Sguardi in pastorale
1. Sognare la comunità cristiana prossima ventura (A. Carrara)
I nostri modi di dire
31. «Il povero è Gesù»
1. «Il povero è Gesù». Povertà imitata, povertà donata (A. Carrara)
2. «Venite, benedetti del Padre mio» (G. Boscolo)
3. Oggi il povero non è Gesù, purtroppo (V.Albanesi)
Celebrazione di preghiera di fine anno
(R. Laurita)
Tempo di Avvento e tempo di Natale
28 novembre 2021
2 gennaio 2022
1ª domenica di Avvento (F. Filannino, R. Laurita)
2ª domenica d’Avvento (F. Filannino, R. Laurita)
Immacolata Concezione (F. Filannino, R. Laurita)
3ª domenica d’Avvento (F. Filannino, R. Laurita)
4ª domenica d’Avvento (F. Filannino, R. Laurita)
Natale del Signore (F. Filannino, R. Laurita)
Santa Famiglia (F. Filannino, R. Laurita)
Maria Madre di Dio (F. Filannino, R. Laurita)
2ª domenica dopo Natale (F. Filannino, R. Laurita)
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RUBRICA
1. Sognare la comunità cristiana
prossima ventura
di Alberto Carrara
Il credente di oggi vede la chiesa intralciata da gravi problemi e fatta bersaglio di numerose accuse. Più il presente è così e più il credente sente necessario volgersi verso il futuro. Guardare al futuro mentre il presente preoccupa, può sembrare una fuga, consolatoria e ingannevole. Ma può essere anche il semplice dovere di chi si chiede come sarà la comunità nella quale vive e nella quale crede. La domanda sul futuro è l’inevitabile conseguenza dell’impegno nel presente. Naturalmente, quello che si propone qui non è la visione organica di una chiesa del futuro, ma un insieme, ampiamente occasionale, di sensazioni che partono da quello che la chiesa è oggi, per immaginare qualcosa – solo qualcosa – di quello che sarà domani.
Il distacco dal passato
La chiesa che verrà dovrà, ovviamente, “prendere atto” di quello che c’era, per costruire, poi, se possibile, qualcosa di nuovo e di diverso. Intanto, la prima constatazione, semplice ma necessaria proprio perché semplice, è la presa d’atto dell’assottigliamento delle comunità cristiane. Le comunità cristiane sono sempre meno numerose: meno gente partecipa alle celebrazioni liturgiche, meno gente si impegna, meno gente si sente parte della comunità ecclesiale. La prima esigenza, dunque, è quella di prendere atto che è così. Altrimenti la comunità cristiana potrebbe correre il rischio di svenarsi soltanto per tenere in piedi le strutture, le tradizioni, gli impegni sociali del passato. Il che è facilmente comprensibile, perché tutto quello che la storia, spesso ricchissima, di molte comunità cristiane ha costruito è un patrimonio che ha dato una fisionomia alle comunità e ha creato profondi legami con il territorio. Viene in mente l’enorme numero di strutture, chiese, oratori, scuole, istituzioni assistenziali… E poi la rete fitta di eventi liturgici, sociali, sportivi, ricreativi… Fino a un passato recente era possibile tenere in vita quel patrimonio perché le comunità erano mediamente ricche di risorse umane ed economiche. Quel patrimonio, spesso, rimane e resta talvolta inalterato. Nel frattempo, però, è diminuita la compagine delle persone che lo gestiva e sono diminuite le risorse economiche. La situazione che si delinea è quella di una struttura sovradimensionata che chiede molto lavoro ai – relativamente – pochi rimasti ad animarla. La situazione non crea solo stanchezze a chi deve sopportare lo stress dei troppi impegni, ai preti in particolare, ma rischia di elaborare una situazione di chiesa incerta. Le strutture e le cose da fare nella chiesa hanno sempre una destinazione pastorale, sono “per” uomini e donne che credono e “per” tutti coloro che in vari modi interagiscono con la comunità cristiana. Non è facile l’equilibrio fra le energie spese per tenere in piedi la struttura e quelle per farla funzionare a favore della gente che la intercetta. Se le prime prevalgono sulle seconde, la chiesa rischia di snaturarsi. E potrebbe perfino prendere corpo un paradosso singolare: le ricchezze della chiesa di ieri diventerebbero la sua povertà di oggi. La chiesa sarebbe meno chiesa, comunità chiamata a servire gli uomini, perché impegnata a servire se stessa.
La chiesa di domani potrà nascere solo se saprà sempre chiedersi che cosa è essenziale, per tornarvi continuamente e per tagliare coraggiosamente quello che non lo è più.
La chiesa minoritaria perché chiesa
La situazione della chiesa passa sempre, immancabilmente, dai numeri. La chiesa è piccola, fatica a sentirsi chiesa, è diventata, talvolta, povera di presenze e di impegni. La preoccupazione del numero è antica e inevitabile. Soprattutto oggi si tocca con mano che più si va al cuore del Vangelo più si rarefà il numero di quelli che ci credono. Il cristianesimo sociale e l’impegno caritativo dei cristiani sono capiti da tutti, anche da quelli che lo contestano. La figura di Gesù e, in particolare, la risurrezione è capita e accolta da pochi1. Se si immagina l’universo cristiano come un sistema di cerchi concentrici, con al centro l’euangélion della morte e risurrezione di Gesù, e nei cerchi più larghi le strutture ecclesiastiche, quelle caritative, le istituzioni culturali, le realizzazioni sociali… si dovrebbe constatare che i cerchi larghi sono i più affollati, nei cerchi centrali, stretti e strettissimi, c’è solo il piccolo gregge (cf. Lc 12,32). Lo specifico cristiano è impegnativo, infatti. Le ragioni di questo sono tante. La più immediatamente percepibile che oggi si avverte a pelle nelle comunità cristiane, prima di ogni indagine in profondità, è questa: in un sistema di comunicazione rapidissimo e superficiale, l’annuncio cristiano appare soprattutto complesso. Dio uno e trino, Gesù uomo e Dio, la chiesa […]