«Noi Costantino Augusto e Licinio Augusto
abbiamo ritenuto di accordare ai cristiani e a tutti gli altri
la libertà di seguire la religione che ciascuno crede
affinché la divinità che sta in cielo
qualunque essa sia
a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità».
La classica espressione di Cicerone: Historia testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis «La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità» (De Oratore, II) ritorna quanto mai attuale ogni volta che si interpella il dato storico e soprattutto si cerca di interpretarlo in vista del come regolarsi per l’avvenire.
Testis, lux, vita, magistra, nuntia… sono termini che invitano ad accostarsi al passato con una metodologia senza dubbio complessa, secondo lo specifico orizzonte che il singolo termine racchiude o cui rinvia, e tuttavia tale da contribuire alla sua «lettura» in modo il più possibile organico e sereno.
Per sua natura anche la liturgia si confronta con la storia per un insieme di motivi che il lettore non ha bisogno in questo momento di vedere elencati. Un semplice sguardo a contributi specifici permette di cogliere le numerose implicanze che la storia del culto cristiano racchiude, e con le quali bisogna confrontarsi ogni volta che un determinato argomento richiede chiarezza o ha bisogno di dovuta autorevolezza per essere accolto nel novero della lectio che la storia – appunto – rilancia, ma sempre in dialogo con la visione teologica, giuridica, antropologica, pastorale e spirituale.
Non è la prima volta che «Rivista Liturgica» si dedica ad approfondire pagine di storia – e certamente non sarà l’ultima! –; l’occasione del centenario costantiniano appariva comunque un’opportunità per precisare e approfondire pagine significative che riguardano la liturgia nel suo percorso storico che, nello specifico, parte sì dal tempo di Costantino per giungere fino all’oggi.
1. Il XVII centenario dell’«Editto di Milano»
313-2013: l’anno costantiniano che stiamo celebrando, trova un significativo precedente nelle iniziative con cui nel 1913 all’interno del mondo cattolico italiano si volle solennizzare il XVI centenario dell’«Editto di Milano».
In quell’inizio del XX secolo, trascurando, o confutando, le argomentazioni con cui Otto Seeck nel 1891 aveva negato l’esistenza di tale documento, si volle additare in quel supposto Editto il decisivo atto giuridico, che aveva posto termine alle persecuzioni anticristiane e introdotto nella storia il principio della libertà religiosa. La determinazione con cui l’intellettualità cattolica si impegnò nell’elaborazione di tale discorso culturale è ben evidenziata dai fascicoli che vennero allora componendo l’annata di periodici quali «La Civiltà Cattolica» o «La Scuola Cattolica».
La notevole mobilitazione realizzata da quel centenario non stupisce: vi era stata in Germania, negli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento, la traumatica esperienza del Kulturkampf; la Francia aveva adottato nel 1905 la legislazione sulla laïcité; e in Italia, oltre ai traumi comportati dalla legislazione ecclesiastica del Regno sabaudo, dal 1870 era aperta la Questione Romana. È non poco significativo il fatto che, proprio in Italia, le molteplici iniziative di quell’anno trovarono la loro conclusione all’inizio di dicembre nella celebrazione, a Milano, dell’VIII Settimana sociale dei cattolici italiani intitolata: Le libertà civili dei cattolici.
L’importanza sociale e politica della libertà religiosa e la permanente attualità di tale questione rendono ragione della polarizzazione tematica determinatasi nel 1913. Il riproporsi ancor oggi di problematiche e argomentazioni – che già avevano caratterizzato le celebrazioni del secolo scorso – è indice inequivocabile della drammatica situazione che, tuttora, i credenti si trovano a vivere in varie parti del mondo. Peraltro, la preoccupazione apologetica difficilmente si concilia con una compiuta valutazione dei dati storici e, conseguentemente, con un’idonea comprensione dei fenomeni. Non è anzi raro il caso che ne derivi una reazione analogamente orientata a caricare fatti ed eventi di significazioni ideologiche, eccessive o indebite.
Anche al fine di superare tali angustie, è parso opportuno alla redazione di «Rivista Liturgica» inserirsi nel vasto lavoro intellettuale che è venuto sviluppandosi attorno a questa ricorrenza con studi e congressi di vario genere, offrendo alla riflessione dei lettori (e più in generale di quanti si occupano di questi temi) lo specifico contributo di un’indagine volta ad analizzare le molteplici dinamiche, che – direttamente e indirettamente – gli articolati interventi di Costantino hanno innescato nella vicenda storica del culto cristiano.
2. L’orizzonte di una proposta
Da questo punto di vista, il presente «fascicolo», dopo un contributo introduttivo volto a puntualizzare le questioni connesse al centenario in atto – così da recuperare la dimensione storica di Costantino –, viene proponendo studi che introducono a singoli aspetti della vita cultuale, sui quali le decisioni dell’imperatore hanno inciso indelebilmente: la scansione del tempo sociale attraverso il riposo settimanale legato al Giorno del Sole, la fissazione dei criteri per un unitario computo della Pasqua, l’edificazione dei grandi santuari nei luoghi santi, a cominciare dal complesso gerosolimitano del Santo Sepolcro, con tutto ciò che tali santuari hanno significato per l’intera comunione delle Chiese.
In effetti quegli edifici di culto divennero la meta dei pellegrini; in rapporto alle memorie degli eventi salvifici legati a quei luoghi si venne articolando il calendario annuale cristiano, inteso quale unitaria manifestazione e celebrazione del mistero di Cristo; le forme rituali elaborate in quegli spazi celebrativi assunsero la dignità di modello a cui si attinse da parte dell’intera ecumene cristiana, dentro e fuori l’Impero.
Alla documentazione di tale irradiazione sono dedicati alcuni contributi raccolti nella sezione «Note». Si inizia in Oriente considerando la documentazione siro-orientale (in rapporto alla quale rilevante fu la mediazione antiochena), per passare poi alle espressioni anche architettoniche di radicamento gerosolimitano presenti nella tradizione ecclesiale etiopica. Per l’Occidente l’attenzione va anzitutto al caso ambrosiano, cui segue l’analisi della tradizione romana, al cui interno gli echi palestinesi sono stati spesso mediati dall’elemento monastico in senso lato «greco».
Un capitolo illuminante nella storia della tradizione rituale agiopolita è indubbiamente quello connesso alla distruzione del complesso del Santo Sepolcro ad opera del fatimide Al-Hkim: un evento che non segnò peraltro una cesura, inserendosi in un intenso interscambio tra Gerusalemme e Costantinopoli già precedentemente avviatosi.
Il carattere imperiale del santuario gerosolimitano e di ciò che a esso si collega, a cominciare dalla santa croce, si ritrova anche in un altro contributo, dedicato alle tipologie iconografiche assunte in area cappadoce dalla croce stessa, isolatamente considerata e in connessione alle immagini dei santi imperatori, Costantino ed Elena.
Konstantinos Pitsakis aveva a suo tempo segnalato come – nella tradizione costantinopolitana – tutti gli imperatori che abbiano convocato concili ecumenici siano stati «d’ufficio» inseriti nella schiera dei santi, ma siano stati anche ampiamente obliati nella devozione del popolo cristiano, con la sola eccezione di Costantino. Gli indelebili titoli di gloria di quest’ultimo sono, per la pietà ortodossa, l’essere stato il difensore della vera fede, il monarca impegnato a rendere onore a Dio attraverso l’edificazione di grandi basiliche e, soprattutto, colui al quale, nel contesto della ricerca ed esaltazione monumentale dei luoghi santi, si lega il ritrovamento della santa e vivificante croce. Le tracce in Occidente di tale sentimento religioso, vissuto nei confronti di Costantino nella Nuova Roma, sono documentate nei due ultimi saggi, dedicati al culto di San Costantino Imperatore in Sardegna e in Sicilia.
L’ampio itinerario di ricerca, qui delineato, ha potuto avvalersi del generoso apporto di specialisti a livello internazionale: a loro va un sentito ringraziamento, che si fa particolarmente intenso nei confronti di Sua Beatitudine il Patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal. Egli, in modo diretto e autorevole, ha immesso in questo «fascicolo» la voce della Chiesa di Gerusalemme a noi contemporanea. Troviamo in questo la concreta attestazione che la realtà accorpatasi attorno ai grandi santuari fondati da Costantino è, nei fatti, ampiamente sopravvissuta all’Impero, confermando il valore intrinseco presente in quelle lontane iniziative poste in essere dall’antico imperatore. Ma le parole di Sua Beatitudine sono per noi un pressante invito a confermare la nostra fraterna e fattiva comunione con quanti, operando nei santuari di pietra edificati nel IV secolo, ai nostri giorni continuano a costruire nei luoghi santi il tempio di pietre vive, rendendo quotidianamente ragione della speranza che è in loro.
3. Una «pagina» di storia che interpella
Nel percorrere i singoli contributi e nell’osservarne il complesso orizzonte che essi delimitano il lettore sperimenta l’opportunità di realizzare un confronto con una «pagina» di storia che – come già sopra accennato – interloquisce anche con l’oggi. L’armonia dei temi che è stata selezionata in vista della configurazione di queste pagine è tale da offrire allo studioso di liturgia punti di riferimento essenziali per un inquadramento storico di eventi.
Oggi più che mai è necessario muoversi da un’interpretazione corretta ed equilibrata di quegli elementi che hanno segnato la storia in una forma tale da costituire poi norma e legge o comunque consuetudine. Rileggere tutto questo con un accostamento sereno ai documenti – quando effettivamente ci sono e risultano autentici – permette di interpretare saggiamente il passato e insieme coglierne la lectio per l’oggi.
È in questo modo che – riprendendo l’espressione di Cicerone – il dato storico acquista tutta la sua valenza di testis per divenire lux, e quindi per trasformarsi in alimento di vita; solo così il dato storico riacquista il suo valore «magisteriale» (magistra), tornando a essere per ogni generazione un autentico nuntium.
Il settore degli studi liturgici ha bisogno di questo confronto con il dato storico. Lo abbiamo percepito – per esempio – nella preparazione e nell’attuazione della riforma liturgica conciliare che è stata portata a un ottimo livello perché il secolo XX aveva visto una serie molto ampia di studi e di edizione di fonti. Cosa che non era successa dopo il Concilio di Trento quando la commissione che aveva riformato il Breviarium e il Missale non disponeva di tutte quelle fonti che cominceranno ad apparire solo dalla fine del secolo XVII in poi.
Ma la «pagina» di storia – senza dimenticare tutto ciò che ruota attorno al Concilio di Nicea con la problematica della Pasqua e il rapporto con i Quartodecimani – permette anche di confrontarsi con una serie di espressioni cultuali che traggono origine proprio da Gerusalemme e che poi, nel tempo, hanno dato vita a forme liturgiche che caratterizzano Chiese e comunità di fede dall’Oriente all’Occidente.
Il confronto con queste espressioni cultuali costituisce un momento peculiare per ritrovare elementi di comunione e insieme di diversità nell’unica grande espressione cultuale che caratterizza la lex credendi. Forse è possibile accostare in tale orizzonte una pagina di inculturazione del cristianesimo nella romanitas imperiale. Ma in chiave di attualità è possibile anche cogliere la varietas di espressioni che il pellegrino sperimenta ogni volta che visita Gerusalemme.
«Rivista Liturgica»
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