PROLOGO
La scelta di affrontare il tema della “spiritualità ecumenica” in Luigi Sartori può apparire a prima vista abbastanza curiosa, poiché l’associazione di questi due termini è quasi inesistente nel linguaggio del teologo padovano: non emerge in modo rilevante né dai suoi numerosi scritti, né dalle sue conferenze su temi legati all’ecumenismo. E anche il termine "spiritualità", tout-court, è relativamente raro. Credo che si possa parlare di una proposta implicita di “spiritualità ecumenica” – per quanto riguarda specifici contenuti – che si può cogliere sia in molti frammenti, sia nell’insieme delle tematiche che più stavano a cuore al teologo, e che egli era solito riprendere, in modi sempre nuovi, sia nei suoi scritti, che nelle conferenze e nei colloqui informali. Una “spiritualità ecumenica” emerge anche da un certo modo di “fare teologia”, con un’attenzione sempre costante al vissuto e ai risvolti pastorali delle questioni. Si potrebbe parlare, con un’espressione cara a Sartori, di una teologia “incarnata nella storia”: una teologia che vuole essere espressione di una vita, di un modo di essere. La spiritualità ecumenica ha quindi per lui un carattere in qualche modo ‘pervasivo’: è quasi un fil rouge, l’elemento che collega in modo quasi impercettibile, ma reale, molti dei temi da lui più frequentati e che orienta anche il metodo della sua ricerca teologica. Spiritualità ecumenica, dunque, non come una branca particolare, come un settore distinto della teologia spirituale o dell’ecumenismo, ma come aspetto imprescindibile e connaturale alla ricerca teologica in chiave ecumenica. Perché, se è vero che la “spiritualità” costituisce il cuore della riflessione di Sartori credente e prete, prima ancora che teologo, è anche vero che la spiritualità autentica non può essere, per lui, che “ecumenica”. Per questo motivo, probabilmente, egli non ne tratta mai come di un tema a sé stante: è piuttosto uno sfondo imprescindibile dell’impegno ecumenico e, prima ancora, è l’anima stessa di ogni teologia cristiana “vera”. Un’affermazione ambiziosa? Occorre anticipare qui una chiave di lettura fondamentale nel teologo padovano: nell’ambito dei rapporti tra le chiese, egli definisce ‘ecumenico’, in senso etimologico, ciò che per se stesso è “universale”, poiché intercetta la centralità dell’essere cristiano. ‘Ecumenico’ non è dunque, in prima istanza, ciò che è attinente ai rapporti tra le chiese, né ciò che costituisce il contributo specifico di ciascuna chiesa all’οκουμνη; non è, in primo luogo, ciò che rappresenta la distinzione, la particolarità delle diverse tradizioni, ma piuttosto ciò che precede ogni differenza confessionale. Va da sé che il tema centrale di una teologia che vuol essere ecumenica è quello di Dio e della fede trinitaria, ed è proprio qui che si può cogliere l’originale contributo del teologo patavino. Ma impegno per la spiritualità significa anche impegno a “fare storia: per tutti e con tutti”1, come Sartori ricordava nell’incontro conclusivo della Sessione di formazione ecumenica organizzata a La Mendola (Trento) nel 1995 dal Segretariato Attività Ecumeniche (SAE). Vi è, infatti, una preoccupazione costante nel teologo: quella di non separare la spiritualità dalla storia, e anzi di cogliere nella dimensione della storicità l’elemento qualificante di ogni autentica spiritualità. Potremmo enucleare così alcuni binomi, cari a Sartori, che possono bene illuminare la sua concezione della spiritualità. In primo luogo, egli coglie una strettissima connessione tra pensiero e preghiera, cioè tra riflessione teologica ed invocazione allo Spirito (poiché la preghiera, per lui, è soprattutto, o in primo luogo, epicletica), tra spiritualità e storia, tra spiritualità e riconciliazione. Nel già sopra citato incontro alla Mendola, Sartori richiama l’Assemblea del CEC di Canberra del 1991, dall’espressivo titolo: “Spirito Santo, trasformaci e santificaci” ed indica nell’impegno per la spiritualità un orientamento decisivo che deve coinvolgere tutti i cristiani di fronte alle sfide del presente, e primariamente in vista di una riconciliazione, che non riguarda ormai più solo le chiese cristiane, ma anche le fedi e l’umanità intera. Occorre qui ripercorrere a grandi linee l’originale percorso di formazione filosofica di Sartori, che continuerà a costituire la robusta base del suo pensiero, anche a fronte di un modo di fare teologia “più intuitivo che sistematico”, (come è stato detto nell’omelia del suo funerale, il 4 maggio 2007), e non di rado orientato a un “divagare creativo”, pur sempre in rapporto di continuità con la Tradizione, col Magistero e con le grandi correnti del pensiero cristiano, di cui è interprete rigoroso e fedele. Intuizione e creatività sono sempre sostenute da un solidissimo impianto razionale: anzi, lo studio appassionato e puntuale dei suoi autori preferiti, Agostino e Tommaso (mai visti in opposizione), tra i classici del pensiero cristiano, e poi dei filosofi personalisti, Blondel in particolare, che costituì l’oggetto della sua tesi di laurea alla Gregoriana2, gli permette di stabilire fecondi collegamenti e di proporre originali attualizzazioni. Anche con Bonaventura e la scuola francescana egli trova una singolare consonanza, soprattutto negli ultimi anni, quelli della “Metafisica dell’amore”3.