Presentazione
1. Il fascicolo che offriamo ai lettori è il secondo riguardante il tema della predicazione. Ci siamo proposti, con quest’iniziativa, di contribuire a stimolare la riflessione su tale aspetto tanto importante per la vita pastorale della Chiesa. I lettori, quindi, troveranno qui altri approcci all’argomento per ampliare la prospettiva, senz’alcuna pretesa di esaustività. Intendiamo prendere avvio dal contributo di CARMELA BIANCO, la quale mette in risalto l’impegno della Chiesa, fin dal Concilio di Trento, per formare efficaci predicatori, ossia “comunicatori della buona novella”, in grado di non incartarsi nelle forme del sermone con le sue implicazioni retoriche, in modo da far emergere la «logica della comunicazione colloquiale in situazione» (p. 74). La formazione dei membri del clero, principali attori della predicazione, è sempre stato un notevole problema: da una parte si riscontra l’obbligatorietà di dover fornire un’adeguata preparazione intellettuale – con solide basi filosofiche e teologiche – ai futuri presbiteri, dall’altra permane l’esigenza di prepararli a saper comunicare in maniera semplice e coinvolgente la Scrittura, da attualizzare “qui e ora”, cogliendo le opportunità da essa suggerite di esporre i contenuti dottrinali e morali. È questo un obiettivo fondamentale della predicazione, in primis della sua forma più praticata che è l’omelia. Bianco, pertanto, individua dei profili di carattere educativo e sociale, facendo ricorso anche al proficuo magistero di papa Francesco al riguardo, affinché la predicazione assuma quell’impronta performativa nella vita del credente. D’altronde, la formazione iniziale degli studi teologici non è sufficiente per affrontare le sfide poste da una società ipertecnologica. L’autrice, in conclusione, conferma la necessità per i ministri ordinati non soltanto della formazione permanente, ma anche di esprimere se stessi come coloro che votano la propria esistenza alla causa del Signore e del suo Regno.
Ciò li renderebbe dei veri educatori che, come Gesù, sono coerenti tra il loro dire e il loro agire: questo è senz’altro il modo per aiutare tutti i credenti di una comunità a vivere la buona vita del Vangelo. 2. Una difficoltà che si coglie dai vari interventi è la crisi della fede in una società frammentata come l’attuale. Anche CARMINEMATARAZZO, dal suo punto di vista, affronta la questione. Dopo aver fatto una lettura previa dei dati offerti dal Nuovo Testamento in termini di linguaggio e di prassi, in particolare i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, egli riflette sul rapporto tra predicazione ed evangelizzazione che lì si evince in misura molto preponderante. L’autore percepisce un altro elemento non trascurabile per conferire vigore alla predicazione: annunciare Cristo con gioia per suscitare la fede. I lettori del Nuovo Testamento, infatti, notano senza dubbio la gioia delle persone che ricevevano l’annuncio del Vangelo, mentre oggi sembra di constatare una certa stanchezza, una scarsa fantasia narrativa e comunicativa nella predicazione che deforma la sostanza del cristianesimo, facendolo apparire come fede della tristezza, della paura, dei non licet. In realtà, il “Vangelo” è di per se stesso non solo “buona”, ma anche “bella” notizia, arrecante gioia di vivere, perché dischiude tante possibilità all’essere umano che l’accoglie; gli unici limiti percepibili nell’annuncio evangelico riguardano proprio ciò che procura la tristezza della chiusura egoistica e della prevaricazione sugli altri. Sulla scorta dell’Evangelii gaudium, pertanto, Matarazzo presenta in sintesi quali sono i compiti che la Chiesa deve assumersi per rinnovare se stessa e la propria missione in questo difficile tempo di crisi. Molto utile è l’articolo di LUCIANOMEDDI, nel quale si aiuta a superare la convinzione che predicazione e catechesi si distinguano per motivi didattici. Egli precisa bene i termini: «Con annuncio si sottolinea l’insieme delle attività di prima proposta della fede cristiana; la predicazione sembra esprimere più la necessità di dare motivazione e difesa, ma anche attualizzazione e contestualizzazione della visione cristiana della realtà […]. La catechesi, infine, prende come suo compito l’accompagnamento della risposta della persona e gruppi umani alla proposta cristiana » (p. 29). Tuttavia, la crisi che colpisce la narrazione cristiana nel contesto moderno impone di ripensarla in chiave catechetico-pedagogica, con la finalità di formare una personalità cristiana in grado di trasformarsi da semplice recettore di un messaggio in trasmettitore. In altre parole, pur continuando a rimanere discepoli, bisogna che si diventi anche missionari che hanno saputo interiorizzare il messaggio e averlo reso centro della propria esistenza. 3. La centralità della Parola, riscoperta nella Chiesa cattolica, non è questione solamente di comunicazione verbale e di messaggi, bensì anche, se non soprattutto, di testimonianza. EDOARDO SCOGNAMIGLIO, nel suo contributo, insiste su tale sfaccettatura. Naturalmente il suo non è un richiamo moralistico. Piuttosto, occorre trovare le risorse per rivalutare la parola nella comunicazione interpersonale, affinché anche la Parola divina venga considerata per quello che rappresenta veramente: la rivelazione del mistero ineffabile dal quale nasce l’obbedienza della fede. Per rivalutare la parola, dunque, non esiste altra risorsa che la testimonianza, in una corrispondenza più stretta tra “gesta e parole”: soltanto così la fede, che nasce dall’ascolto, può essere credibile e performativa nel contesto dei nostri problematici scenari attuali. Scognamiglio, dunque, recupera l’insegnamento della Verbum Domini, l’esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI (30-9-2010), e della recente lettera apostolica in forma di motu proprio Aperuit illis (30-9-2019) di Francesco, che mirano a riprendere e rilanciare le intuizioni profetiche della costituzione dogmatica conciliare Dei Verbum. Non è possibile, in queste righe, enumerare tutte le argomentazioni dell’autore. Pertanto, richiamiamo almeno due elementi. Il primo concerne la riscoperta del senso escatologico della vita e del suo annuncio, pur nell’ebrezza tecnologica in cui siamo profondamente immersi. Infatti, anche in questo tempo il kerygma, la predicazione della passione, morte e risurrezione di Gesù, insieme all’attesa del suo avvento glorioso alla fine dei tempi, non può farci smarrire domande e riflessioni sul senso della vita, la quale non può giocarsi interamente qui e ora, bensì richiede la capacità di ajpokaradokiva (cf. Rm 8,19), ossia di “tendere il collo” per guardare verso l’orizzonte escatologico, dal quale “attendiamo la rivelazione dei figli di Dio”. Il secondo elemento richiama la necessità di farsi colloquium, per essere fedeli a quel Dio che «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2a). Al predicare con arte è dedicato il contributo di ANTONIO ASCIONE. Insistendo sulla necessità di recuperare il senso della parola, della sua [...]