Editoriale: Tra destino e destinazione
FRANCO GARELLI
Fine o compimento? La morte e il morire nell’opinione degli italiani
PATRIZIO ROTA SCALABRINI
Attesa e forme di compimento della vita. Una panoramica biblica
ALESSANDRO RAVANELLO
Il ritorno dei Novissimi nella riflessione teologica
GIOVANNI ANCONA
La visione religiosa popolare della vita oltre la morte alla prova del dogma
MAURIZIO ALIOTTA
Il discorso sui Novissimi in un contesto plasmato dalla scienza
FRANCESCO BRANCATO
Compimento dell’uomo e della storia nella parusia di Cristo
GIACOMO CANOBBIO
Destinati alla beatitudine. E il fallimento?
LUIGI GIRARDI
La memoria dei defunti nella celebrazione eucaristica
Invito alla lettura (Gianluigi Pasquale)
In libreria
Indice dell’annata 2019
Tra destino e destinazione
Il tempo del memento mori è ormai lontano, appartiene a un’altra epoca. Questo almeno secondo uno studio recente sull’atteggiamento degli italiani nei confronti del pensiero sulla morte e gli interrogativi di fondo sull’esistenza. Circa la metà della popolazione riflette sulla morte o sul morire solo saltuariamente, in occasione della perdita di persone care o di figure con un ruolo significativo nel proprio percorso di vita; l’altra metà si divide tra coloro che vi pensano spesso e quelli per i quali, invece, il tema esula dalle preoccupazioni ordinarie. Una situazione analoga si riscontra in merito al tema di questo fascicolo: i Novissimi, termine latino con cui nel linguaggio della teologia cristiana si indicano le quattro realtà definitive che attendono gli esseri umani: morte, giudizio, paradiso e inferno. Non si può dire che queste realtà siano oggetto di un diffuso oblio nella nostra cultura, si tratta però di una materia che assume sempre più i tratti di una realtà nebulosa, difficile da immaginare e da rappresentare. Anche tra i credenti regna spesso l’incertezza su cosa vi sia dopo la morte e non mancano dubbi sulla credenza che ogni uomo risorgerà alla fine dei tempi, sul fatto che la storia umana si concluderà con un giudizio finale e se vi siano o meno il paradiso e l’inferno. Tutto ciò influisce sul modo in cui i credenti affrontano la morte e l’uscita di scena dalla vita terrena, ma anche su come essi vivono l’esistenza quotidiana e definiscono gli orientamenti di fondo che ispirano le grandi scelte della vita. La riflessione teologica si è interrogata sulla destinazione definitiva dell’uomo e il trattato De novissimis ne è la risposta. All’indagine storica, però, non sfugge, come nel corso del tempo, questa dottrina abbia conosciuto alterne fortune: dopo un lungo periodo di consenso, in cui l’orizzonte della vita eterna era percepito come “naturale” e i Novissimi erano tra i motivi più ricorrenti nella catechesi e nella predicazione, da più parti cominciarono a sorgere obiezioni e il discorso sulla condizione finale dell’uomo si ritrovò, almeno in certa misura, ai margini del dibattito teologico. Diversi i fattori che hanno contribuito a mettere in discussione la dottrina sulle «cose ultime»: l’affermarsi nella sensibilità comune della mentalità scientifica che guarda con sospetto a tutto ciò che non supera il vaglio dei metodi sperimentali; l’inadeguatezza di certe descrizioni dell’aldilà mediante rappresentazioni fisico-cosmologiche ritenute ormai “ingenue”; in un mondo provato dallo scandalo del male, la resistenza psicologica da parte dell’uomo contemporaneo al pensiero di un aldilà come luogo di pene e tormenti (Alessandro Ravanello). Ciò spiega, almeno in parte, il fatto che il rinnovamento teologico del Novecento abbia dimostrato una certa reticenza nel suo discorso sui Novissimi. Il mutato contesto culturale, però, non rende obsoleto o superfluo il discorso sulle realtà ultime, ma può (e deve) rappresentare uno stimolo ad articolare diversamente la riflessione. In questa prospettiva, si comprende il fascicolo monografico di «CredereOggi» sul tema dei Novissimi, in cui si tenta di raccogliere le provocazioni della contemporaneità, soprattutto quelle che maggiormente invitano a un ripensamento circa il modo di comprendere e comunicare la riflessione cristiana sulla condizione finale dell’uomo dopo la morte. La scelta non è estemporanea, ma si pone volutamente in sintonia con una tendenza che si può descrivere
con le parole del titolo di un contributo del fascicolo: «Il ritorno dei Novissimi nella riflessione teologica». La posta in gioco è alta: non si tratta soltanto di restituire all’escatologia il posto d’onore che le compete nella costellazione delle discipline teologiche, ma anche di salvaguardare l’identità umana e la sua specificità, messa in discussione da coloro che teorizzano la fine dell’eccezione umana rispetto agli altri esseri viventi. Rispetto a tutte le altre specie, infatti, l’uomo si distingue per la domanda circa il suo destino (o la sua destinazione) e la continua ricerca di risposte plausibili ai grandi interrogativi della vita e di ciò che viene dopo. Oltre a questo, è oggi più che mai necessario cogliere la singolarità della fede cristiana e del suo messaggio sulle realtà ultime dell’uomo, in un tempo in cui la scienza propone, quasi senza contradditorio, il proprio paradigma interpretativo dell’umano e del reale, e nel quale forme emergenti di spiritualità (basta pensare al mondo New Age) diffondono risposte che raccolgono l’adesione anche di non pochi credenti, confusi e incerti. Il tema della morte e del morire occupa uno spazio rilevante nel dibattito pubblico, eppure l’argomento non è al centro dell’agenda degli istituti demoscopici o dell’interesse dei ricercatori sociali. A fronte di questa carenza conoscitiva si pone lo studio di Franco Garelli, Fine o compimento? La morte e il morire nell’opinione degli italiani. L’uomo biblico è stretto tra l’esperienza dell’incompiutezza e dell’indigenza e l’attesa del compimento del proprio desiderio. Il compimento sperato assume diverse forme: alcune sono centrate su aspettative intraterrene, mentre altre rivolte al superamento della dimensione terrena e contemplano la prospettiva di una vita dopo la morte. Sulle attese dell’uomo biblico riflette Patrizio Rota Scalabrini, Attesa e forma di compimento della vita. Una panoramica biblica. Il tema dei Novissimi non può essere ignorato né sottovalutato dalla riflessione teologica, perché chiama in causa la difesa dell’identità umana, la singolarità della fede cristiana e il senso dell’impegno del credente
per questa terra e in questa storia. Si tratta, piuttosto, di affrontare il discorso con un nuovo linguaggio, prestando attenzione alle esperienze antropologiche fondamentali. È quanto suggerisce Alessandro Ravanello, Il ritorno dei Novissimi nella riflessione teologica. L’insegnamento dogmatico e la visione popolare circa l’esistenza di una vita dopo la morte si pongono talvolta in dissonanza. Mettere a fuoco i punti problematici e le ragioni di queste differenze è oggi più che mai necessario al fine di elaborare una «pedagogia di evangelizzazione» della visione popolare, in cui siano coinvolte la liturgia, la catechesi e la predicazione. Su questa linea si pone il contributo di Giovanni Ancona, La visione religiosa popolare della vita oltre la morte alla prova del dogma. Dopo il concilio Vaticano II, il discorso sulle realtà ultime (morte, giudizio, paradiso, inferno) ha conosciuto non pochi mutamenti. Trasformazioni culturali e nuove prospettive di analisi richiedono una diversa articolazione della riflessione teologica su questi temi. In modo particolare, le recenti acquisizioni scientifiche hanno prodotto un cambiamento antropologico che pone in questione un certo modo di intendere e proporre l’insegnamento magisteriale sulle questioni “ultime”. Su queste nuove sfide offre una riflessione Maurizio Aliotta, Il discorso sui Novissimi in un contesto plasmato dalla scienza. La chiesa annuncia Cristo morto e risorto e attende la sua venuta finale nella gloria. L’attesa della parusia era molto viva nelle comunità cristiane delle origini, mentre oggi la questione si pone in termini diversi. La riflessione sui Novissimi è in stretto rapporto con l’attesa del ritorno di Cristo, il lievito dell’attesa vigilante e attiva della chiesa, come suggerisce Francesco Brancato, Compimento dell’uomo e della storia nella parusia di Cristo. Il riferimento alle realtà ultime è da intendere non solo come «destino » che determina la vita delle persone, ma anzitutto come «destinazione » alla beatitudine. Se questa è la disposizione di Dio per tutti gli esseri umani, si pone il problema dell’inferno, ossia la possibilità del fallimento della destinazione. Su queste e altre delicate questioni offre il suo contributo di riflessione Giacomo Canobbio, Destinati alla beatitudine. E il fallimento? Il ricordo dei defunti ha un posto stabile nella preghiera eucaristica. Storicamente, questa memoria si è espressa in modalità diverse, ispirate da una certa visione dell’aldilà e dalla percezione della propria indegnità e colpevolezza. La revisione della teologia dei Novissimi e un contesto socio-culturale sempre più sbilanciato sull’aldiquà, però, hanno modificato il modo di vivere la morte e anche di conservarne la memoria. Sul significato del ricordo dei defunti in ambito liturgico si occupa lo studio di Luigi Girardi, La memoria dei defunti nella celebrazione eucaristica. L’ Invito alla lettura, a cura di Gianluigi Pasquale, offre una rassegna bibliografica “ragionata”, segnalando le opere più significative sui Novissimi, tema che la riflessione teologica ha approfondito con numerosi contributi. Al lettore è proposto un percorso attraverso la ricerca più autorevole, con preziose indicazioni sulle caratteristiche peculiari delle opere segnalate. *** Il fascicolo chiude le pubblicazioni del 2019. Come sempre, in questa circostanza, il primo pensiero e la nostra gratitudine va a voi lettori, che anche quest’anno avete condiviso il percorso della rivista, accompagnandolo con la vostra fedeltà e con le numerose testimonianze di apprezzamento per il lavoro compiuto. Ed è sempre a voi, cari lettori, che ci rivolgiamo all’approssimarsi di un traguardo importante: il quarantesimo di «CredereOggi» (1980-2020). Insieme vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito al conseguimento di questo risultato, un’opera che si può definire “sinodale”, frutto cioè di
“un cammino fatto insieme”, da compagni di viaggio che con passione e competenza si sono posti a servizio della comunità ecclesiale, per la crescita nella fede e nell’intelligenza delle cose di Dio e dell’uomo. Dopo quarant’anni il cammino che attende «CredereOggi» è tutt’altro che concluso: vi chiediamo ancora di sostenerci, sottoscrivendo l’abbonamento per il 2020 e facendo conoscere la rivista. Sarà così possibile proseguire nel nostro impegno di riflessione e «divulgazione» dei risultati più significativi della ricerca teologica.
Buona lettura.