La lettura di questo libro “potrebbe” – come si dice – “urtare la vostra sensibilità” perché vi si tratta, senza veli, di umiltà, argomento quanto mai ostico alle orecchie di molti. Santa Caterina da Siena che, oltre ad essere “Dottore della Chiesa” è donna (persona, cioè, dotata di quella capacità di andare direttamente al cuore dei problemi che a volte hanno le donne) definisce semplicemente “orgoglio” il “mondo”, quel “mondo” di cui Cristo dice che non bisogna meravigliarsi che abbia in odio i suoi discepoli.
Una seconda avvertenza la dedicherei a chi scartasse questa lettura ritenendola non consona alla sua età. Perché se “vecchiaia” è per definizione il tempo più prossimo alla morte, non rimane nessuno che possa disinteressarsene. Per loro “l’avvertenza” viene da S. Bernardo: «L’ultimo giorno viene! Per i vecchi è già sulla soglia, per i giovani è comunque in agguato». E ancora: «Temo per voi che la vita vi dia l’impressione di essere lunga e perciò vi procuri, invece di consolazioni, tristezza».
Quanto segue potrebbe inoltre essere scambiato per mera autobiografia, ma non lo è. L’autore si dichiara convinto con Pablo d’Ors che «Quanto succede nelle nostre teste e nei nostri cuori ha lo stesso grado di verità di quanto succede davanti ai nostri occhi e tra le nostre mani. La fantasia non è meno vera della storia».
Va da sé, infine, che l’insistere su di una determinata virtù da parte di chiunque ne rivela sempre il difetto principale. Ma questa avvertenza riguarda l’autore, non il lettore.
Succede che, per alcuni, la vecchiaia è disperazione: «Non mi aspetto più niente… Cosa vuole, alla mia età!». Per altri sopportazione: «Brutta cosa la vecchiaia!». Per alcuni la vecchiaia diventa pazzia, come quella dell’insegnante sessantenne che dichiara alla stampa che vuole “rifarsi una vita” con l’alunna di 13 anni. Per altri (i più) la vecchiaia è la “speranza di vita” che vendono le statistiche («Coraggio, oggi la speranza di vita è aumentata!»): una cosa che assomiglia più ad una condanna che ad una opportunità. Non si può neppure morire! Si è obbligati a vivere oltre ogni limite di decenza.
Per pochi infine (pochi infatti sanno invecchiare) la vecchiaia è il tempo del desiderio: desiderare come non lo si è mai fatto fino allora il “tempo non tempo” che seguirà: l’incontro con l’amore di tutta una vita.
Tarcisio ZANNI è nato a Cremona nel 1945, all’incirca nelle ore in cui a Hiroshima e Nagasaki veniva, in maniera discutibile, posto fine al secondo conflitto mondiale. Cresciuto nella provincia bianca, cattolicissima del Nord Italia (ora placidamente atea) e nelle relative istituzioni, ne è uscito con furore negli anni della contestazione studentesca e operaia, detti, per brevità, “del ’68”. Conseguite a suo dire “inutilmente” la laurea in Filosofia presso l’Università di Bologna e la Licenza in Teologia all’Università del Laterano in Roma, ha incontrato, per pura grazia di Dio, il Cammino Neocatecumenale nel 1971 a Scandicci, e ne è stato “salvato” – al dire del suo amico Carlo Carretto – «come Mosè dalle acque». È sposato con Clementina fin dal 1976 e ne ha avuto tre figli, Michele, Giacomo e Stefano, per i quali non cessa di benedire Dio. Inviato nella “Missio ad gentes di Hanoi”, vi ha vissuto per tre anni, e ne ha riportato un certo amore per il Vietnam. Ha scritto diversi saggi di teologia divulgativa e di indole catechetica, per l’Editrice Chirico di Napoli, sul sito della quale alla voce “autori” se ne trova elenco completo.
Da segnalare tra gli altri: A Betlemme (2004); La Veglia (2004), cioè come arrivare all’alba del giorno di Pasqua senza accorgersene; Venduto in Giuseppe (2008); Che cosa c’è di diverso in questa notte? (2010); Verso il Natale in famiglia (2014); Assunti in cielo (2016) per una pedagogia eucaristica; Intervista a Francesco Cuppini (2016); Viaggio alla ricerca dell’Italia cattolica che non si trova più (2018); La debolezza di Dio (2020) ossia la “vera” storia di Anania di Damasco; Giuseppe di Nàzaret (2021); e infine Quando essere vecchi è una risorsa (2021).