Editoriale
Per una collegialità effettiva
Nella comunione ecclesiale esistono legittimamentele chiese particolari, che godono di tradizioni proprie,salvo restando il primato della cattedra di Pietro,che presiede alla comunione universale della carità.(Lumen gentium, 13)
Un testimone al di sopra di ogni sospetto, il card. Mario Francesco Pompedda (1929-2006), in un suo discorso a quarant’anni dal concilio Vaticano II, affermava che il principio della collegialità è l’esempio «di tutto un vasto spettro di attese soggiacenti al concilio e insite nella realizzazione parziale di esso finora avvenuta [...]: il principio della collegialità, o, come oggi alcuni preferiscono, della sinodalità, affermato dal concilio, applicato diligentemente dopo, non ha saputo evolversi sufficientemente come richiedevano gli stessi germi conciliari. È necessario riconoscere, infatti, che questo come altre tematiche, il concilio non ha saputo e potuto evolverle fino alle loro ultime conseguenze». Nel seguito di quel discorso il card. Pompedda sottolinea che si deve passare da una visione personalistica a una prospettiva istituzionale della collegialità, perché essa indica «la comunione (o meglio il legame) esistente tra le chiese particolari». È questo che abbiamo cercato di mettere in evidenza nella struttura di questo fascicolo, che nasce (è giusto riconoscerlo) grazie all’impulso venuto da papa Francesco che, come tutti ben ricordano, ha citato la frase di Ignazio d’Antiochia, e del n. 23 della Lumen gentium, nelle prime parole di saluto, la sera stessa della sua elezione a «vescovo di Roma».Si sente oggi il bisogno di una riforma della chiesa, o meglio di una ripresa dell’intuizione conciliare di un’«ecclesia semper reformanda» e questa non può ripartire se non dalla riflessione sulla forma storica della presenza ecclesiale nel mondo: è necessario che la forma istituzionale della chiesa corrisponda all’autocoscienza che la chiesa ha di se stessa e che in modo autorevole fu espressa cinquant’anni fa nel Vaticano II. Va corretto il distacco che si rileva tra l’attuale ordinamento canonico e l’ecclesiologia del concilio.Riferendosi al prossimo sinodo dei vescovi, papa Francesco ha scritto: «Si possono e si devono cercare forme sempre più profonde e autentiche della collegialità sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione». Il primo contributo di Roberto Repole introduce la riflessione teologica previa al nostro tema e cioè il rapporto intrinseco che esiste tra la chiesa universale e la chiesa particolare. La mutua interiorità che le pervade è il fondamento sul quale poggiano la comunione tra le chiese e la solidarietà reciproca, che si esprimono nella «sollecitudine» per tutte le chiese che ogni vescovo deve avere, sempre rimanendo in stretta unione con il ministero apostolico affidato a Pietro e continuato dai suoi successori nella chiesa di Roma, come illustra con chiarezza l’intervento di Angelo Maffeis.Il terzo articolo di Francesco Nigro presenta il pensiero e le suggestioni derivanti dalle varie opere del padre Jean-Marie Roger Tillard (1927-2000), lo studioso che negli anni postconciliari ha tenuto viva l’urgenza di applicare l’ecclesiologia di comunione in modo effettivo e concreto.Dopo questi tre contributi che danno le coordinate generali entro cui comprendere la collegialità episcopale, i successivi articoli cercano di esaminare alcuni aspetti particolari, rappresentati dalle forme attuali in cui si esprime il legame tra le chiese e il loro servizio alla missione evangelizzatrice loro affidata. Si tratta, anzitutto, delle conferenze episcopali, alle quali Agostino Montan dedica la sua attenzione, analizzando la situazione attuale, i documenti del magistero al riguardo e le prospettive future di queste istituzioni, abbastanza recenti nella storia millenaria della chiesa, ma in un certo senso eredi della struttura patriarcale ancora vigente nelle chiese ortodosse.Sulle esperienze concrete e recenti di come i vescovi collaborano tra di loro nelle scelte pastorali e nella guida delle comunità loro affidate, il vescovo di Rovigo, mons. Lucio Soravito dà un interessante resoconto di come agiscono i vescovi del Triveneto, facendo riferimento ai due convegni ecclesiali di Aquileia-Grado del 1990 e del 2012.Su di un altro aspetto, forse più tecnico ma non meno importante, si sofferma Luigi Dal Lago, riassumendo la discussione circa l’applicazione del «principio di sussidiarietà» anche nella chiesa. Non poteva assolutamente mancare la dimensione ecumenica della collegialità episcopale, tenendo conto soprattutto del dialogo con la chiesa ortodossa, come ci illustra Andrea Pacini, mostrando le buone possibilità che si aprono in questo particolare momento, pur con le difficoltà che sorgono dall’interno stesso dell’ortodossia per la rivalità tra il patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli. Infine, chiude la serie dei contributi un’analisi di Italo De Sandre sulle dinamiche interne alle varie istituzioni sociali, dal mondo del lavoro a quello delle comunità ecclesiali, in cui si dovrebbe valorizzare l’apporto di tutti nel valutare le situazioni e le decisioni da prendere per il bene di tutti.Nella Documentazione viene riportato il testo del cosiddetto «Documento di Ravenna» che permette di conoscere lo status attuale del dialogo tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa sul ruolo dell’autorità episcopale a livello locale, regionale e universale. L’Invito alla lettura, curato da Riccardo Battocchio, offre abbondanti indicazioni per l’approfondimento di un tema che ha riacceso in modo sorprendente un dibattito che sembrava ormai spento.Come al solito la rubrica In libreria chiude il fascicolo con la presentazione di alcune novità librarie, scelte tra i molti libri che giungono alla nostra redazione.