INDICE
Editoriale
2 M. Gallo
Un’evangelizzazione paradossale
Studi
4 M. Roselli
Credenti non praticanti
10 L . Girardi
Riti senza vita?
15 V. Mignozzi
La grazia di ricominciare
21 G. Laiti
Generare e lasciar partire
27 A . Mastantuono
L’erranza e la vita
32 D . Cravero
Legarsi, lasciarsi, essere lasciati
37 S . Morandini
Compatire ed appassionarsi
42 M. Belli
Il valore della finitezza
48 E . Borg na – M. Gallo
Il linguaggio della fragilità
Formazione
54 A .M. Baldacci – M. Roselli
Ritualità della famiglia
4. In gesti e parole
60 V. Leone
L’espandersi disinteressato della vita
4. Raccontare
66 L . Palazzi – F. Manicardi
Corpo, spazio, rito
4. Riconciliare
Asterischi
72 S . Sirboni
I luoghi della celebrazione
Segnalazioni
76 M. Magoni
Antiquum ministerium
77 M. Gallo
L’epoca dei riti tristi
Editoriale
Marco Gallo
Un’evangelizzazione paradossale
Editoriale
1. Un necessario paradosso
Il titolo di questo nostro numero è tanto chiaramente improprio, quanto immediatamente comprensibile. Gli storici futuri avranno buon gioco a documentare la grande generosità con la quale, usciti dall’illusione della societas christiana, le Chiese occidentali hanno tentato di non dare per scontata la fede: in pratica nessuno oggi è accolto alla celebrazione dei sacramenti (tutti?), senza che vi sia un’offerta di annuncio, catechesi, momenti di fraternità e spesso di celebrazioni intermedie preparatorie che già solo alcuni decenni fa non erano richieste (si pensi in merito a quanto l’analogia del catecumenato è applicata agli altri percorsi sacramentali, come ad esempio il matrimonio o addirittura i voti e il ministero). Eppure, quasi tutte le pratiche delle comunità cristiane in Italia oggi si svolgono con persone sì iniziate, ma che generalmente mostrano di dar forma alla propria coscienza senza riferimento alla fede e all’annuncio evangelico. Evangelizzare chi è stato iniziato resta dunque un paradosso, ma anche un’innegabile necessità, una responsabilità o, meglio, una gioia piena di opportunità.
2. Il cambiamento d’epoca e la dura liturgia
Il tema del nostro fascicolo è dunque quello messo potentemente a tema da Evangelii Gaudium e, prima di essa per l’Italia, da diversi altri documenti, tra i quali emerge ancora sempre l’ottimo Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004). In questo necessario atto di consapevolezza della parrocchia di aver trascurato la missione e l’evangelizzazione, la questione della celebrazione risulta ancora poco approfondita, nel pur già notevole materiale a disposizione. Ad essa, cioè, si arriva quasi sempre troppo tardi, come applicazione di ragionamenti fatti altrove, senza saper coinvolgere il rito sin dall’inizio. L’azione invece c’è da sempre e dice in modo infallibile e spesso impietoso chi siamo: nella pratica celebrativa finiscono le astrazioni, confliggono le differenze, emerge l’unica cosa che c’è davvero.
3. La doppia violazione:
troppo tardi e quasi solo
come contenitore
La celebrazione dei sacramenti maggiori non ha come finalità l’evangelizzazione, perché per sua natura essa dà forma a ciò che è nato altrove e non può essere piegata senza ferite ad una finalità di annuncio. In questo senso, abbiamo fatto abbondante esperienza della sterilità di riti spiegati e strumentalizzati per buoni fini pedagogici. Questa stagione si prolunga ancora con effetti via via più disastrosi, perché normalmente dà luogo a riti sgraziati e pesanti, che l’uomo digitale vive con crescente ripulsa. Insieme a questa diffusa distorsione, proviene dalla stessa debole base teorica il fatto che il vasto mondo umano della ritualità non sia tenuto in conto sin dall’inizio nelle pratiche di annuncio. L’esperienza simbolica e rituale è invece così evidentemente pervasiva che senza di essa non si può descrivere il vivere umano nella sua mappa fondamentale. Non è possibile percorrere il seguente elenco esperienziale senza collegare infiniti riti: 1. generare e lasciar partire; 2. errare; 3. legarsi, lasciarsi ed essere lasciati; 4. appassionarsi e compatire; 5. vivere la fragilità ed il proprio morire. Questa nota mappa sarà ripercorsa dal nostro fascicolo per notare quanto essa sia innervata di ritualità umana, in dialogo con una possibile liturgia cristiana.
4. Sempre in due direzioni
Vorremmo coinvolgere ora il lettore in un percorso che aiuti a mostrare che cosa significhi che il mondo rituale cristiano è quell’azione dentro la quale la nostra umanità prende forma evangelica. Percorrendo la mappa che abbiamo appena evocato ci si deve muovere sempre almeno in due direzioni: dall’ascolto della realtà (dentro cui sta anche il risuonare della Parola) all’ars celebrandi e dall’obbedienza al gesto liturgico alla forma della coscienza cristiana.
L’ars celebrandi, cioè, può affinarsi solo a costo di aver percepito quali soglie rituali sono a disposizione nel momento in cui il gesto liturgico cristiano si offre. Celebrare degnamente le esequie o la benedizione di un ammalato, ad esempio, non si gioca evidentemente solo nella competenza sul rituale, ma a partire da ciò che il libro liturgico necessariamente sottende e cioè da quel complesso e sempre mutevole modo in cui le donne e gli uomini oggi, per restare nell’esempio, vivono la morte e la malattia. D’altra parte, se il celebrare cristiano è ricevere forma, diventare quell’umanità evangelica che ancora non siamo (e mai saremo compiutamente), allora dal gesto rituale si ascolta sempre un appello a togliere se stessi dal centro, a lasciar essere il Regno, ad obbedire. La nostra rivista si misura dunque in questo numero con categorie più tipicamente utilizzate dai catecheti negli ultimi anni, proprio per dar seguito alla direzione originaria del movimento liturgico. Solo dando spessore alla teologia e alla pratica liturgica in questo senso si può finalmente uscire dall’uso addomesticato del rito dal quale il movimento liturgico ha inteso uscire: solo precetto, ambito accessorio, gesto spaccato tra dinamiche interiorizzanti o esteriorizzanti. La sfida è ancora tutta da giocare.