EDITORIALE
Dalla polis alla città globale
All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio di una città.
(I. Calvino, Città invisibili. Isidora)
Italo Calvino dedicò alla città, alle sue rappresentazioni e al suo mistero, alle ragioni della sua esistenza e del suo divenire, i racconti che compongono Le città invisibili. Nei racconti che Marco Polo fa a Kublai Kan, imperatore dei Tartari, sono racchiuse, come dice l’autore stesso: «Le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni di un linguaggio; le città sono luoghi di scambio [...] ma questi scambi non sono soltanto scambi i merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi». A quasi cinquant’anni dalla pubblicazione di questo «libro poliedrico» (come le città che descrive) le parole poetiche di Calvino appaiono ricche di numerose suggestioni per comprendere il senso permanente dell’edificare città e vivere come cittadini, come anche capaci di delineare profeticamente l’apparire di nuove figure di città, come avvenuto a partire già dalla fine del XX secolo.
Sempre più la città è la casa in cui abita la famiglia umana. I trend demografici – richiamati, tra l’altro, dal contributo di Italo De Sandre – narrano di un’umanità che concentra gran parte della propria crescita proprio negli spazi urbani, in una dinamica che ne ridefinisce contemporaneamente la forma e il senso.
È tempo allora di ripensare attentamente la città, di tornare a leggerne le dinamiche, di cogliere le nuove sfide che essa pone alle scienze sociali, ma anche alla teologia e alla pastorale. In tale direzione guarda questo numero di «CredereOggi», teso a interpretare alcune delle tensioni che interessano oggi la condizione urbana che viviamo.
Leggere la città
Ogni nuova Clarice, compatta come un corpo vivente con i suoi odori e il suo respiro, sfoggia come un monile, quel che resta delle antiche Clarici frammentarie e morte.
(I. Calvino, Città invisibili. Clarice)
Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato [...] ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre...
(I. Calvino, Città invisibili. Zaira)
Già abbiamo accennato al primo dato che emerge dai diversi contributi: l’umanità è ormai fondamentalmente urbana. È un dato legato, tra l’altro, alla crescita della produttività nel settore agricolo, che ha fatto collassare l’offerta di lavoro in tale ambito, favorendo quindi uno spostamento apparentemente irreversibile verso le città. E così le città crescono: se un secolo fa solo Londra superava il milione di abitanti, oggi sono tante le megalopoli che superano di un ordine di grandezza tale soglia. Vengono così a crearsi ambiti e spazi di vita senza precedenti nella storia dell’umanità, in cui possono attivarsi reti di relazioni e possibilità di incontro assolutamente inedite. Non a caso il meticciato – di persone, di culture, di gastronomie... – si presenta come una delle forme qualificanti della quotidianità urbana contemporanea. Essa, però, si caratterizza anche per l’emergere crescente di problemi per la stessa scala dell’interazione: sempre più la città e i suoi abitanti sono esposti al rischio dell’anonimato e dell’anomia, in una pluralità che spesso si vive accanto senza sapersi relazionare. Non casuale, in tal senso, il diffondersi di una violenza urbana che assume spesso forme quotidiane, sommerse, quasi banali, per esplodere talvolta invece con modalità eclatanti. La città, insomma, è anche luogo in cui più evidente appare lo scarto – in termini di qualità di vita, ma anche, sempre più, di opportunità per migliorarla – tra il centro e la periferia.
E tuttavia pur in mezzo a tali contraddizioni la città rimane luogo critico per interpretare l’umanità di questo tempo ed è davvero essenziale comprenderne l’evoluzione. È nelle città, infatti, che crescono dinamiche culturali, talvolta ambivalenti, ma spesso profondamente innovative (e l’articolo di Claudio Monge orienta a cogliere tutta la complessità di tali dinamiche) e anticipatrici di trends che poi si diffondono a velocità esponenziale. La stessa cultura della comunicazione digitale (su cui si sofferma il contributo di Paolo Benanti) ha proprio nelle città il suo peculiare ambiente vitale, quasi a espanderne l’orizzonte anche aldilà della prossimità fisica, rendendole così costitutivamente globali.
Ma la città vive anche di una propria corposa fisicità, che si manifesta tra l’altro nell’impatto ambientale che essa comporta per il territorio; come evidenzia il contributo di Silvia Mantovani, non è certo casuale che tra le grandi sfide cui devono far fronte i city manager contemporanei – ma anche gli amministratori di piccoli agglomerati – vi sia proprio quella di garantire la sostenibilità di ambienti che spesso sono assai poco ospitali per chi li abita. Forse anche per questo è proprio dalle città che vengono anche proposte e innovazioni per contenere il consumo di ambiente, con soluzioni che talvolta anticipano e ispirano l’azione di governi ed entità sovranazionali.
Non stupisce, dunque, che alla città sia stata dedicata una corposa riflessione negli ultimi decenni, da parte di autori dotati di diverse competenze; le preziose indicazioni per la lettura di Riccardo Battocchio consentono di orientarsi in esse. Neppure stupisce l’attenzione che il tema ha ricevuto dal cinema, come attesta il prezioso sondaggio condotto da Andrea Bigalli ed Eugenia Romano, che spazia da Pier Paolo Pasolini a John Carpenter. Ma si potrebbero pure aggiungere a tali costellazioni le spettrali città future di Philip K. Dick (cf. Blade Runner di Ridley Scott) o della fantascienza cyberpunk, tesa ad anticipare alcune delle tendenze che il presente lascia solo presagire.
Leggere teologicamente...
Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti. Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo.
(I. Calvino, Città invisibili. Tamara)
Il contributo di Sebastiano Pinto medita due icone bibliche che consentono di interpretare anche teologicamente tale complessa realtà: quelle di Gerusalemme e quella di Babilonia. Se la prima porta inscritto già nel nome il riferimento alla pace e alla convivenza, la seconda richiama quella dimensione di negatività caotica già espressa dalla torre di Babele. Se la prima evoca una convivenza accogliente nel segno del diritto, la seconda è connotata dall’esclusione, dalla violenza e dall’oppressione nei confronti del giusto (e la crocifissione di Gesù ne è la manifestazione più nitida).
Eppure, nell’interpretare la realtà della città, la presa d’atto dell’ambivalenza non costituisce l’ultima parola: «Dio ci attende nelle nostre città» ci ricorda papa Francesco, a segnalare che è solo l’immersione nella concretezza ambivalente di tale realtà che consente di fare esperienza di quell’umanità in cui vive il Signore incarnato. Non a caso l’esortazione apostolica Evangelii gaudium al n. 87 parla di una «mistica» fatta «di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio». La concretezza di tale riferimento è del resto soprattutto un modo di dar corpo nel nostro tempo a quell’antropologia relazionale cui faceva riferimento il n. 24 della costituzione conciliare Gaudium et spes, dove ricordava che l’essere umano non può ritrovare se stesso se non nella concretezza della relazione, nel volto dell’altro incontrato.
Nel momento in cui la città si presenta come possibilità di interazione umana, è impossibile non scommettere su di essa. Non stupisce allora la presenza di una corposa riflessione teologica sulla città, presentata nel contributo di Serena Noceti attraverso il riferimento ad alcune figure qualificate. In tale direzione orienta del resto anche la forte presenza di immagini legate alla città nell’immaginario biblico dell’escatologia: la convivenza nella pace al cospetto di Dio si dà in una città, in forma conviviale. L’evoluzione della figura della città, l’emergere di world cities accanto a mega città, il diffondersi di un approccio urbanizzato al vivere sociale sollecitano a un ripensamento complessivo la teologia. In particolare, l’antropologia teologica è guidata a riflettere sul suo oggetto (non un anthropos soggetto individuale al centro, ma un soggetto collettivo e plurale); l’ecclesiologia è invitata a ripensare cosa comporti l’essere chiesa locale e a quali cambiamenti sia condotta la figura aggregativa di base, più tipica dell’esperienza cattolica (la parrocchia pensata sulla base del domicilio); la teologia pastorale è condotta ad assumere una parola profetica sulla città e sulle diseguaglianze crescenti che contrassegnano le megalopoli contemporanee.
... per una prassi rinnovata
Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.
(I. Calvino, Città invisibili)
A Melania, ogni volta che si entra in piazza, ci si trova in mezzo a un dialogo... chi si affaccia alla piazza in momenti successivi sente che di atto in atto il dialogo cambia, anche se le vie degli abitanti di Melania sono troppo brevi per accorgersene.
(I. Calvino, Città invisibili. Melania)
Possiamo allora cercare di comprendere cosa significhi tentare di anticipare in pratiche concrete una tale figura di città. L’ambivalenza che abbiamo rilevato si traduce in invito all’azione, per una presenza nella città che sappia renderla abitabile. Due direzioni vengono esplorate in questo numero: da un lato, le indicazioni pastorali presenti nel saggio di Paolo Asolan, delineate sull’invito di papa Francesco a ripensare le forme dell’annuncio del vangelo centrandole sulle periferie; dall’altro, la riflessione sull’etica civile elaborata da un gruppo di soggetti della società civile e richiamata da Simone Morandini. Si aggiungono poi le essenziali indicazioni di Claudia Manenti sulla rilevanza della forma architettonica in ordine alla vita buona nelle città.
La sfida in cui essi convergono è quella di contribuire a far crescere uomini e donne civili, capaci di concludere alleanze corresponsabili per la cura della città, praticando forme di identità accogliente, costruendo un legame sinergico tra lo spazio urbano e il suo territorio, orientando alla sostenibilità i tempi della vita assieme. Certo, la megalopoli contemporanea non è più la polis greca, in cui l’agorà poteva essere immediato spazio di incontro tra tutti gli abitanti, né il comune medievale con la sua istanza di innovazione legata a pratiche condivise. La sfida è quella di raccogliere quanto tali esperienze hanno da offrirci, per dar loro forma in un contesto diverso, ricco di sfide e di promesse, per costruire buone convivenze in comunità aperte e resilienti.
Perché, come scrive Italo Calvino, parlando di Irene, la città il cui nome è «pace»:
La città per chi passa senza entrarci è una, e un’altra per chi ne è preso e non ne esce; una è la città in cui si arriva per la prima volta, un’altra quella che si lascia per non tornare; ognuna merita un nome diverso, forse di Irene ho già parlato sotto altri nomi; forse non ho parlato che di Irene (I. Calvino, Città invisibili. Irene).
Simone Morandini
Serena Noceti