Editoriale
Nascere e morire. Luoghi e tempi dell’umano: con questo titolo, nel luglio 2011 a Camposanpiero (PD) si è tenuto un Corso residenziale di teologia, organizzato dall’Istituto teologico «S. Antonio Dottore». Il presente fascicolo ne pubblica gli interventi più significativi, che permettono di cogliere tutta la ricchezza delle riflessioni su di un tema essenziale per ogni persona.
Nascere e morire sono, infatti, i due verbi che racchiudono la grammatica dell’intera esistenza umana. Sono esperienze basilari, eppure quasi dimenticate dalla cultura odierna, che non ama parlare di questi temi, se non di fronte a casi eccezionali. Caduti in ostaggio della tecnica, il nascere e il morire sono, invece, due momenti di cui bisogna riscoprire il significato più profondo. Ne va dell’autentica qualità umana e cristiana della vita.
In realtà ciò che fa maggiormente discutere è il punto finale della vita: la morte. Se si dà senso alla morte, è tutta la vita che prende senso, altrimenti anche il nascere è una sventura, come aveva ben intuito Giacomo Leopardi nei versi famosi del Canto notturno di un pastore errante nell’Asia: «Nasce l’uomo a fatica, / ed è rischio di morte il nascimento. / Prova pena e tormento / per prima cosa; e in sul principio stesso / la madre e il genitore / il prende a consolar dell’esser nato»; e il poeta conclude amaramente: «È funesto a chi nasce il dì natale!».
La morte non è mai piaciuta all’uomo, perfino desiderarla sembra ai più qualcosa di innaturale, almeno per chi gode buona salute. La morte oggi è diventata un tabù, un evento rimosso. Ma ci si chiede: scappiamo dalla morte o anche da qualcos’altro? In realtà rifiutiamo di accettare i nostri limiti. La grande tentazione (o illusione) dell’uomo è di voler essere o di credersi onnipotente, non si accetta il limite che ci viene posto dal nascere e dal morire: l’inizio e la fine della vita fisica non dipendono da noi, ma da altri e dall’Altro.
Il primo intervento, di Carlo Urbani, offre una lettura delle trasformazioni che nel corso della storia hanno segnato l’atteggiamento dei singoli e della società di fronte alla nascita e alla morte: da eventi comunitari sono diventate questioni private, da risolvere individualmente. Giorgio Bonaccorso, da un punto di vista storico-culturale, mette in rilievo come le religioni hanno proposto di invertire l’opposizione tra questi due limiti insuperabili dell’esistenza, considerando la tappa del morire come inizio del ri-nascere. Le varie culture cercano tutte di esorcizzare, in qualche modo, la paura della morte. Anche la filosofia, come illustra Valerio Bortolin, posta di fronte al dilemma tra angoscia e stupore di fronte alla nascita e alla morte, si trova a dover scegliere tra il nichilismo circa il senso ultimo della vita umana e la fiducia che, al termine, un senso ci sia. Di più la filosofia non può dire. D’altra parte, il prendere coscienza della fragilità connaturata al nostro essere, è un antidoto necessario per reagire alla hybris che tante volte segna il comportamento umano.
Una risposta ai tanti interrogativi sollevati dalla ragione viene dalla rivelazione biblica: Tiziano Lorenzin espone i tratti salienti dell’Antico Testamento che preludono alla piena luce che il Cristo risorto porta nella storia della sofferenza e del dolore umano. La paura della morte viene vinta dal Signore Gesù e della sua vittoria sono fatti partecipi tutti i credenti, come spiega Renato De Zan nel suo commento a Eb 2,14-15. La riflessione teologica di Andrea Toniolo aiuta a capire come la fede cristiana trasforma il nascere e il morire da enigma a mistero: enigma è qualcosa che è senza soluzione, mistero è ciò che può essere detto, evocato, anche se non esaurito, ma che acquista un senso dentro qualcosa di più grande. Questo evento è precisamente la vicenda umano-divina di Cristo: in essa, come dimostra incisivamente Gilberto Depeder, si svela in modo definitivo sia il mistero che il senso dell’esistenza umana. Da Cristo impariamo il dono di noi stessi agli altri, l’obbedienza filiale e l’abbandono ultimo nelle mani del Padre. Egualmente Giuseppe Toffanello riflette sul destino finale dell’uomo, che, di generazione in generazione, non è un cammino senza meta, ma è guidato dalla cura amorosa di Dio.
La vulnerabilità del vivere umano e quindi la necessità di integrare fra loro le varie scienze che si occupano dell’uomo è il tema affrontato da Giuseppe Quaranta, mentre sul dibattito bioetico contemporaneo interviene con chiare e pacate considerazioni Giovanni Del Missier. Infine non poteva mancare un richiamo al modo in cui Francesco d’Assisi ha affrontato il momento della morte: il commento di Giovanni Voltan al Cantico delle creature fa da contrapposto alle amare affermazioni di Leopardi: si può lodare il Signore non solo per il dono della vita, ma anche per «sora nostra morte corporale». Nella fede la morte non è più una nemica, ma diventa «sorella» che accompagna verso una vita nuova.
A conclusione del fascicolo, l’Invito alla lettura, curato da Giuseppe Quaranta, offre come sempre opportune indicazioni per ulteriori approfondimenti su di una tematica che appassiona e interroga ogni essere umano.
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giorgio bendazzoli, giorgio-bendazzoli@virgilio.it il 24 luglio 2013 alle 10:53 ha scritto:
Bisognerebbe, secondo me, riscoprire il significato dello stare insieme più che del vivere e morire. Oggi i cristiani sono tutti occupatissimi in opere più che lodevoli e sono i soli che mantengono ancora un po' di rispetto per i poveri e gli ultimi, ma generalmente questo all'interno di strutture organizzate e pochi aprono la porta di casa per far entrare qualche disgraziato, o lo invitano a pranzo. Ad un certo punto se non ci si apre a relazioni di amicizia anche con qualche sconosciuto servono a poco anche i libri.