogliere e condividere la passione di Dio per ciascuno di noi.