Karl Rahner
-Il Concilio tradito
(Saggistica)EAN 9788864090115
Il testo di p. Giovanni Cavalcoli è l’ultima e più corposa concretizzazione di un movimento teologico volto a mettere in discussione la piena ortodossia di uno dei più influenti teologi del Novecento, Karl Rahner.
Il punto di partenza della critica dell’autore a Rahner, ovvero l’approccio gnoseologico, contiene in nuce gli elementi fondamentali che, declinati poi secondo varie tematiche, costituiscono il cuore delle accuse di errore rivolte al teologo tedesco. L’accesso trascendentale è inteso da Cavalcoli infatti come quell’unione indebita di essere e pensiero in cui il trascendentale ha tale preminenza sul categoriale da rendere quest’ultimo del tutto superfluo e meramente contingente. Ciò dipenderebbe sostanzialmente dalla matrice idealista, panteista e ontologista del pensiero rahneriano per cui l’essere reale non è piú la regola, la sorgente e il fondamento della verità, ma questa è deduttivamente coglibile solo a partire dall’autocoscienza riflessiva del pensiero (pp. 28-29). La trascendenza dunque precederebbe nel processo conoscitivo l’esperienza, che non potrebbe che essere deduttivamente concepita a partire dall’apertura del trascendentale, di contro al metodo autenticamente tomista che induttivamente partirebbe dall’esperienza delle cose create per giungere a Dio e alla trascendenza (p. 37). In altri termini l’esistenza di Dio in Rahner non sarebbe colta per induzione, passando dall’effetto alla causa, ma per una specie di simultaneità tra la conoscenza del mondo e la conoscenza di Dio (p. 115). Di conseguenza sulla scorta del pensiero di Heidegger, l’origine della verità non starebbe piú nel processo dell’adequatio intellectus ad rem quanto piú nell’apertura trascendentale che costituisce il soggetto (p. 41). La trascendenza verso Dio per converso non sarebbe piú intenzionalità verso un oggetto (obietcum) esterno al pensiero (p. 59), ma puro sprofondarsi nell’Ab-Grund che costituisce l’essenza dell’uomo e del mondo e che è già da sempre ogni volta presupposto e implicitamente presente come mistero santo (p. 49). Ora, questo è forse il momento maggiormente convincente e avvincente della critica di Cavalcoli a Rahner ovvero quando, sulla scorta di quanto già Balthasar (che tuttavia non è mai citato nel testo) aveva sostenuto, sembra che il movimento del pensiero rahneriano porti a ridurre il «Tu» assoluto di Dio, il suo volto personale e inconfondibile rivelato in Gesú Cristo (p. 55) a un contenuto apriorico della conoscenza trascendentale atematica già presente in ogni uomo e inteso quale semplice compimento di un mero bisogno umano (p. 185). Tutto ciò rimanda l’analisi al punto in cui la critica diventa insieme piú serrata e piú problematica, ovvero la cristologia.
Per il momento conviene soffermarsi tuttavia su altre conseguenze che il padre domenicano trae dai presunti errori gnoseologici rahneriani. E ci riferiamo alla presunta incapacità propria di Rahner di distinguere tra naturale e soprannaturale. L’apertura trascendentale infatti non sarebbe altro che una strisciante forma di panteismo in cui la divinizzazione dell’uomo non sarebbe opera del dono gratuito ed eccedente della grazia ma semplice compimento dell’essere umano che già in potenza è divino. Compimento che si giocherebbe tutto in una semplice attuazione dell’implicito, con la conseguente riduzione della verità da cui sgorga la fede alla libertà (p. 72). Per Cavalcoli di contro grazia e natura sono concepibili separatamente come lo sono la Parola di Dio e la capacità della ragione di comprenderla. L’una si innesta sull’altra presupponendola sí, ma senza che questa presupposizione la riguardi essenzialmente (p. 74). La visione del Dio trinitario di contro in Rahner sarebbe raggiungibile non attraverso una rivelazione che viene dall’esterno, ma per un semplice sviluppo delle possibilità intrinseche date a priori al soggetto (p. 120). Il soprannaturale e la grazia sarebbero ciò che costituiscono l’uomo in quanto tale e non un dono che avviene alla natura dall’alto (p. 164). Secondo la retta dottrina, afferma l’autore, invece il soprannaturale non è il fine del naturale, ma un fine ulteriore, infinitamente superiore e distinto che solo indirettamente sostiene le stesse virtú naturali (p. 308), in grado di far raggiungere all’uomo un compimento e una pienezza inimmaginabile per la sua mente (p. 167). Prova ne sarebbe che le virtú teologali non mutano la natura ma semplicemente la perfezionano e la elevano a una vita superiore e divina poiché la verità, per fare un esempio, può restare anche senza la carità benché, ammette l’autore, non allo stato di virtú perfetta (p. 80). In Rahner viceversa non vi sarebbe piú distinzione tra stato di grazia e stato di non grazia (pp. 167-169), con la conseguente svalutazione del significato di articoli fondanti la fede quali il peccato e i sacramenti. In questo misconoscimento della natura pura (p. 173), contraddittoriamente indiscernibile dal soprannaturale (quale infatti il criterio di una distinzione che non presupponga la conoscenza dei distinti?), in cui è il soprannaturale appunto ad essere il nucleo intimo dell’essere umano, per salvare il categoriale Rahner sarebbe costretto ad accentuare a tal punto la libertà da farla sfociare in una sorta di esaltazione volontaristica, di ascendenza idealista, che sfocerebbe nel superamento stesso dei limiti imposti da Dio, nella creazione, alla natura umana (p. 156). Una libertà che decidendo della stessa natura e non riconoscendo le norme oggettive che Dio fa scaturire dalla stessa natura umana, sfocerebbe a sua volta destinalmente negli esiti tragici dei regimi totalitari dell’hitlerismo e dello stalinismo (p. 162).
Quanto alla cristologia, Cavalcoli rimprovera a Rahner di introdurre in Dio il divenire quand’egli viene affermando che l’incarnazione è il divenire di Dio in un altro. Come infatti in Rahner si potrebbe dire che Dio diviene nell’altro pur rimanendo immutato in se stesso senza cadere in una flagrante contraddizione? La natura umana per il padre domenicano di contro è assunta da Dio non essenzialmente, viceversa si confonderebbe la natura umana con Dio (pp. 179-180). Ma il punto decisivo su cui all’autore preme ritornare è sempre lo stesso: l’idealismo rahneriano secondo cui la cristologia trascendentale renderebbe il Salvatore assoluto una forma a priori che attenderebbe di essere meramente riempita dai dati storici ed empirici sulla figura di Gesú (p. 186), con la già accennata riduzione di Cristo a semplice compimento di un bisogno umano (p. 190). Di ciò sarebbero prova la pochezza di riferimenti scritturistici nell’opera rahneriana riguardanti la figura di Gesú o la loro cattiva interpretazione sulla scorta dell’esegesi modernista di stampo protestante (pp. 202-203). Questo comporterebbe anche una incomprensione radicale della morte di Cristo come sacrificio vicario e soddisfattorio voluto dal Padre come compenso per l’offesa ricevuta dal peccato. Se infatti sulla Croce si vede, come vorrebbe Rahner traviato dall’eccessiva importanza data dall’esegesi protestante al grido di abbandono di Gesú prima di morire, solo la misericordia del Padre si è in errore poiché è solo la giustizia e non la misericordia a poter pretendere l’erogazione di una pena. Riconsegnare il tema della croce alla giustizia non significa tuttavia separarlo dalla misericordia, ma significa vedere in quest’ultima l’origine del dono, fatto dal Padre all’uomo, di potersi associare al Figlio per poter espiare i propri peccati mediante le croci di ogni giorno.
La quinta e ultima parte dell’opera è dedicata alla riflessione sulle conseguenze che l’impostazione di Rahner avrebbe anche su altri aspetti della vita cristiana, quali ad esempio il già citato indebolimento del senso del peccato; l’incomprensione del primato del sacro sul profano dovuto all’indebolimento dell’istanza della giustizia nella cristologia (p. 252); una errata comprensione del principio della gerarchia delle verità che comporterebbe un’eccesso di democratizzazione magisteriale all’interno della Chiesa che misconoscerebbe il fatto che il vero credente quando si tratta di fede non fa «scelte» (aireis, da cui eresie) ma ascolta tutto ciò che la Chiesa come istituzione infallibile dice (p. 279), per finire con la questione della salvezza. Secondo Cavalcoli il pensiero di Rahner sarebbe gravato da un fatale buonismo, in cui il peso del libero arbitrio e delle scelte ad esso connesse svaporerebbe a tal punto da estendere la salvezza a tutta l’umanità. Al contrario la speranza della salvezza per tutti non deve secondo l’autore dimenticare che la salvezza dipende da una libera scelta di fronte alla quale Dio si arresta e che presuppone il giusto castigo in caso di mancata accoglienza della grazia. Non tutti si salvano, dice Cavalcoli, e pregare per i nemici non significa non metterli in guardia da ciò che li attende se non si convertono (pp. 295-296), ma al contrario constatare l’inevitabilità della conseguenza penale – l’inferno – a loro destinato (p. 298).
Come dunque porre rimedio agli errori di Rahner e alla sua perniciosa influenza sulla teologia cattolica? Per prima cosa togliere a Rahner lo statuto di teologo per riconoscerlo per quello che è, ovvero un filosofo neokantiano (pp. 340-341) la cui teologia contrasta con svariati punti della dottrina e della fede cattolica; in secondo luogo emanare una istruzione ben documentata o una serie di esortazioni ben preparate volte a esplicitare dal punto di vista teoretico quella evidente condanna implicita presente nella Veritatis Splendor, dedicata al rapporto tra scelte categoriali e opzione trascendentale, che era rimasta confinata alla materia morale (pp. 344-345). E se ciò non dovesse arrivare, la convocazione di un nuovo Concilio (p. 20).
Il testo ha l’indubbio merito di svolgere le proprie critiche in maniera serrata, con abbondanza di citazioni dall’opera rahneriana e di chiamare la ricerca a confrontarsi con i temi che da sempre appassionano il dibattito teologico. Tuttavia alcuni punti lasciano perplessi.
In prima istanza il riferimento alla questione conciliare presente fin dal titolo e con cui si conclude il testo. Rahner viene preso ad esempio massimo della tesi interpretativa della discontinuità che il Vaticano II avrebbe introdotto nella storia della Chiesa. Cavalcoli, posto invece sulla linea della piú piena continuità, tuttavia non solo isola le posizioni di Rahner rispetto a un movimento piú ampio ridotto genericamente a modernismo, ma contrappone rigidamente continuità e discontinuità senza accennare alla possibilità di una discontinuità nella continuità.
Ma non solo, perché la stessa genealogia del pensiero rahneriano appare confusa fin quando non errata. Lo sviluppo del pensiero del teologo tedesco è ora accostato ad Heidegger, ora ad Hegel e a Fichte, ora definito neokantiano, ora avvicinato a Marx, a Nietzsche o al materialismo, al panteismo o al monismo e addirittura al pensiero indiano, il tutto senza soluzione di continuità in una sorta di demonizzazione di ciò che è altro dal tomismo, che si conclude, cosa che suona davvero eccessiva, con l’accostamento di Rahner al pensiero massone. Accusa ripetuta piú volte, e la cui gravità meriterebbe ben altra giustificazione bibliografica di quella riportata. In ogni caso appare evidente nell’opera di Cavalcoli, oltre alla scarsa attenzione e alla scarsa conoscenza (che di contro non mancava a Rahner) del pensiero filosofico, anche l’identificazione della dottrina cristiana con una unica prospettiva filosofica, ovvero quella tomista. Identificazione che si spinge a tal punto da rendere il testo quasi una discussione sull’ereticità di Rahner rispetto al tomismo piuttosto che alla dottrina cattolica. In questo senso il testo non sembra dibattere in modo veramente critico i punti piú nevralgici della teologia di Rahner ma semplicemente mostrare le ragioni di una condanna (come appare anche dalla bibliografia a fondo libro) di questi medesimi punti.
Entrando piú nel merito, come già accennato la quaestio piú convincente pare essere quella in cui la critica di Cavalcoli converge con quella di Balthasar. Tuttavia non è nella linea di Balthasar che essa viene svolta, e se è appunto motivo di dibattito l’effettiva centralità in Rahner del «Tu» di Dio per l’uomo, è pur vero che le argomentazioni del padre domenicano di contro giustificano Rahner. Sulla questione natura/grazia, è evidente la deriva verso l’estrinsicismo e se in Rahner manca il «Tu», in Cavalcoli la distanza tra l’uomo e Dio è talmente insuperabile da ridurre quest’ultimo a un «oggetto che mi sta di fronte come quell’albero o quel tizio con quale parlo» (p. 306), con la conseguenza che la gratuità di Cristo rasenta l’essere superfluo e l’inessenzialità per l’uomo (ciò che è gratuito non può mai in alcun modo essere dovuto), ovvero proprio il rischio che Rahner cercava di superare. Il suo tentativo infatti consisteva nel pensare insieme la necessità e la gratuità di Dio per l’uomo e la loro relazione.
L’impostazione di Cavalcoli ha conseguenze anche per la cristologia. Se infatti è vero che nelle opere di Rahner le citazioni dalla Scrittura sono relativamente poche, è altrettanto vero che nel testo in questione oltre che poche citazioni a sostegno delle tesi proposte vi è anche un evidente errore allorché il tema della kenosi viene attribuito alla lettera agli Efesini e non a quella ai Filippesi (p. 181). Ma non solo, perché l’estrinsecismo in cui rischia di scivolare Cavalcoli quanto all’assunzione della natura umana nell’incarnazione, non tiene in considerazione proprio il tema propriamente rahneriano della perenne validità e centralità dell’umanità concreta dell’uomo Gesú per la salvezza per come viene descritta nella Teologia del simbolo. Discutibile inoltre sembra la ripresa soteriologica delle prospettive anselmiane, cosí come discutibilissima è l’assimilazione della cristologia di Rahner a quella hegeliana (p. 218), quando è nota la distanza che su questo punto separa il teologo tedesco dalle prospettive sulla sofferenza in Dio presenti per esempio in Moltmann. Da ultimo ancora, come appare dal Corso fondamentale sulla fede, ammessa una formulazione non sempre precisa, in Rahner il trascendentale non mortifica il categoriale, ma si dà a essere compreso solo nel rimettere il categoriale irriducibilmente a se stesso, per cui appare discutibile l’accusa rivoltagli di deduttivismo. Rahner parte dal categoriale per comprendere il trascendentale come apertura al mistero e non viceversa.
Per concludere il testo di Cavalcoli lascia dubbiosi sull’effettiva radice evangelica (e potremmo dire conciliare, nello spirito del Vaticano II) di un atteggiamento culturale in cui la difesa della verità diviene criterio che vede nei presunti nemici della fede non qualcuno con cui instancabilmente dialogare in un maggior dono di sé come Cristo sulla Croce, ma qualcuno contro cui combattere in nome del Dio dell’Identità (p. 304).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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Giovanni Cavalcoli, padrecavalcoli@gmail.com il 25 novembre 2012 alle 16:14 ha scritto:
Gentil Recensore,
La ringrazio per l'attenzione che ha rivolto al mio libro. Vorrei solo dire che il Vangelo chiede di riconoscere e confutare gli errori, come ciò è già richiesto dalla coscienza naturale. E' ovvio che ciò non comporta il disprezzo ma al contrario il rispetto dell'errante. Che poi la mia critica sia sempre centrata, non lo so e la ringrazio delle sue obiezioni. Quanto al Dio dell'identità, non è altro che il Dio critaiano, dal Volto unico e inconfondibile. Per questo è importante stabilire con certezza gli attributi divini, per non confondere il Dio vero con un falso dio. P.Giovanni cavalcoli,OP
Marco Rossi il 25 agosto 2018 alle 10:26 ha scritto:
Specialistico, approfondimento di una teologia di moda
Renato Pera il 29 ottobre 2019 alle 18:30 ha scritto:
Rahner: un teologo un po' ostico che non tutti capiscono alla prima lettura. Non sempre condiviso ma i cui testi sono da approfondire!