Editoriale
2 G. Ambrosio
Diocesi senza parrocchie?
Studi
6 S. Noceti
«Vino nuovo in otri nuovi»
14 D. Vitali
Laici e ministerialità liturgica
20 D. Gianotti
Assemblee domenicali
in assenza del presbitero
24 M. Baldacci
Il segno - assemblea
alla prova della contemporaneità
Esperienze
30 D. Pesenti
Le équipe liturgiche
nelle diocesi svizzere
34 S. Guiziou
La formazione dei laici
per celebrare i funerali
e un Pardon bretone
Formazione
37 P. Bignardi
Laici nella Chiesa
41 F. Feliziani Kannheiser – M. Roselli
L’alfabeto della preghiera: Il pane
Sussidi e testi
48 P. Chiaramello
Liturgia festiva della parola di Dio
Chiese della riforma
57 A. Zell
«Ciascuno metta il dono ricevuto
a servizio degli altri»
Chiese ortodosse
61 A. Dobos
Assemblee di fedeli senza presbitero
nelle chiese ortodosse
Cronaca
65 G. Tornambé
Abitare – Celebrare – Trasformare
Segnalazioni
_______________________________________
Gianni Ambrosio
Diocesi senza parrocchie?
1. Parrocchia: un solo termine
per realtà diverse
Molti anni fa, quando ero studente
a Parigi, la parrocchia che mi ospitava
aveva più di 42.000 abitanti. Quando
sono rientrato in Italia, insieme all’insegnamento
e altre occupazioni pastorali,
divenni parroco di una parrocchia
di un centinaio. Poi andai parroco in
centro città: la parrocchia era di circa
1.000 abitanti ed era frequentata da
molte persone che non risiedevano nel
territorio parrocchiale.
I pochi cenni personali evidenziano
ciò che sappiamo: il termine ‘parrocchia’
vale per realtà molto diverse.
Una varietà dovuta alla storia, alla geografia,
al tipo di attività prevalente,
in particolare alla capacità della parrocchia
di adattarsi e di trasformarsi.
Con lo stesso termine, si denominano
enti assai diversi, ma ogni singola parrocchia
ha la sua personalità giuridica
pubblica, con la propria iscrizione nel
registro delle persone giuridiche e con
il proprio parroco, in qualità di legale
rappresentante. È evidente la tensione
del dispositivo canonico fra l’immagine
tridentina della parrocchia e la sua
figura comunitaria: «Una comunità di
fedeli che viene costituita» nella diocesi,
recita il Codice di Diritto Canonico
(can. 515). Comunque, la parrocchia,
sorta più dalla vita che dai decreti, è
sempre rimasta in piedi nonostante le
molte crisi e i diversi annunci della sua
morte. Ed è sempre stata legata al territorio,
vicina ai cristiani di quel luogo.
2. Flessibilità e adattabilità
La flessibilità e adattabilità della
parrocchia non è solo una sua caratteristica
fondamentale, ma è anche la
sua risorsa. In un certo senso, la parrocchia
riconosce di essere ‘pellegrina’,
vicina alla ‘casa’ dei cristiani che sono
in cammino verso la ‘casa’ definitiva.
Questo dinamismo è la forza di questa
presenza ecclesiale nel territorio.
Papa Francesco lo sottolinea: «La
parrocchia non è una struttura caduca;
proprio perché ha una grande plasticità,
può assumere forme molto diverse
che richiedono la docilità e la creatività
missionaria del pastore e della comunità.
Sebbene certamente non sia l’unica
istituzione evangelizzatrice, se è
capace di riformarsi e adattarsi costantemente,
continuerà ad essere la chiesa
stessa che vive in mezzo alle case
dei suoi figli e delle sue figlie» (Evangelii
gaudium 28, in EV 29, 2134).
Il ‘riunirsi cristiano’ ha conosciuto
e conosce espressioni differenti lungo
la storia. Tuttavia con una stessa definizione
e con una identica normativa
si caratterizza l’aggregazione del ‘noi’
cristiano in una forma che intreccia la
missione e la realtà locale.
3. Parrocchia e assetto
territoriale diocesano
Facendo leva sulla capacità adattiva
della parrocchia, l’assetto territoriale è
stato oggetto di un esercizio di discernimento
teologico-pastorale che ha
favorito la ricomposizione dei luoghi
di aggregazione dei cristiani. La ridefinizione
del ‘noi’ ecclesiale ha mirato a
configurare diversamente l’assetto territoriale
diocesano: si va dalle unità pastorali,
alle nuove parrocchie, alle comunità
pastorali. Il riassetto ha cercato
innanzitutto di favorire la relazione, la
collaborazione e la cooperazione tra
comunità parrocchiali vicine. Inoltre si
è fatta emergere quella ministerialità
diffusa e concreta, spesso già in atto,
mettendo insieme le diverse risorse di
ogni comunità.
Infine ogni realtà parrocchiale è
stata sospinta ad esprimere la corresponsabilità
dei fedeli laici, chiamati a
dare continuità alla vita della propria
comunità, naturalmente lavorando insieme
alle comunità vicine.
Le motivazioni di questi tentativi,
già fatti o in corso, possono essere sintetizzate
in due istanze: da un lato, vi
è l’istanza pastorale, l’esigenza cioè di
incarnarsi nel territorio, abitandolo e
animandolo con l’annuncio e la testimonianza
del vangelo; dall’altro, vi è
l’istanza sociale e culturale che esige
di tener conto della realtà che cambia
profondamente e rapidamente.
Il significato stesso del territorio
è cambiato: non esiste più ‘la’ parrocchia
com’era intesa e vissuta un
tempo, con i suoi confini e le sue tradizioni,
con la sua chiesa, il suo prete
e i suoi beni.
4. Il cammino fatto
è sufficiente?
Ci si chiede se il cammino attuato
sia sufficiente per le esigenze pastorali
odierne, tenendo conto di tutti i dati
in gioco, dalla riduzione drastica dei
sacerdoti alla diminuzione altrettanto
drastica della popolazione, soprattutto
– ma non solo – in contesti collinari
o montani, come anche dei processi
culturali in corso.
Se la parrocchia è stata capace di
reagire alle sopravvenienti situazioni
critiche con ripetuti adattamenti, sarà
in grado di superare quella che è stata
definita «la fine della civiltà parrocchiale
»?
Il cambiamento che è avvenuto
e sta avvenendo sotto i nostri occhi
pare risultare – a noi, che lo stiamo
vivendo – assai più problematico dei
molti cambiamenti avvenuti nel passato,
forse non meno problematici per
chi li ha vissuti. In ogni caso, anche
rispetto alla questione della parrocchia,
vale l’affermazione molto cara
a papa Francesco, espressa anche nel
novembre 2015 durante il Convegno
ecclesiale di Firenze: «Si può dire che
oggi non viviamo un’epoca di cambiamento
quanto un cambiamento d’epoca.
Le situazioni che viviamo oggi
pongono dunque sfide nuove che per
noi a volte sono persino difficili da
comprendere».
5. Ricalibrare solo
le piccole parrocchie
o ‘la’ parrocchia?
Il discernimento della pratica pastorale
rispetto alle nuove sfide è in
atto da tempo nella nostra realtà italiana.
Ma si può dire che i diversi risvolti
del ‘cambiamento d’epoca’ siano
effettivamente considerati? Si può
ritenere che una qualche riscrittura
della parrocchia, anche sotto il profilo
giuridico, sia stata pensata, non solo in
rapporto alle piccole parrocchie, ma a
ogni parrocchia? Occorre riconoscere
che le realizzazioni attuate, spesso anche
coraggiose, sono ancora tentativi
embrionali.
La forza di una ecclesiologia di
comunione ha fornito le giuste motivazioni
per riformulare non solo
l’organizzazione parrocchiale, ma
l’idea stessa dell’istituzione parrocchiale.
Tuttavia sorge l’interrogativo:
nonostante le correzioni di rotta e
gli ampliamenti del ‘noi’, nonostante
l’appello alla corresponsabilità dei fedeli
laici, quel ‘cambiamento d’epoca’
di cui parla papa Francesco non dovrebbe
comportare una fuori-uscita
dal ‘paradigma clericale’, sotteso al
modello parrocchiale?
Più semplicemente: una certa fissazione
sulle problematiche di vita interna
della chiesa non suscita qualche
perplessità? È certamente doverosa
la riorganizzazione delle risorse sia
umane sia culturali e finanziarie, ma
essa appare limitata e insufficiente.
L’esempio concreto viene dalla mia
diocesi di Piacenza-Bobbio. Con fatica,
si sta cercando di accorpare alle
parrocchie più consistenti quelle che
sono quasi prive di vita comunitaria e
spesso anche della celebrazione festiva.
Si cerca anche di unificare alcune
unità pastorali, oggi già insufficienti.
Soprattutto si cerca di favorire la
convergenza pastorale verso un punto
unitario (un ‘centro’, di solito il comune)
che, all’insegna delle antiche
pievi, sia il punto di riferimento e di
convergenza attorno cui costruire la
vita ecclesiale, senza dimenticare le
parrocchie più piccole.
Insieme a papa Francesco, con onestà
«dobbiamo riconoscere che l’appello
alla revisione e al rinnovamento
delle parrocchie non ha ancora dato
sufficienti frutti perché siano ancora
più vicine alla gente, e siano ambiti di
comunione viva e di partecipazione,
e si orientino completamente verso
la missione» (Evangelii gaudium 28,
in EV 29, 2134). Certamente occorre
attendere i frutti con fiducia e con speranza.
Il pellegrino deve tendere verso
la meta senza soffermarsi troppo sulle
difficoltà che il cammino stesso com
porta. Il recupero della dimensione
pellegrinante delle parrocchie aiuterà
ad alleggerire il bagaglio.
L’istanza missionaria della chiesa –
e dunque delle comunità parrocchiali
in uscita – aiuterà a riscoprire ciò che
è fondamentale per non distrarci in
questioni secondarie. Sempre riconoscendo
che non si dà conversione
pastorale e riforma, se non vi è la
conversione sia personale sia comunitaria.
6. Verso nuove modalità
di appartenenza ecclesiale?
L’azione pastorale che realizza qui
e ora il progetto di Dio nella storia
personale e collettiva ha bisogno di
una riflessione saggia e coraggiosa per
rivedere i limiti del ‘noi’ nella forma
parrocchiale. Occorre superare diversi
ostacoli e aiutare la comunità parrocchiale
a svolgere la missione che finora
ha saputo svolgere.
Da tempo ci s’interroga se l’indubbia
‘crisi’ della parrocchia non sia, almeno
per molti aspetti, il riverbero
concreto della ‘crisi’ del cristianesimo
nella nostra società. Nello stesso tempo
alcuni si chiedono, rovesciando la
prospettiva, se la ‘crisi’ del cristianesimo
non sia anche dovuta alla poca
attenzione della parrocchia (e della
chiesa) al rapporto tra vita cristiana e
territorio/spazio pubblico.
Il contesto odierno è diverso da
quello che in altri tempi ha propiziato
lo strutturarsi del ‘noi’ cristiano in
forma parrocchiale. I due interrogativi,
però, si intrecciano e invitano a tenere
insieme i molti aspetti della stessa
questione. Se risulta difficile rendere
praticabile la forma comunitaria della
fede cristiana in una realtà segnata dal
forte individualismo, appare urgente
riconsiderare seriamente tutta l’importanza
dell’appartenenza alla comunità
ecclesiale nel favorire l’identità
cristiana e contrastare la diffusa crisi
della fede.