M. Roselli
Tra pensiero acquisito e strada da fare
Studi
F. Feliziani Kannheiser
Entrare nella vita con mani e piedi
E . Prato
I sensi e la fede
V. Mignozzi
I riti e il vero
P.C. Rivoltella
Catechesi e liturgia nell’infosfera
M. Baldacci – A. Peiretti
Educazione e ritualità in età prescolare
A . Baldi – F. Silipo
Educazione e ritualità nei bambini
M. Belli
Educazione e ritualità nell’adolescenza
A . MaRChi – A. seCh
Formazione liturgica con gli adulti
Formazione
L . Palazzi – L. Balugani
Ars celebrandi: celebrare con cordialità
3. Gratuità
N . Toschi
Una Chiesa, molti doni e ministeri
3. Il rito di istituzione
G . Gerv asoni
I mestieri della liturgia
3. Lo psicoterapeuta
A . Join-Lambert
La Liturgia delle Ore:
preghiera della Chiesa
3. La preghiera di tutti i battezzati
Asterischi
D . Piazzi
Il Lezionario
3. Dare «voce» alla Parola
M. Gallo – G. Tornambé
Sulle spalle dei giganti
3. Jean Daniélou
Segnalazioni
EDITORIALE
Michele Roselli
Tra pensiero acquisito
e strada da fare
A volte ritornano. Può essere questa l’impressione che si affaccia al pensiero di chi legge il titolo di questo numero della rivista. Con il conseguente rischio di lasciarsi prendere preventivamente da una sensazione di “già visto” su argomenti di cui si è già detto tutto, o molto. Non è la prima volta, in effetti, che si cerca di porre mano alla questione del rapporto tra liturgia e catechesi e non solo su queste pagine. «Che cosa si potrà mai dire di nuovo? ». Si potrebbe rispondere in modo lapidario che l’obiettivo non è dire cose nuove a tutti i costi. Più profondamente, ciò che si vorrebbe fare è disporsi a «imparare a vedere il nuovo » (T. Radcliffe), aprendosi al dono dell’avvenire. È questo ciò che questo numero della rivista si propone: fare il punto della situazione di un dialogo non sempre riuscito o cercato, offrire spunti per interpretare il presente e aprire alcune prospettive. I contributi puntuali e fondati di ciascuno degli autori sono, per questo, molto preziosi. La condivisione di tratti comuni assodati e di direzioni verso cui camminare insieme senza ricominciare ogni volta daccapo può essere un vantaggio, almeno perché può fare uscire da logiche binarie – ribadendo ciò che (speculativamente) catechesi e liturgia sono o non sono, ciò che esse favoriscono o non favoriscono – e può permettere di entrare in logiche di dialogo e alleanza. In questo senso la novità che motiva profondamente l’importanza di un ritorno su un tema tradizionale è il tempo che la Chiesa vive. E questo non è solo nuovo, ma anche inedito. Siamo entrati irreversibilmente in un cambio di epoca che è urgente prendere sul serio. L’esodo dalla cristianità segna una reale frattura con il mondo cristiano che fu e postula una trasfigurazione dei modi con cui la vita cristiana può iscriversi nell’oggi del mondo. La domanda per la liturgia e la catechesi, singolarmente e nella loro relazione reciproca, potrebbe allora essere formulata cosi: in che modo esse prendono seriamente in carico il cambiamento d’epoca nel quale siamo immersi, con tutti i suoi corollari, anche pratici? E come questa diaconia educativa e pratica alla fede le riconfigura e le ricolloca anche nella loro relazione reciproca? È relativamente alla possibilità della vita cristiana oggi che queste due azioni ecclesiali sono invitate a cercare il dialogo e la sinergia. Il contesto pluralista e secolarizzato colloca ciascuna delle due non nell’orizzonte della cura della fede (esistente) – ormai non è più così – ma in quello del servizio alla fede che nasce o che chiede di essere rifatta propria, assunta in modo libero e personale. È questo che le sollecita a ricomprendersi e a ridirsi. In che modo esse possono contribuire, anche praticamente, all’immaginazione di contesti vivibili ed ospitali di cristianesimo, in cui imparare – da bambini ma sempre più anche da giovani e da adulti – a credere e a pregare? In che modo esse possono accompagnare la transizione dal sacrale (di un cristianesimo fatto di una realtà fissa che si impone dall’esterno e a cui conformarsi per assimilazione) al simbolico (di una realtà religiosa di cui appropriarsi in modo personale e per convinzione interiore) 1? Una pedagogia didattica ed un approccio concettuale-razionalistico da soli non bastano più. Occorre liberarsi da un immaginario. Veniamo da un passato nel quale la fede cristiana e la pratica liturgica erano evidenze. In quel contesto, la catechesi era considerata propedeutica alla liturgia, si formava per celebrare. L’insegnamento e la spiegazione sembravano i mezzi migliori per accompagnare la vita credente. Si andava dal 1 Cfr. G. Ferretti, Essere cristiani oggi, Elledici, Torino 2011, 50. capito al celebrato. Ma nel nostro tempo, questo approccio intellettualistico è ancora sufficiente? Invertire i due termini del binomio sembrerebbe promettente, eppure ancora insufficiente. Ciò che radicalmente andrebbe scelto è ragionare nei termini di interazione reciproca, di circolarità, di collegamento perché la vita cristiana è un sistema complesso nel quale tutte le dimensioni – simboliche, corporee, intellettuali – lavorano insieme e contemporaneamente. Sul piano teorico questa consapevolezza pare acquisita: da tempo ci diciamo di evitare contrapposizioni, di superare visioni pregiudiziali e autoreferenziali. Sul piano pratico, però, per inerzia o nostalgia, molto resta ancora da fare. Come dice C. Theobald, «nel nostro contesto l’erosione del mondo simbolico e sacramentale mette in luce carenza pedagogica e pratica». Occorre allora praticare strade nuove, perché i linguaggi, le forme e le categorie della vita cristiana rischiano di apparire privi di senso. E questo vale sia per la catechesi sia per la liturgia. Si tratta di un lavoro teologico, culturale e spirituale che nessuno può fare da solo e che richiede il concerto di un’azione ecclesiale2. Non servono anzitutto grandi prese di posizione teoriche, forse bastano piccoli passi concreti, perché ogni nuovo immaginario si costruisce con «piccoli gesti» (T. Radcliffe).