Dal latino 'votum' (verbo 'vovere', «consacrare»). Il voto è «[...] la promessa deliberata e libera di un bene possibile e migliore fatta a Dio, deve essere adempiuto per la virtù della religione» (CIC, can. 1191, §1). Nel caso della vita religiosa, contenuto privilegiato del voto è la triade povertà, castità e obbedienza; chi, con i voti, rinuncia ai tre grandi valori umani che i voti implicano, lo fa per seguire l'esempio e il consiglio dati da Gesù nel Vangelo (di qui l'espressione «consigli evangelici», cfr. Mt 19,16-21), in vista del raggiungimento della perfezione del Padre (Mt 5,48). Il voto è:
a) pubblico, se viene accettato dal legittimo superiore in nome della Chiesa: voti emessi negli istituti di vita consacrata, nelle società di vita apostolica, nelle associazioni pubbliche di fedeli e dagli eremiti;
b) privato, se è fatto solo davanti a Dio, senza intervento di alcun superiore a nome della Chiesa: voti emessi nel foro interno, anche se in associazioni private di fedeli (CIC, can. 1192, § 1);
c) solenne, quello che come tale è riconosciuto dalla Chiesa; è il diritto proprio degli istituti che deve stabilire se i propri membri emettono voti solenni, determinandone gli effetti giuridici, o voti semplici, con gli stessi effetti di quelli solenni oppure no (cfr. CIC, can. 668, § 4; nn. 204. 206. 216);
d) semplice, in tutti gli altri casi (CIC, can. 1192, § 2);
e) personale, quando ha per oggetto un'azione; ad esempio, preghiere, astinenza da un cibo ecc.;
f) reale, se l'oggetto è una cosa: ad esempio, elemosina, donazione di un calice ecc;
g) misto, qualora l'oggetto comprenda nello stesso tempo un'azione e una cosa: ad esempio, fare un pellegrinaggio per portare un'offerta;
h) temporaneo; fatto per un certo tempo, cessa allo scadere del tempo fissato (CIC, can. 1194);
i) perpetuo; fatto per sempre, cessa solo con la dispensa o la commutazione.
Va ricordato il voto emesso dai monaci benedettini insieme ai tre sopra citati, detto di 'stabilitas loci', permanenza stabile nel luogo: il voto lega il religioso al monastero eletto 'usque ad mortem', con l'eccezione dell'invio da parte dei Superiori in altro monastero (ad esempio, nel caso egli venga nominato abate).
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