Sintesi:
L’insieme dei contributi di questo numero di Concilium sulla libertà religiosa sono
attraversati dall’esame della libertà secondo un punto di vista negativo o positivo,
nonché dall’articolazione delle polarità della fede e della religione, dell’individuo
e della comunità, della libertà e della responsabilità. Inizialmente gli autori
ricorrono all’esperienza del mondo europeo di tradizione cristiana, sia dell’Oriente
sia dell’Occidente, poi passano a considerare ciò che accade nei mondi
musulmani, in Asia, in America latina, al fine di fondare una validità universale
e inalienabile dei diritti umani in materia religiosa.
Parole chiave: libertà di religione, diritti umani
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Editoriale
Nell’Evo moderno, la civiltà occidentale ha proclamato l’inviolabilità
della dignità di ogni essere umano. Questa dignità
è protetta nel modo migliore dal nostro rispetto delle libertà e
dei diritti umani. La libertà è l’essenza stessa dell’essere umano,
mentre la libertà fondamentale è la libertà di coscienza che
include la libertà di religione e la libertà di credo e di visione
del mondo (Weltanschauung). Non può esserci imposta la coscienza,
né potrebbe esserci imposto un credo. Nei paesi democratici
occidentali per lo più si rispetta la libertà di coscienza e
di religione; tuttavia è possibile notare una certa parzialità nella
comprensione delle libertà dei singoli esseri umani. Gli stati
e le società borghesi proteggono la libertà; tuttavia non la fondano:
piuttosto la presuppongono. La libertà è intesa in termini
negativi, più che altro come separazione di un individuo dagli
altri, e perfino come negazione degli altri. Quindi è una libertà
negativa, intendendo con ciò la libertà da costrizione esterna,
ma non dalla costrizione interna. Dobbiamo ammettere che
questo è soltanto un aspetto della libertà. Se la libertà si limita
alla negazione di tutto ciò che ci circonda, se non è capace di
diventare positiva, ovvero libertà per qualcosa e per qualcuno,
per alcuni valori e per altre persone, allora una tale libertà impoverisce
gli esseri umani, poiché è incapace di comunicazione
e collaborazione con gli altri.
I/ La libertà positiva
Hannah Arendt sostiene che Giovanni Duns Scoto è il più
grande pensatore della libertà nella filosofia occidentale e che
solo Kant può essere considerato pari a Scoto nella sua lealtà
incondizionata alla libertà. Scoto scrive che si danno due inclinazioni
in ogni libera volontà: inclinazione verso il proprio
vantaggio (affectio commodi) e inclinazione verso la giustizia
(affectio iustitiae). Per Scoto, entrambe queste inclinazioni sono
libere. L’inclinazione verso la giustizia frena e modera l’inclinazione
verso il proprio vantaggio personale. Questa inclinazione
verso la giustizia ci rende capaci di amare ciò che merita di
essere amato. Questa è la libertà che è inerente alla volontà. In
latino leggiamo: Innata, quae est ingenita libertas, secundum quam
potest velle aliquod bonum non ordinatum ad se. Quindi l’inclinazione
verso la giustizia è un’inclinazione innata, l’inclinazione
sulla base della quale la nostra volontà può desiderare un bene
che non è ordinato a noi stessi, cioè in cui la nostra volontà si
mostra capace di elevarsi al di sopra del nostro naturale egoismo
ed egocentrismo.
Per Scoto, le nozioni fondamentali sono la nozione di ordo
(ordine), cioè ordine essenziale (ordo essentialis), e quella di
ordinatum (ordinato, organizzato). Di conseguenza vi sono due
ordini: l’ordine ad se e l’ordine ad alterum (l’ordine dell’amore).
Nel primo, Dio, le persone e tutti gli esseri, nonché l’intera
realtà, esistono per servire l’io umano. In questo ordine, Dio è
ridotto a servitore dell’uomo. Nel pensiero filosofico europeo
a partire da Aristotele, ogni essere si sforza di preservare se
stesso, di migliorare e di realizzare se stesso. Dieter Henrich
ha dimostrato che, nella filosofia dell’Età moderna, l’istinto
predominante è quello della sopravvivenza di sé (Selbsterhaltungstrieb).
Entrambi questi estremi – l’egoismo totale e l’altruismo
totale – erano presenti nell’Età antica e nel Medioevo
– e sono presenti ancora oggi. Entrambi sono violenti. Ogni
altruismo estremo (o misticismo) che sminuisce o annulla la
natura umana o l’io individuale, non rappresenta nient’altro
che violenza contro l’uomo. Parimenti, ogni manifestazione di
egoismo estremo che riduce tutto all’io di un individuo, non
rappresenta nient’altro che violenza contro gli altri e contro noi
stessi.
Scoto offre una soluzione ingegnosa, distinguendo e collegando
entrambe queste inclinazioni nella volontà. Entrambe
sono importanti, ma l’inclinazione verso la giustizia è più sublime
dell’inclinazione verso il vantaggio: Nobilior est affectio
iustitiae, quam commodi […], cum “amare aliquid in se” sit actus
liberior et magis communicativus quam “desiderare illud sibi”. L’inclinazione
verso la giustizia è più sublime dell’inclinazione
verso il vantaggio, poiché amare qualcosa in sé, un qualche
bene in sé, è un atto più libero e più comunicativo che non
desiderare un vantaggio per noi stessi. Questo atto è più libero
e più comunicativo perché si eleva al di sopra del nostro
egoismo (la nostra schiavitù verso l’io) e perché ci collega agli
altri. La speranza (la virtù della speranza) migliora la nostra
inclinazione verso noi stessi, mentre l’amore migliora la nostra
inclinazione verso la giustizia, cioè verso un bene più alto e più
sublime, ovvero la nostra inclinazione verso l’altro come Altro.
Scoto evidenzia semplicemente che la libertà positiva è più
sublime di quella negativa, ma egli non la annulla. Da questa
presa di posizione deriva il fatto che la libertà sublime dà origine
a una sublime connessione con gli altri e con l’Altro assoluto,
la connessione che chiamiamo amore.
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