INDICE
Introduzione: di Chino Biscontin .
1. La situazione
1.1 La relazione con Gesù qualifica
in modo essenziale la fede cristiana
di + Franco Giulio Brambilla
1.2 In che direzione va oggi il senso di Dio
di Lucio Pinkus .
1.3 La chiesa: via od ostacolo nel rapporto con Gesù?
di Paola Bignardi .
1.4 Il capitolo IV di Christus vivit
e l’accesso emotivo a Gesù
di Paola Bignardi .
1.5 Predicare Gesù, il Cristo. Una riflessione
a partire dall’impianto catechistico in Italia
di Roberto Laurita
2. Noi predichiamo Gesù Cristo
2.1 Noi predichiamo Gesù Cristo crocifisso e risorto
di Sergio De Marchi .
2.2 Annunciare Gesù come Salvatore, oggi
di Maurizio Gronchi .
2.3 Predicare Gesù manifestazione di Dio
di Massimo Epis
2.4 Parlare di Gesù come mediatore
tra Dio e gli uomini
di Roberto Del Riccio .
2.5 Annunciare Gesù vivente nella gloria
di Simona Segoloni Ruta
3. Come predicare Gesù Cristo
3.1 Paolo predica Gesù Cristo
di Antonio Landi
3.2 Come san Giovanni predica Gesù
di Andrea Albertin .
3.3 Atti 2 come esempio di predicazione su Gesù
di Alessandro Gennari .
3.4 Come parlare dei miracoli di Gesù
di Paolo Mascilongo
3.5 Come parlare del “fallimento”
della missione di Gesù
di Severino Dianich
3.6 Come parlare della risurrezione di Gesù, oggi!
di Andrea Toniolo
3.7 Come parlare della presenza di Gesù, oggi
di Antonio Montanari
3.8 Il predicatore consapevole
di parlare di Gesù alla sua presenza
di Luciano Manicardi .
3.9 Uno stile celebrativo
che apra all’incontro con Gesù
di Paolo Tomatis
INTRODUZIONE
di Chino Biscontin
Quando ci siamo riuniti, come Consiglio di Direzione di questa nostra rivista, la situazione in cui ci trovavamo non lasciava nemmeno lontanamente prevedere quello che sta accadendo ora, mentre scrivo questa introduzione. Siamo nel pieno di una terribile pandemia che fa ammalare, uccide, altera le relazioni, interviene sui servizi, sulla produzione di beni, sul contesto sociale, sulla politica, sulle relazioni internazionali. Tutto fa temere che la pandemia non cesserà molto presto, anche se schiere di ricercatori stanno indagando e lavorando su interventi farmacologici e su possibili vaccini. Anche la predicazione ha dovuto e deve ancora fare i conti con questo scombussolamento, che sta facendo traballare certezze, modi di pensare, scale di valori, e che inoltre interviene sui nostri sentimenti, anche quelli più profondi. E non solo la predicazione, ma l’intero apparato di ricomprensione del Vangelo e delle sue conseguenze va rimesso in cantiere. Solo per fare qualche cenno: sarà urgente ricomprendere alla luce dell’insegnamento e del comportamento di Gesù in che cosa consista la “salvezza” di cui parliamo: bisognerà dilatare di molto la comprensione. Sarà urgente una robusta riflessione su come dobbiamo andare verso Dio: con quali immagini, a partire da quali esperienze, con quali comprensioni. Il che esigerà una maniera diversa di attingere luce dalle Scritture. Dal punto di vista della comprensione della Chiesa, della sua missione, di
come svolgerla, di come comprendere quella che chiamiamo salvezza e altro ancora, bisognerà dilatare gli orizzonti tenendo conto che l’azione di Dio riguarda il Regno annunciato da Gesù, che va oltre i confini della Chiesa, che in essa può anche trovare ostacoli e che riguarda quei beni ai quali nella Chiesa non si dà sempre un’importanza adeguata. Che dire nel frattempo? La prima cosa che mi viene in mente è che dobbiamo contrastare con decisione ed energia chi afferma che questa pandemia è un castigo di Dio e che Dio, dunque, avrebbe in essa una parte attiva. È una bestemmia e come tale va trattata (papa Francesco). Così pure va contrastato ogni tentativo di andare a trovare nella Bibbia “profezie” riguardo a ciò che ci sta capitando, quasi che la cosa fosse prestabilita e programmata da tempo. La seconda cosa è che questa infezione è un male e come tale va considerata. Sarebbe stato meglio che non ci fosse mai stata. Non condivido il modo di parlarne di chi la interpreta come un’occasione positiva, un’opportunità di un qualche bene che ci è data. Dal male può venire solo del male che, se trova in noi una qualche alleanza, anche sotto forma di minimizzazione o di mancato impegno per farvi fronte, può anche dilatarsi e diventare un male ancora più grande. Perciò non è ben indirizzato lo sforzo di chi cerca un senso a ciò che ci sta capitando, se per “senso” si intende qualcosa di positivo, di buono. Il male può essere simboleggiato dal buio, e dal buio non ci si può attendere luce. Stiamo vivendo una sfida radicale e le domande sensate sono quelle che indirizzano la ricerca, le motivazioni, l’azione per farvi fronte, per far indietreggiare l’immensa valanga di male che ci è rovinata addosso. Certo, essa pone delle domande fondamentali sul piano della fede, che possono essere riassunte in queste due: Perché Dio permette tutto questo? Perché Dio non interviene? Se con la parola “permette” si intende che Dio avrebbe potuto impedire tutto questo e non lo ha fatto, si ritorna alla bestemmia di cui sopra. Per cui la vera domanda è la seconda: Perché Dio non è intervenuto e non interviene?
La risposta va cercata nell’interazione tra la libertà di Dio e la libertà degli uomini. Dio ci ha creati liberi e lealmente rispetta la nostra libertà. E noi possiamo usare male la libertà, provocando il male. Da parte di Dio, il suo impegno è la sua azione nelle nostre coscienze mediante lo Spirito Santo. Qui sta l’impegno di Dio nel passato e nel presente: ispirazione, sostegno, ripresa in seguito a delle nostre scelte sbagliate, perdono e non castigo, e così via. Chi ha occhi di fede, vede il suo impegno in questo senso, che è immenso, fedele e costante: la Bibbia è testimonianza di questo. Vedo l’impegno di Dio nell’eroismo sorprendente che stanno dimostrando medici, infermieri, tecnici, dirigenti e tanti altri ancora per curare i malati, per frenare il contagio, per trovare un rimedio. Non è casuale che papa Francesco continuamente volga e faccia volgere lo sguardo in quella direzione: la trasparenza verso Gesù di tutti costoro, agli occhi di chi vede, è del tutto evidente. L’impegno di Dio che qui si vede, mediato dalle libertà di chi, consapevole o meno, lo asseconda, è davvero grandissimo. Un’ulteriore domanda potrebbe essere questa: affidando la libertà agli uomini, Dio non ha corso un rischio troppo grande? Chi risponde di sì a questa domanda deve assumersi la responsabilità di dire che sarebbe stato meglio non creare gli esseri umani. Personalmente rifiuto questo modo di pensare, perché lo vedo suggerito dal male e non dall’amore verso la gente o da un modo corretto di pensare Dio. La misericordia di Dio consiste nel restare fedele all’umanità anche quando molti uomini fanno del male, e questa sua fedeltà nel volerci bene nonostante tutto ispira un grande amore per l’umanità, nonostante tutto. È quello che si vede nei medici, negli infermieri e in tutti gli altri di cui ho parlato. Il male nel quale ci troviamo, oltre che nell’inevitabile fragilità di esseri limitati quali noi siamo, ha le sue radici in comportamenti sbagliati da parte nostra. Alcune di queste radici possiamo vederle e le abbiamo viste anche in queste settimane negli opportunismi e nei calcoli fatti sulla pelle delle persone, da parte di chi ama il proprio denaro e il proprio potere più di quanto
abbia a cuore la sorte degli altri. Altre radici si infilano dentro i meandri dei secoli, dentro la vastità dell’umanità, e non sono individuabili. È su questo punto che il male che ci sta colpendo sfida la nostra reazione. È dalla nostra reazione, non dal male, che può venire un qualche bene. Reazione di riconsiderazione generale del nostro modo di pensare, di valutare, di decidere, di comportarci. Ma su questo punto mi pare che le riflessioni si moltiplichino e che molte di esse vadano nella direzione giusta: riconsiderare il nostro rapporto con Dio, riconsiderare il rapporto tra di noi, riconsiderare il rapporto con l’ambiente naturale, i rapporti sociali, politici, internazionali. È certo che una fede limpida, vissuta con sincerità e lealtà, riflettuta responsabilmente ha molti doni da fare. Anzitutto quello della bontà disposta a pagare un prezzo alto per il prossimo, il rispetto rigoroso per gli altri in tutti i rapporti sociali, una speranza che non viene meno anche in mezzo a tante difficoltà, pericoli e di fronte alla paura. Dio non ha impedito quel male terribile che è stata l’uccisione di Gesù; ma egli l’ha sostenuto, perché avesse la forza di consegnare agli uomini il proprio insegnamento, con le parole e con l’esempio, e con esso un’apertura totale alla fede in Dio. La sfida «scendi dalla croce» è sulla bocca di chi non amava e non capiva Gesù, e non era aperto a Dio. Naturalmente va escluso che l’uccisione di Gesù, in quanto male, sia stata voluta e programmata da Dio, come “castigo” per i peccati degli uomini. Non è l’uccisione di Gesù che manifesta l’opera di Dio, al contrario manifesta il suo rifiuto; è la volontà di Gesù di portarci il dono che Dio aveva messo nelle sue mani, dono indispensabile perché la storia degli uomini non fosse un insensato cumulo di cattiverie e di vittoria del male nelle sue mille e mille forme, che lo ha portato a non tirarsi indietro quando per farlo si esponeva a rischi mortali; l’opera di Dio si manifesta in questa eroica fedeltà nella bontà di Gesù. Un’ulteriore possibile domanda riguarda i miracoli. Dio li ha compiuti, Gesù li ha compiuti, attraverso i santi sono avvenuti. Perché Dio non usa i miracoli? È una domanda alla quale non
trovo risposta, dato il fatto che i miracoli non risultano la maniera ordinaria di Dio per darci una mano, ma “segnali” che, nonostante tutto, la nostra situazione non gli è sfuggita di mano. In questo senso non vedo i miracoli come qualcosa di “magico” che noi possiamo provocare, se siamo capaci di realizzare certe condizioni; né vedo in essi una linea logica che ci possa far intravedere come afferrarne la forza. Rimangono unicamente nelle mani di Dio come “segni”. Alla fine, come tutti gli interrogativi posti alla fede dal male, qualunque esso sia, la speranza ci è data dalla partecipazione del Figlio di Dio alle nostre tragedie umane e dalla risurrezione di Colui che era stato crocifisso: aveva affidato la sua vita nelle mani del Padre prima di spirare, quelle mani si sono dimostrate affidabili. Il “miracolo” della risurrezione di Gesù è il “segnale” supremo che, anche quando siamo immersi in un male più grande, anche quando dobbiamo affrontare la malattia, anche quando si affaccia la morte, possiamo dire a Dio: «Padre, nelle tue mani è la mia vita». È questo l’atto più alto, più limpido e supremo della fede: un totale affidamento a Dio, cosicché non vi sia più alcuna ombra tra lui e noi. Personalmente fra le tante immagini che mi aiutano a pensare Dio nella fede e a pregare, è il vederlo come un’immensa, infinita risorsa di positività: di vita, di amore, di coraggio, di speranza, di perdono e di tutto ciò che è umanamente bene, di tutto ciò che può far fronte a ciò che è umanamente male. Gesù, il Figlio di Dio sorto come uomo in mezzo a noi, partecipe leale della nostra esistenza, anche nella sua esposizione alla sofferenza, anche nella sua esposizione alla morte, lui come rivelazione suprema di chi Dio vuole essere per noi e di chi noi siamo per lui, lui come Signore risuscitato da Dio e vivente, lui personalmente è la nostra “salvezza” nel senso più pieno della parola, in tutte, proprio tutte, le dimensioni in cui come esseri umani abbiamo bisogno di essere salvati.