Editoriale -
«Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale».(BENEDETTO XVI, Caritas in veritate 51)
L’etica cristiana non può trascurare il contributo di ogni credente per la custodia della vita e la salvaguardia del creato. La morte e la risurrezione di Cristo, cuore della nostra fede trinitaria, ci hanno liberati dauna visione disincarnata della salvezza. Alla luce della pasqua di Cristo, risuscitato dal Padre nella potenza dello Spirito della vita, apprendiamo che la materia è per sua natura diafanica: tende, cioè, a trasformarsi, a pneumatizzarsi, aprendosi al destino cosmico del Risorto e del suo corpo glorioso. Ci è sembrato giusto, in questo numero monografico di Asprenas,occuparci dell’ambiente, del problema dell’inquinamento e delle risorse energetiche. La fede, infatti, ci impone uno stile di vita che non può non prendere in considerazione il futuro dell’uomo in relazione al destino del mondo. Da come noi viviamo dipende il destino del mondo. Tutta la creazione porta i segni dell’amore di Dio ma anche le ferite del peccato (cf. Rm 8): l’antropologia biblica ci educa a riscoprire lo stretto rapporto tra la coppia umana e lo spazio dell’Eden, luogo dell’incontro con Dio e delle possibili relazioni sociali e umane. Così, il cristianesimo si fa portavoce di una salvezza integrale, che tocca sia la totalità della persona sia i rapporti sociali che ogni individuo è in grado di tessere nel tempo e nello spazio. Se è vero, come è vero, che il Bene è per sua natura diffusivo, l’Amore trinitario si rende partecipe sia a livellocosmico sia in modo storico. Benedetto XVI ha segnalato più volte quanti ostacoli incontrino oggi i poveri per accedere alle risorse ambientali, comprese quelle fondamentali come l’acqua, il cibo e le fonti energetiche. Spesso, infatti, l’ambiente è sottoposto a uno sfruttamento così intenso da determinare situazioni di forte degrado, che minacciano l’abitabilità della terra per la generazione presente e ancor più per quelle future. Questioni di apparente portatalocale si rivelano connesse con dinamiche più ampie, quali, peresempio, il mutamento climatico, capaci di incidere sulla qualità della vita e sulla salute anche nei contesti più lontani. È necessario anche rimarcare il fatto che, in anni recenti, è cresciuto il flusso di risorse naturali ed energetiche che dai Paesi più poveri vanno a sostenere le economie delle Nazioni maggiormente industrializzate.La recente Assembla speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha denunciato con forza la grave sottrazione di beni necessari alla vita di molte popolazioni locali operata da imprese multinazionali, spesso col supporto di élites locali, al di fuori delle regole democratiche. L’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno. Anche le guerre – come del resto la stessa produzione e diffusione di armamenti, con il costo economico e ambientale che comportano– contribuiscono pesantemente al degrado della terra, determinando altre vittime, che si aggiungono a quelle che causano in maniera diretta. Pace, giustizia e cura della terra possono crescere solo insieme e la minaccia a una di esse si riflette anche sulle altre. Da qui il dovere e la responsabilità di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla. Tale dovere esige una profonda revisione del modello di sviluppo, una vera e propria “conversione ecologica”. La famiglia umana è chiamata a esercitare un responsabile governo dell’ambiente, nel segno di «una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo» (Benedetto XVI, Messaggio per la 43ª Giornata Mondiale della Pace, n. 8), guardando alla generazione presente e a quelle future. È impossibile, infatti,parlare oggi di bene comune senza considerarne la dimensione ambientale, come pure garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona trascurando quello di vivere in un ambiente sano. Si tratta di un impegno di vasta portata, che tocca le grandi scelte politiche e gli orientamenti macro-economici, ma che comporta anche una radicale dimensione morale: costruire la pace nella giustizia significa, infatti, orientarsi serenamente a stili di vita personali e comunitari più sobri, evitando i consumi superflui e privilegiando le energie rinnovabili. È un’indicazione da realizzare a tutti i livelli, secondo una logica di sussidiarietà: ogni soggetto è invitato a farsi operatore di pace nella responsabilità per il creato, operando con coerenza negli ambiti che gli sono propri. Tale impegno personale e comunitario per la giustizia ambientale potrà trovare consistenza – lo sottolinea ancora papa Benedetto– contemplando la bellezza della creazione, spazio in cui possiamo cogliere Dio stesso che si prende cura delle sue creature. Siamo, dunque, invitati a guardare con amore alla varietà delle creature, di cui la terra è tanto ricca, scoprendovi il dono del Creatore, che in esse manifesta qualcosa di sé. Questa spiritualità della creazione potrà trarre alimentoda tanti elementi della tradizione cristiana, a partire dalla celebrazione eucaristica, nella quale rendiamo grazie per quei frutti della terra che in essa divengono per noi pane di vita e bevanda di salvezza. Già nel 1983, l’Assemblea di Vancouver del Consiglio Ecumenico delle Chiese invitava i cristiani a una “visione eucaristica”, capace di abbracciare la vita personale e sociale, che si realizza nel creato. Oggi la stessa pace con il creato è parte di quell’impegno contro la violenza che costituirà il punto focale della grande Convocazione ecumenica che si terrà dal 17 al 25 maggio 2011 a Kingston, in Giamaica. La stessa 5ª Giornata per la salvaguardia del creato, del 1º settembre scorso, è stata celebratain spirito di fraternità ecumenica, nel dialogo e nella preghiera comune con i fratelli delle altre confessioni cristiane, uniti nella custodia della creazione di Dio. Perché il Creatore, tramite il creato, si prende cura di noi. La conoscenza scientifica, di cui è malato l’Occidente, non sa andare oltre la visione dell’io e i suoi grandi e ammirabili progressi. Difatti,l’uomo, ammaliato dal fascino e dal potere dell’oggettivazione, delle analisi, rimane prigioniero delle sue oggettivazioni ed è disincantato innanzi al mistero della vita, alla bellezza della natura, alla grandiosità delle creature viventi. Non siamo più in grado di stupirci, di meravigliarci, quindidi cercare qualcosa di nuovo, di più grande che è oltre le nostre intuizioni e definizioni. In un mondo determinato dalla tecnica e dal sapere delle scienze, Adamo si è curvato su se stesso e non riesce a “ri-conoscere”nelle cose di sempre il significato originale e ultimo della vita, così come dell’esistenza particolare e del destino del mondo. Nella teologia della creazione, invece, l’uomo, insieme al suo mondo e alle sue cose, apparecome un immenso e grande sacramento che ci parla di Dio. Pensiamo al grande contributo della teologia francescana e sapienziale: san Francesco, san Bonaventura da Bagnoregio e il beato Duns Scoto, ad esempio, ci invitano a riflettere sullo stupore della ragione innanzi alla bellezza di Dio e della creazione. L’intero peso del discorso scientifico deve essere riferito al modo dinamico e storico attraverso il quale la Trinità si rivela e si comunica: il Verbo incarnato. Occorre “vedere e ascoltare” in modo giusto, così come scoprire un metodo nuovo nella ricerca della verità e del senso della vita. La via del Logos-sarx è, dunque, l’unica percorribile. Cristo è, nel pensiero di san Bonaventura, l’arte divina incarnata, l’opera somma e più bella di Dio per noi. Il mondo è come un grande sacramento: in esso sono inscritti i segni della presenza di Dio. Seguendo la visione sapienziale biblica e della stessa tradizione francescana, possiamo affermare senza sbagliare che, potendo aprire la materia, troveremmo i segni del Logos, le impronte del Verbo, di quel Figlio unigenito in vista del quale tutto è stato creato dal Padre nella forza dello Spirito Santo. Non è forse vero che all’origine di quella che, in senso cosmico, chiamiamo “natura”, vi è “un disegno di amore e di verità”? Il mondo «non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso. Il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà. Il libro della Genesi, nelle sue pagine iniziali, ci riporta al progetto sapiente del cosmo, frutto del pensiero di Dio, al cui vertice si collocano l’uomo e la donna, creati a immagine e somiglianza del Creatore per “riempire la terra” e “dominarla” come “amministratori” di Dio stesso (cf. Gen 1,28). L’armonia tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descrive, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature. Di conseguenza, si è distorto anche il compito di “dominare” la terra, di “coltivarla e custodirla”e tra loro e il resto della creazione è nato un conflitto (cf. Gen 3,17-19). L’essere umano si è lasciato dominare dall’egoismo, perdendoil senso del mandato di Dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso un dominio assoluto. Ma il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato nel Libro della Genesi, non consisteva in un semplice conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla responsabilità. Del resto,la saggezza degli antichi riconosceva che la natura è a nostra disposizione non come un mucchio di rifiuti sparsi a caso, mentre la rivelazione biblica ci ha fatto comprendere che la natura è dono del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per “custodirla e coltivarla” (cf. Gen2,15). Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non perché ne dispongano arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce con il provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui. L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitareun governo responsabile della creazione, custodendola e coltivandola. Fare teologia oggi significa prendere sul serio il destino del mondo e orientare ogni nostra scelta di ordine etico, sociale e fisico alla custodia dei beni della terra e al rispetto della natura che ci circonda e ci cocostituisce in quanto persone create sì a immagine e somiglianza di Dio– nel Verbo incarnato – ma collocati da Dio nel giardino dell’Eden, l’immenso cosmo o universo che canta la gloria di Dio. L’uomo è chiamato a cantare l’amore di Dio che è in tutte le cose e sopra tutte le cose. In un certo senso, il destino dell’uomo è profondamente liturgico: cantare le lodi del Creatore. «Tutte le creature dicono Dio. Che cosa devo fare io allora? Io voglio cantare con tutti» (Bonaventura da Bagnoregio, Hexameron I,38). Se il mondo, nel quale Dio si manifesta solo da lontano, canta Dio, quanto più deve fare ciò l’uomo che è creato secondo l’immagine di lui.
EDOARDO SCOGNAMIGLIO