INDICE
Sguardi in pastorale
6. Del buon uso del Messale/2
La liturgia della Parola (A. Carrara)
I nostri modi di dire
36. «Dio ti vede»
1. «Dio ti vede» (A. Carrara)
2. Lo sguardo di Dio (F. Dalla Vecchia)
3. «Dio vede e provvede» (E. Caretti)
Un corpo per pregare.
Un ritiro itinerante per adolescenti e giovani
(R. Laurita)
Dalla 17ª alla 22ª domenica del Tempo ordinario
24 luglio / 28 agosto
17ª domenica ordinaria (A. Landi, E. Bolis, M. Orizio)
18ª domenica ordinaria (A. Landi, G. Canobbio, M. Orizio)
19ª domenica ordinaria (A. Landi, P. Bignardi, M. Orizio)
20ª domenica ordinaria (A. Landi, A. Carrara, S. Toffolon)
Assunzione della Vergine Maria (A. Landi, D. Fidanza)
21ª domenica ordinaria (A. Landi, C. Cremonesi, S. Toffolon)
22ª domenica ordinaria (A. Landi, + G. Ambrosio, S. Toffolon)
6. Del buon uso del Messale/2
La liturgia della Parola
di Alberto Carrara
«Del buon uso del Messale»: è il senso di questa nota, della precedente e di quelle che verranno. Si tratta di considerazioni che non vengono suggerite da un inconfessato desiderio di sacralizzare il Messale, ma neppure dalla voglia di snobbarlo. In fondo, con una battuta banale, si potrebbe riassumere dicendo che il Messale va “usato bene”: è, appunto, il «buon uso». Ora, il «buon uso» del Messale è segnato da quella che si potrebbe chiamare una «rispettosa distanza». «Rispettosa» perché trattasi del libro ufficiale della liturgia della chiesa. «Distanza» perché l’uso non deve ridursi a semplice pedissequa lettura. Si tratta di mettere in opera un “gioco” intelligente tra il testo e il rito.
1. Il “gioco” corretto fra testo e rito L’immagine del “gioco” è intrigante, se intesa non nel significato sportivo del termine, ma nel suo significato meccanico. Dal dizionario Treccani il «gioco» viene definito: Nelle costruzioni meccaniche, piccolo spazio compreso, in un accoppiamento di elementi, tra le due superfici affacciate (per es., tra perno e cuscinetto, tra stantuffo e parete del cilindro), che può essere predeterminato (g. di lavorazione) oppure conseguente all’usura o a deficiente lubrificazione degli elementi dell’accoppiamento: lasciare un po’ di g. al perno; la leva del cambio ha troppo gioco1. L’immagine è intrigante perché, se applicata alla liturgia, suggerisce che lo stile liturgico funziona se le combinazioni sono insieme sufficientemente precise e passabilmente libere. Non ci si deve incollare (due ingranaggi che si sono incollati non girano più) e non ci si deve allontanare (due ingranaggi troppo distanti non si agganciano, non girano e non fanno girare la macchina). La troppa vicinanza soffoca i movimenti, la troppa distanza li rende scoordinati. Volendo, si può “giocare” – in questo caso, anche nel senso sportivo del termine – sulle suggestioni che ci vengono dalla definizione appena citata. A proposito della «usura». Molta liturgia è vittima di una diffusa usura: troppa liturgia spesso è sinonimo di cattiva liturgia: tutte quelle messe che servono – servivano – a riempire spazi e tempi! E a proposito della «deficiente lubrificazione». Molta liturgia manca di spontaneità e di comunicazione: manca una buona lubrificazione (ciò detto, concediamo facilmente che la liturgia è un conto e un cilindro con il suo stantuffo è un altro. Ma le immagini, è noto, per suggerire molto, finiscono per dire poco).
2. «Si reca all’ambone» Rivolgiamoci, dunque, alla liturgia della Parola. Così recita l’indicazione del Messale: «Il lettore si reca all’ambone e proclama la Prima Lettura. Tutti ascoltano seduti. Al termine della lettura, il lettore acclama: “Parola di Dio”» (MR, 320). In questa semplice rubrica, vi sono diversi elementi interessanti. Intanto, all’ambone ci si reca. Si deve salire o spostarsi. Il Messale, in altri termini, suggerisce che nella liturgia in genere, e nella liturgia della Parola in specie, si deve mettere in atto un certo movimento. È una suggestione particolare, ma molto utile e importante. Le nostre liturgie eucaristiche sono statiche. Ci si muove poco, pochissimo, anzi. Si muovono poco i fedeli. Anzi, non si muovono affatto. È difficile, infatti, che i fedeli si muovano, perché sono numerosi (o, forse, erano numerosi) ma soprattutto perché, confinati come sono nei banchi, li si costringe, per forza di cose, a starsene buoni, lì dove si sono seduti. Al massimo si alzeranno, si siederanno, si inginocchieranno… Poi, finalmente, usciranno per fare la comunione. Anche qui dovremmo dire “uscivano”, perché, per via del covid, sono rimasti per lo più confinati stabilmente nei banchi anche durante la comunione. Al di fuori della processione della comunione, comunque, gli unici movimenti previsti sono quelli per entrare in chiesa e per uscirne. La scarsità di movimenti, però, tocca anche coloro che agiscono sul presbiterio. La situazione si è particolarmente accentuata con la riforma liturgica. È noto il disagio, proprio in rapporto con i movimenti previsti dalla liturgia postconciliare. I vecchi presbitèri delle chiese storiche non offrivano grandi spazi. Non li offrivano semplicemente perché non servivano. Infatti il celebrante, nella messa preconciliare, si muoveva poco. Nel presbiterio dagli spazi ridotti, la riforma liturgica ha collocato la sede, il secondo altare, l’ambone. Dove non ci si muoveva, ci si deve muovere. La riforma conciliare, infatti, ci ha portato a capire che i movimenti sono componenti essenziali del “fare” liturgico, il quale non è solo parola e lettura della Parola, ma anche gesto e quindi anche movimento. La conseguenza inevitabile è che i movimenti diventano, per forza di cose, intralciati perché lo spazio, già ridotto, si è ingolfato con la collocazione dell’altare, della sede e dell’ambone. In questo ambito dai movimenti difficili, il Messale indica il necessario movimento del lettore all’inizio della liturgia della Parola: «si reca all’ambone». Non si tratta di un banale spostamento. Il lettore esce dall’assemblea, lascia la sua eventuale sede sul presbiterio e «si reca», sale all’ambone. Il movimento dettato dal Messale significa collocare il lettore nel suo importante ruolo liturgico. Per cui lo spostamento, il “recarsi”, il salire bisogna che lo si veda, che abbia un minimo di rilevanza. L’indicazione del Messale viene disattesa quando il lettore si limita semplicemente a collocarsi, e spesso già dall’inizio della messa, vicino all’ambone, scegliendo la soluzione più comoda e, quindi, la meno evidente. Anche in questo particolare momento della messa, diventa chiaro che la comodità e l’utilità confliggono dannosamente con la bellezza della liturgia. […]