Estratto:
Questi contributi sembrano implicare la necessità di un nuovo Codice.
Il nuovo Codice di diritto canonico previsto non sarà semplicemente un
maquillage con alcune modifiche e certi cambiamenti qua e là, ma sarà
radicale. Infatti, la questione più profonda del diritto canonico è la
concezione del potere nella chiesa. In quanto istituzione religiosa, il
modo in cui la chiesa comprende il potere che le viene da Dio e gli agenti
e le strutture ad esso connesse hanno bisogno di passare attraverso una
trasformazione radicale. Abbiamo bisogno di iniziare a riflettere sul
potere ponendo altre premesse rispetto a quelle prevalenti nella chiesa.
Se si parte dal rapporto tra Dio e il popolo di Dio in termini di potere,
si potrebbe sperare in un Codice radicalmente trasformato.
Parole chiave: diritto canonico, diritti umani
Editoriale
Il diritto canonico al bivio
Il diritto canonico è uno strumento giuridico pratico che
serve la vita del popolo di Dio. Lo fa fornendo un ordine che
stabilisce diritti, doveri e procedure, in modo che la vita nella
comunità di fede possa svolgersi in comunione, nello spirito
del vangelo e secondo le esigenze di giustizia. Ma non dobbiamo
dimenticare che la comunità dei fedeli è un popolo
pellegrino in cammino, con una fede dinamica che cerca di
approfondire la comprensione della parola di Dio e di metterla
in pratica. Le sfide teologiche, pastorali e spirituali lanciate dal
Vaticano II sono diventate, ovviamente, una sfida alla formulazione
delle leggi per la vita della chiesa. Il nuovo Codice di
diritto canonico promulgato nel 1983 è stato seguito dal Codice
dei canoni delle chiese orientali nel 1990. Dobbiamo riconoscere
l’enorme quantità di lavoro svolto per diversi anni dalle rispettive
commissioni per realizzare questi codici, lavoro che ha
coinvolto un sacco di discussioni, dibattiti, armonizzazioni e
pure compromessi tra posizioni opposte.
Più di tre decenni sono trascorsi da quando il Codice del
1983 è stato promulgato e, durante questo periodo, affrontare
l’esperienza di vita presente del popolo di Dio ha portato
anche a gettare luce su parecchie questioni critiche, fino a
richiedere una significativa revisione, qualche abrogazione e
alcuni emendamenti che corrisponderebbero più strettamente
agli insegnamenti del concilio e ai segni dei tempi. Essi sono
diventati necessari per una dispensazione più attenta della
giustizia e dell’esercizio della libertà. Il grande programma
di aggiornamento messo in moto da papa Giovanni XXIII alla
vigilia del Vaticano II, si applica a tutti i campi della vita della
chiesa, comprese le leggi che ne governano la vita. È lo spirito
di aggiornamento e la sensibilità alle esigenze dei tempi che
cambiano che hanno spinto Concilium a preparare un numero
dedicato alla questione del diritto nella chiesa. Gli articoli della
parte principale di questo fascicolo sono divisi in tre sezioni:
la prima considera storia e princìpi; la seconda evidenzia alcune
aree che richiedono riforme urgenti; e la terza affronta delle
questioni applicative.
Il primo contributo, di Wim Decock, scritto da una prospettiva
storica, riconosce il contributo importante che il diritto
canonico ha dato in passato al bene della chiesa e mette in evidenza
pure la sua influenza sullo sviluppo del diritto civile. Il
canonista brasiliano Jesus Hortal esamina criticamente in che
misura il Codice di diritto canonico del 1983 risponda all’ecclesiologia
del Vaticano II. Rik Torfs, da parte sua, analizza l’attuale
Codice dal punto di vista formale della legge e mette in rilievo
alcune lacune che potrebbero compromettere la funzione di
strumento giuridico che è propria del Codice. Felix Wilfred
vede teologia e diritto canonico come partner che accompagnano
il popolo di Dio in cammino e invita al dialogo continuo tra
queste due discipline, ciascuna con la sua metodologia distinta.
Egli mostra con esempi come la teologia potrebbe essere di
aiuto al diritto canonico nella lettura dei segni dei tempi e nella
formulazione e ri-formulazione delle leggi. Di fondamentale
importanza sarebbe un dialogo fra teologia e diritto canonico
sulla distinzione tra ius divinum e legge ecclesiastica, data la
fluidità dei confini non così infrequente tra i due, come è provato
dalla storia ecclesiale. Al fine di portare avanti l’agenda
dell’ecumenismo, ispirata al ricco patrimonio delle chiese
orientali, George Nedungatt reclama maggiore chiarezza sul
ruolo del vescovo di Roma e il suo esercizio del potere supremo.
Più stretti rapporti ecumenici richiederebbero anche una
revisione critica del celibato sacerdotale e del posto riservato
alle donne nella chiesa.
La seconda sezione inizia con l’articolo di Peter G. Kirchschläger,
il quale sostiene da punti di vista teologici ed etici
perché i diritti umani debbano essere integrati nelle leggi della
chiesa, e anzi dovrebbero costituire un punto di riferimento
per le seconde. Poiché i diritti umani hanno solidi fondamenti
biblici e teologici, questa integrazione e tale riferimento non
dovrebbero essere difficili. Se prendiamo sul serio l’ecclesiologia
del popolo di Dio del Vaticano II, i laici non possono essere
esclusi dall’ufficio di governo nella chiesa, cosa che l’attuale
Codice fa: questo è il punto che Sabine Demel sostiene nel suo
contributo. La potestà di governo del laicato deve essere affermata
in quanto si basa sui princìpi costituzionali della chiesa
stessa, come pensata dal concilio. L’autrice ha formulato nuovi
canoni sul laicato, per mezzo di proposte che fanno proprio lo
spirito dell’ecclesiologia del Vaticano II. Hildegard Warnink
esamina il motu proprio Mitis iudex promulgato da papa Francesco
nel 2015. Mentre in estrema sintesi toglie una seconda
istanza nella dichiarazione di nullità del matrimonio e rende
più breve la procedura, con il vescovo diocesano come agente
principale, il documento presenta pure molte insidie e non è
privo di ambiguità.
Nella terza sezione riguardante l’applicazione delle norme
canoniche, Vincenzo Mosca ci dice cosa significhi inculturazione
del diritto canonico e indica anche alcuni degli agenti,
delle istituzioni e delle strutture ecclesiali di oggi che potrebbero
facilitare questo processo formulando leggi che rispondano
ai bisogni delle chiese locali. Burkhard J. Berkmann nel suo
articolo interroga criticamente il duplice livello di attesa: l’aspettarsi
la sussidiarietà nella dottrina sociale e la riluttanza,
se non il rifiuto, di accogliere lo stesso principio nel governo
della chiesa. A suo avviso, oltre al suo significato teologico,
il principio di sussidiarietà potrebbe anche fornire un fondamento
antropologico al diritto canonico. Sempre riflettendo
dal punto di vista dell’applicazione, Al. Andang L. Binwan
interroga criticamente gli attuali canoni relativi al matrimonio
interreligioso: le presenti disposizioni non solo non riflettono
lo spirito del dialogo interreligioso, ma si rivela anche quasi
impossibile metterle in pratica in un paese islamico come l’Indonesia.
Robert Kamangala Kamba, da parte sua, esamina da
una prospettiva africana le lacune del presente Codice e riflette
su come potrebbe apparire un Codice riformato nel momento in
cui incorporasse le preoccupazioni dell’Africa.
Tali contributi sembrano implicare la necessità di un nuovo
Codice. Il nuovo Codice di diritto canonico previsto non sarà
semplicemente un maquillage con alcune modifiche e certi
cambiamenti qua e là, ma sarà radicale. Infatti, la questione più
profonda del diritto canonico è la concezione del potere nella
chiesa. In quanto istituzione religiosa, il modo in cui la chiesa
comprende il potere che le viene da Dio e gli agenti e le strutture
ad esso connesse hanno bisogno di passare attraverso una
trasformazione radicale. All’epoca in cui una particolare teoria
politica sostenne che il sovrano derivava il suo potere direttamente
da Dio (diritto divino dei re) per giustificare l’assolutismo
monarchico, teologi come Francisco Suárez sfidarono tale
posizione, sostenendo che il potere di Dio risiede nel popolo.
Dobbiamo presumere che Dio agisca in modo diverso con il
popolo di Dio che costituisce la comunità della chiesa? Tutti
i ministri, senza eccezione, sono servitori che provvedono al
popolo a cui Dio ha concesso il potere e che ha fornito di doni
che potrebbero essere incanalati per il bene comune attraverso
mezzi e strutture adeguate che riflettano lo spirito del vangelo.
Modelli di potere monarchici e feudali non sono quello che
Gesù voleva per i suoi discepoli, molti dei quali erano semplici
pescatori di Galilea. Abbiamo bisogno di iniziare a riflettere
sul potere ponendo altre premesse rispetto a quelle prevalenti
nella chiesa. Se si parte dal rapporto tra Dio e il popolo di Dio
in termini di potere, si potrebbe sperare in un Codice radicalmente
trasformato. Il diritto canonico non è allora davvero a
un bivio, dovendo decidere se vuole attenersi alla comprensione
convenzionale del potere nella chiesa, o vederlo in stretto
collegamento con la comunità del popolo di Dio divinamente
insignita di potere? Qui ci attende un comune compito per il
futuro, sia per il diritto canonico sia per la teologia.
Il Forum teologico di questo fascicolo della rivista presenta
un breve saggio di Johann Baptist Metz, uno dei fondatori
della nostra rivista. Nel suo testo, Metz ci chiede di riconsiderare
la nostra riflessione sul rapporto tra Dio e il tempo.
Mentre i racconti biblici mai hanno inteso l’essere senza tempo,
anzi hanno sempre avuto a che fare con esperienze concrete nel
tempo (l’oppressione, l’ingiustizia, le lotte di liberazione), Metz
trova che la teologia corrente la maggior parte delle volte parli
di eternità, di valori eterni, di Dio eterno. E si chiede: questo
tipo di teologia afferra veramente qualcosa del Dio biblico, che
è, prima di tutto, Dio nel tempo? Il pensiero cristiano, allora, sta
facendo mitologia più che teologia? Nessuno può capire Cristo
teoricamente, in termini di categorie senza tempo: Cristo può essere
compreso solo seguendo le sue orme, immergendosi nelle
reali lotte del mondo in cui viviamo. Così Metz ci sfida a non
far finta che noi già viviamo nel regno dell’eternità, ma a vivere
e pensare come esseri temporali in un mondo che ha il suo inizio
e la fine in Dio stesso. In tal modo, Metz punta a un futuro
per la teologia che non pretende di “conoscere tutto” sulla vita,
ma di essere “tutta solidarietà” con l’intero genere umano, cioè
di essere veramente cristiana.
Il fascicolo si conclude con un omaggio di Carlos Mendoza-
Alvarez a Virgil Elizondo, stimatissimo ex membro del
comitato di direzione di Concilium, che ha dato un contributo
significativo alla teologia della liberazione, in cui ha portato il
tema del mestizo (il meticciato, l’ibridismo).
Felix Wilfred Enrico Galavotti
Madras (India) Chieti - Pescara (Italia)
Andrés Torres Queiruga
Santiago de Compostela (Spagna)
(traduzione dall’inglese di Guido Ferrari)