SOMMARIO
Sguardi in pastorale
5. Del buon uso del Messale/1 (A. Carrara)
I nostri modi di dire
35. «Dire le preghiere»
1. «Dire le preghiere» (A. Carrara)
2. Necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai
(A. Gennari)
3. Del buon uso della preghiera quotidiana in famiglia
(R. Laurita)
Pregare con i cinque sensi
(C. Cremonesi)
Dalla SS. Trinità
alla 16a ordinaria
12 giugno / 17 luglio
Santissima Trinità (A. Landi, A. Ghersi)
SS. Corpo e Sangue di Cristo (A. Landi, A. Ghersi)
13ª domenica ordinaria (A. Landi, M. Aliotta, S. Cumia)
14ª domenica ordinaria (A. Landi, P. Bignardi, S. Cumia)
15ª domenica ordinaria (A. Landi, I. Lizzola, S. Cumia)
16ª domenica ordinaria (A. Landi, L. Vantini, A. Ghersi)
5.
Del buon uso del Messale/1
di Alberto Carrara
Il Messale è il mezzo indispensabile per celebrare la messa. È noto che missalis deriva da missa: «Dal latino medievale, ecclesiastico, missale o liber missalis, derivato di missa»1. Anche l’etimologia stabilisce strettamente quel legame.
1. Il libro scritto e la liturgia celebrata
Di fronte a quel grosso libro, tuttavia, come si è concordi nel dire che è indispensabile, altrettanto concordi si è nel dire che non è tutto. Non è tutto perché contiene più di quello che serve per dire e contiene meno delle indicazioni necessarie per fare. Non solo il librone che è posato sull’altare dice soltanto parte di quello che si deve dire e dice soltanto parte di quello che si deve fare, ma soprattutto non fa. La liturgia che, come noto, è un «fare», non può coincidere con un libro. La liturgia, dunque, non coincidendo con il libro, con il libro ha un rapporto molto fluido. Se si dovesse definire quel rapporto in termini spaziali, si dovrebbe dire che esistono liturgie eucaristiche “vicine” al libro e liturgie eucaristiche “lontane” dal libro. Relativamente vicine o lontane, perché esistono sensibilità diverse da parte di chi celebra – celebrante e comunità – ma esistono anche diversità sensibili nelle varie fasi celebrative della messa. Si pensi ai riti iniziali, da una parte, dove le varianti previste dallo stesso Messale sono numerose, e alla preghiera eucaristica, dall’altra, dove le varianti sono minori e dove, fatta una scelta, la libera iniziativa di chi celebra è quasi nulla. Sono tutte verità note, queste, ma proprio perché il rapporto fra il libro e la celebrazione liturgica è fluido, è possibile cercare di individuare alcune costanti. Il libro è grosso, infatti, e ogni celebrazione è una piccola messa in atto del molto che il libro contiene. Per cui diventa logico chiedersi che cosa del molto scritto venga eseguito e con quali criteri. Naturalmente si possono esprimere solo delle sensazioni, impressioni maturate sul campo. E questo, va da sé, è un vantaggio: per chi scrive, che esprime solo sensazioni, e per chi legge, che, trovandosi di fronte a semplici sensazioni, può proseguire in tutta tranquillità con le sue “sante” abitudini. Alla fine, quindi, tutti possono vivere felici e contenti e, soprattutto, liberi: liberi di fare quello che vogliono (la liturgia, però, è fare quello che si vuole o quello che si deve? E chi stabilisce quello che si deve e chi verifica se quello che si deve fare è stato davvero fatto come si doveva? Bei problemi, che nascono anche, proprio, dal libro, il Messale, e dal suo possibile, variegato utilizzo).
2. La regola non scritta della routine
Impressione forte, che riguarda buona parte delle celebrazioni eucaristiche, è che l’atteggiamento dominante sembra essere quello di una certa diffusa assuefazione. La messa tende a essere “sempre quella”. Certo, la messa più bella non è la più stravagante. In una normale messa, tuttavia, anche domenicale, di solito tutto è ampiamente stabilito e prevedibile. In effetti, l’evento liturgico dominante, per un qualsiasi prete e per i suoi fedeli, è
la messa. Un evento che si ripete con ritmi praticamente quotidiani non può che creare abitudini. Con degli evidenti vantaggi: l’abitudine toglie l’ansia e rassicura. Non ci si deve chiedere ogni giorno cosa fare, perché si sa già cosa si deve fare. Ci sono però anche degli svantaggi. La liturgia della messa rischia di apparire un evento sempre più formale, dunque distante dalla vita dei fedeli e della comunità: è il «già dato» e il «già detto». I cristiani moderni, spesso lontani dalla liturgia, rischiano di diventarlo ancora di più e non solo per colpa loro, ma anche per colpa della liturgia. Vale la pena, allora, chiedersi: quali sono le possibilità offerte, esplicitamente o implicitamente, dal Messale e come sono sfruttate o non sfruttate dal celebrante e dalla sua comunità? Quali gli spazi di libertà non occupati? Possiamo dirlo anche in altri termini: verifichiamo se le vecchie rubriche dei messali preconciliari, che stabilivano al millimetro parole e gesti, buttate fuori dalla finestra dalla riforma conciliare, non sono rientrate dalla porta delle abitudini liturgiche correnti che si sono lentamente stratificate.
3. L’abitudine di chiedere perdono
Prendiamo dunque il capitolo del Messale (d’ora in poi: MR, Messale Romano, terza edizione, 2020) che porta il titolo: «Rito della messa con il popolo». È il «comune», quello che in parte, solo in parte, interessa tutte le messe. Si leggono le prime indicazioni e subito ci si imbatte in un tratto vistoso che ritroveremo lungo tutta la messa. Sono le note del canto. Il Messale, infatti, prevede che può essere cantato il segno di croce, il saluto iniziale. Poi le note torneranno nel prefazio, in alcuni passaggi delle preghiere eucaristiche, nella dossologia, al Padre nostro, nelle preghiere «embolistiche» che seguono il Padre nostro, il saluto della pace, i riti di conclusione ecc. [...]