INDICE
Editoriale
2 G. Tornambé
Lex orandi,lex credendi e… lex agendi
Studi
4 M. Augé
L’inculturazione dopo Magnum principium
9 G. Laiti
«La realtà è più importante dell’idea», anche in liturgia
11 G. Drouin
Nuove presidenze, nuova ecclesiologia?
19 A. Grillo
Solo abusi?
24 F. Di Molfetta
Rituali e non rituali:
«Proclamiamo la tua risurrezione»
28 D. Piazzi
Nuova eucologia: sempre un abuso?
32 C. Franco
«O altro canto approvato dall’autorità ecclesiastica»
37 M. Gallo – M. Roselli
Posso inventare riti? Catechesi e liturgia al camposcuola
Formazione
43 M. Roselli – S. Soreca
Formare gli operatori pastorali
3. Fede, liturgia e prassi
50 M. Gallo – S. Sirboni
La Messa e il Messale
3. I molti ministeri nella messa
55 D. Piazzi
«È veramente cosa buona e giusta»
3. La pienezza della gioia pasquale
Sussidi e testi
59 M. Gallo
Benedizione degli zainetti
66 A. Magnani
Celebrare la prima confessione
EDITORIALE
Gabriele Tornambé
Lex orandi, lex credendi e… lex agendi?
Il noto assioma di Prospero d’Aquitania (390-455), Lex orandi, lex credendi, continua a manifestare interesse nell’euristica della teologia. Una prima possibilità di lettura di questo principio va nel senso in cui è costruita l’espressione; l’interpretazione che ne segue è che la legge della preghiera determina la legge della fede. Quest’ultima trovava nell’espressione rituale e celebrativa della chiesa il suo momento fontale: d’esempio in tale ambito sono la proclamazione dei dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione di Maria. Ma esiste anche la lettura inversa che dà il primato all’aspetto dommatico; in questo secondo caso la preghiera si rivelerebbe manifestazione della fede creduta; così troviamo chiaramente affermato in Mediator Dei e in Vicesimus quintus annus. La speculazione teologica ed i documenti magisteriali hanno reso questa espressione di fatto biunivoca, sebbene non manchino, nel dibattito attuale in merito ad essa, i partigiani della prima sulla seconda maniera di leggerla ed interpretarla. La questione rischia di complicarsi quando a questi elementi ne aggiungiamo un terzo, quello della lex agendi o lex vivendi. Questi sono diventati indistintamente espressione della “prassi” della chiesa. Ma di quale prassi si tratta? C’è chi ha interpretato la lex agendi come la dimensione etica indispensabile per ogni azione celebrativa, e chi ha voluto riferirla all’agire liturgico propriamente detto, preferendo dare una colorazione etica specificamente alla lex vivendi. Senza volere entrare nel dibattito sull’uso di una o dell’altra lex, ci domandiamo se la prassi condensata nell’espressione lex agendi/vivendi non possa piuttosto essere interpretata come l’azione pastorale della chiesa nel suo declinarsi ordinario delle comunità diocesane, parrocchiali, religiose. La lex agendi/vivendi, così compresa ed articolata agli altri due elementi dell’assioma del monaco marsigliese, continuerebbe a conservare la validità dell’espressione e, soprattutto, permetterebbe ancora una lettura in entrambi i sensi fuori da ogni fuorviante interpretazione? In effetti, non mancano esempi di chi sostiene che le prassi della comunità cristiana possano essere fonte di riflessione teologica e che siano suscettibili di divenire teologia (pratica): è il metodo che si sono date alcune Università del Nord-America per la ricerca in teologia pastorale. Se consideriamo l’elemento lex agendi/vivendi come il milieu dell’agire e del vivere di una determinata comunità ecclesiale, allora saremmo portati a prendere in considerazione i diversi luoghi e culture in cui è presente la chiesa e non potremmo esimerci dal considerare i relativi processi di inculturazione in cui la fede è tradotta per risultare accessibile, e la celebrazione adattata perché i fedeli possano parteciparvi tutti pienamente. Ci sembrerebbe, allora, che la validità dell’assioma del segretario di papa Leone Magno, arricchito del terzo elemento e letto in un senso come in un altro, continuerebbe ugualmente ad esistere. Ci confortano in tale interpretazione gli sforzi d’inculturazione della celebrazione eucaristica in realtà come lo Zaire o il Brasile, dove non ci stupiamo di riscontrare che elementi culturali caratterizzanti la cultura di questi Paesi abbiano trovato spazio nei messali canonicamente approvati, e come, per ritus et preces, si riveli una teologia del popolo di Dio ed una rinnovata consapevolezza di partecipazione ed esercizio della ministerialità, di cui i documenti conciliari avevano posto le basi. Se, sempre in tale direzione, guardiamo a quanto realizzato dalle diverse Conferenze Episcopali nazionali (o linguistiche), ci accorgeremo come l’adattamento dei rituali abbia comportato l’introduzione di alcuni gesti favorendo una considerevole diversità nei riti che non ha in alcun modo compromesso la celebrazione dell’unico mistero pasquale del Cristo morto e risorto. Non sono forse queste espressioni del felice esito di nuove situazioni ed esigenze pastorali (lex agendi/ vivendi) che, con i tempi necessari per coglierle, chiarificarle ed integrarle, portano alla sintesi di nuovi linguaggi verbali e non verbali (lex orandi) illuminando in modo rinnovato la fede viva professata dall’unica chiesa presente nella pluralità delle comunità ecclesiali (lex credendi), senza negare alcun tratto della verità trasmessa e conservata nei secoli dalla chiesa?