Editoriale
D. Piazzi
Servi inutili
Studi
P. Curtaz Omelie nel Web
P. Tomatis Omelia e emozioni
C. Gallo Omelia tra magistero e Messale
C. Doglio L’omelia «serva» della Scrittura
D. Fidanza Dalle tre letture all’omelia
S. Borello Omelia e comunicazione
F.-X. Amherdt Preparare gli omileti
A. Colzani – F. Dossi Omelie in circostanze rituali: il matrimonio
L. Della Pietra Omelie in circostanze rituali: le esequie
G. Zurra Tre papi, tre stili omiletici
Formazione
A.M. Baldacci – M. Roselli – Ritualità della famiglia 6. Una ricchezza da non dimenticare
F. Coccetti L’espandersi disinteressato della vita 6. Decidere
L. Palazzi – F. Manicardi Corpo, spazio, rito
6. Nutrire
Asterischi
72 . Sirboni I gesti della comunione
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Editoriale
Daniele Piazzi
Servi inutili
Perplesso dall’ascolto occasionale di liturgie nel web dello scorso anno (alcune, non tutte!) e provocato dai dotti contributi di questo numero, sono tentato come Mosè di dire: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua» (Es 4,10). O esistono ancora intrepidi, militanti, coraggiosi, preparatissimi, omileti difensori della sana dottrina e della verità immortale che, come Isaia, scattano in piedi alla voce dell’Eterno, e investiti di una missione messianica dall’alto, impettiti proclamano: «Eccomi, manda me! … Va’ e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure, ma non comprenderete, osservate pure, ma non conoscerete» (Is 6,8-9)?
Penso che il ministero dell’esortazione possa conoscere molte sfumature compresso (o estensibile?) fra il timore di prendere la parola, affinché la Parola vivente diventi vita nel cuore e nella quotidianità dei fratelli, e la sicurezza di chi sa di possedere argomenti immutabili per giudicare il mondo, invece di servirlo. Così dall’altra parte dell’ambone c’è chi ha una fede vigile e resta discepolo e non si accontenta, una fede che sa tenerlo in cammino. Ma c’è anche chi cerca sicurezze altrove in principi morali che assomigliano a tabù, in dogmi di fede immutabili persino nella loro spiegazione, perché l’esperienza di Abramo è difficile da imitare. Forse il ministero dell’esortazione sarà sempre conteso fra il nascondersi del ministro «portavoce» che, come paraninfo, presta la sua voce all’Altro e all’Alto, allo Sposo, e il protagonismo dell’imbonitore che, autoproclamatosi «megafono» dell’Altissimo, vuole vendere la sua merce. E a furia di dire che la sua è la migliore, se ne autoconvince senza averla mai provata, senza esserne mai stato qualche volta discepolo attento, anche se un po’ disilluso o confuso. Così anche il popolo di Dio radunato può mettersi o in ascolto docile della Parola, meditandola nel suo cuore dentro e fuori l’assemblea, o può demandare al pastore la fatica di fare ermeneutica e esigere che sia lui e non Dio a dargli luce per la vita. Penso che il ministero dell’esortazione potrà sempre attingere dal pozzo profondo di chi appena apre bocca in mezzo all’assemblea fa esperienza della sua ignoranza e pochezza. E così, inadeguato e insoddisfatto, si ripro mette di scrutare ancora le Scritture, di invocare la Voce stessa dei profeti, affinché quando parla, la sua bocca parli per la sovrabbondanza del cuore (cfr. Lc 6,45). Oppure c’è ancora chi si accosta a servire la Parola, certo e tranquillo che può attingere al tesoro della sua scienza e si dispone a illuminare, fulgido rappresentante della Chiesa docente, la Chiesa dei fratelli discenti, accecati dall’idolatria e grufolanti nel peccato? Così c’è il fedele che cammina a tentoni e si rallegra quando la Parola, masticata dal ministro, lo interroga, lo sferza, lo esorta, lo rasserena, lo perdona, lo rallegra e c’è chi non si sente mai interpellato e trasforma la Parola e l’omelia nel prontuario di un inquisitore che va a cercare i peccatori seduti nel suo stesso banco. Forse il ministero dell’esortazione potrà rivitalizzarsi, se il ministro si percepirà sempre mancante. Se lui stesso capirà che non si è scaldato il cuore al fuoco della sua esortazione e dell’ascolto delle Scritture, se tornerà a scuola di relazioni, anche di «tecniche» per comunicare e, però, conserverà limpida la fede che la Parola ha in se stessa la sua forza. Oppure c’è ancora chi ha la «scienza infusa» ed è convinto che con la potenza della voce, la chiarezza della dottrina, la logica della scienza teologica, gli effetti speciali delle scienze della comunicazione, si potranno aggiungere alla Chiesa, non nuovi fratelli e sorelle, ma nuovi adepti, obbedienti e imboniti? Così c’è parte del popolo di Dio che ascolta il ministro dell’esortazione e si rallegra di averlo compagno di viaggio che lo prende per mano, affinché insieme trovino la Via, la Verità e la Vita e c’è chi cambia continuamente assemblea perché non cerca né comunione, né nutrimento, né eucaristia, ma un docente addottorato che rafforzi in lui un cristianesimo snob da accademia e non da pubblicano dell’ultimo banco.
Penso che il ministero dell’esortazione potrà sempre attingere alla ricchezza della vita dei credenti, se quando si celebra la nascita o la morte, il peccato o l’amore si sapranno prendere i fili (bianchi o neri, scoloriti o sgargianti) di quelle esistenze e intrecciarli con i fili d’oro di una Parola che «è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Oppure c’è ancora chi ritiene di farsi giudice del fratello e prendere la parola per condannarlo all’eterno supplizio o bea-tificarlo ancora in vita, per calcolo e adulazione? C’è ancora chi è tentato di farsi amici con la falsa ricchezza di una parola che innalza i potenti e umilia i piccoli? O disdegna i sentimenti e preferisce enunciare articoli di fede asettici e freddi? C’è anche chi ascolta la Parola e vuole che come spada penetri la sua vita, affinché il taglio spurghi dolore e male, il male di vivere, e si lascia ingaggiare nel lungo percorso che porta alla vita che scaturisce dalla croce. E c’è invece chi rifuggirà la sana dottrina per andare dietro a favole artificiosamente inventate, che rivestono la durezza della salita al Calvario con la melassa di devozioni che a lungo andare invischiano il cuore e non lo aprono alla scienza spirituale delle sante Scritture.
Forse il ministero dell’esortazione sarà efficace se saprà tenere l’omelia al suo posto: ponte fra l’assemblea e il suo Dio, che ancora con lei si confida; passerella tra la Scrittura e la quotidianità; corda gettata tra la scarna fede di chi parla e il desiderio di rinsaldarla di chi lo ascolta; passaggio dalla Parola al sacramento, da una storia di gelosia raccontata per non dimenticarla e l’abbraccio gioioso di due amanti, di cui l’una è saziata da una vita incessantemente donata e l’Altro sazia perché è questa la sua eternità, esistere come Colui che si dona: «Così dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi» (Es 3,14).
Invito i lettori a leggere uno per uno i contributi di questo numero. In essi attingeremo alla riflessione, all’esperienza, alla preparazione di fratelli e sorelle che condividono con noi quello che hanno e che sanno. Così la prossima volta che scenderemo dall’ambone, lasciando aperto il libro antico delle Scritture, con negli occhi i volti attuali e forse chiusi di quella assemblea, ci accingeremo a fare memoria del Risorto. Prenderemo ancora pane e vino, ma non depressi, perché risuonerà nel cuore il ‘complimento’ dell’unico Maestro: «Siete servi inutili. Avete fatto quanto dovevate fare» (cfr. Lc 17,10).