Salvatore da Horta, il medico delle febbri. Un culto per l'identità sarda
(Studi storici Carocci)EAN 9788843089697
Non meraviglia che il prolifico autore, il francescano Giuseppe Buffon, docente e decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Antonianum di Roma, si dedichi a un tema così particolare, nel trattare una figura storica di un frate osservante spagnolo (1520-1567), recuperato a secoli di distanza in Sardegna e divenuto sicuro intercessore e taumaturgo; non meraviglia perché il testo si pone in linea con altre ricerche e testi nei quali l’autore coniuga congiuntamente il frutto delle sue competenze di storico della Chiesa e di cultore di scienze sociali applicate alla storia religiosa.
Il testo offre un buon esempio di un fenomeno agiografico, quello di Salvatore da Horta che, partito con una grande fama di santità taumaturgica emersa nel processo di canonizzazione avviato dopo la sua morte, è silenziata nei successivi eventi storici, giungendo a conclusione solo nel 1938, con un interessante recupero memoriale di un santo vissuto secoli prima, sardo per caso, ma adottato in un processo di identità sarda. È proprio l’analisi e le motivazioni di questo recupero che costituisce il focus dello studio di Buffon. Le parole con cui l’autore chiude l’Introduzione, dice di questo fenomeno: «È nostra persuasione che la canonizzazione di Salvatore da Horta costituisca nient’altro che l’apoteosi tra l’isola malarica e il medico delle febbri» (p. 23). Ma a questo punto, prima di ricostruire il percorso proposto dall’autore, che parte dalla ripresa del culto e delle sue motivazioni, è opportuno comprendere chi è il personaggio in oggetto. Un "povero uomo" nato in un oscuro villaggio della Catalogna attorno agli anni 1520, da una poverissima famiglia, che tenta dapprima un suo percorso vocazionale presso l’abbazia benedettina di Montserrat, presto fallito ma proseguito nell’Ordine francescano, assumendo il ruolo tipico di molti semplici frati del tempo che, nel loro compito di umili questuanti, sono stati capaci di attirare la devozione e la simpatia di moltissime persone. Un semplice fraticello ben presto investito di fama di santità, ricercato per le proprietà taumaturgiche che dispensa generosamente a quanti vengono da lui incontrati. Proprietà che si espandono in misura eccessiva, disturbante la tranquilla quotidianità del convento in cui risiede, per cui chiede di passare in Sardegna, possedimento spagnolo, nel convento di Cagliari. Il cambiamento di luogo non muta la sua taumaturgica fama, che si propaga rapidamente, in modo eclatante, nell’isola. Alla sua morte (1567) a interessarsi perchè la sua santità venisse canonizzata furono gli stessi sovrani spagnoli con ripetuti interventi presso la curia romana. Per una serie di eventi, il processo avviato e giunto a buon punto non arrivò a conclusione. Su questo quadro, presentato in modo sintetico dall’autore, si innesta la ricerca sui protagonisti del recupero taumaturgico del beato che giunge finalmente alla canonizzazione (1938) e il declino della sua funzione di intercessore in un contesto mutato. I capitoli successivi, affrontati con dovizia di documentazione, illustrano il recupero della memoria del beato, il cui corpo era stato trasferito nel nuovo convento francescano di Santa Rosalia. Gli "attori" sono alcuni frati francescani, non isolani, impegnati, a nome dell’Ordine, a riorganizzare nell’isola l’Ordine dopo le soppressioni sabaude. Un progetto in cui il culto del beato è affiancato da quello sempre più diffuso della Madonna, nel titolo con cui si era presentata a Lourdes. Protagonista principale della rinascita francescana sarda fu il marchigiano padre Ferdinando Diotallevi, incaricato allo scopo dal ministro generale: si deve a lui la rivitalizzazione della memoria offuscata del beato spagnolo, operando in tal senso, fino a quando poté svolgere un compito direttivo nell’isola, vivendo successivamente di alterna fortuna. Posizioni diverse, anche conflittuali, sorgono all’interno della stessa Provincia francescana sarda, dovute a questioni identitarie che coinvolgono i frati non sardi inviati dalla dirigenza dell’Ordine e quelli isolani, fautori dell’identità sarda, concretamente bi- sognosa di un aiuto anche economico nella disastrata realtà economica dell’isola che colpiva i frati e le famiglie di provenienza (pp. 72-73). È un’identità sarda costretta, nel bene e nel male, ad allargare i propri orizzonti identitari vivendo l’esperienza nazionale del primo conflitto mondiale.
È interessante l’analisi che l’autore conduce nel ricostruire il possibile antagonista all’adottato taumaturgo sardo, ovverosia il "taumaturgo" per eccellenza, Antonio di Padova, la cui devozione era fortemente presente nella tradizione popolare sarda (cap. 8: Salvatore da Horta tra san Francesco, la Vergine di Lourdes, sant’Antonio e il Sacro Cuore). Non si trattava di metterli in antagonismo, ma di costruire sinergie agiografiche parallele. È una storia in crescendo, puntualmente analizzata nei capitoli successivi, che costruisce, anche in modo accelerato, la congiunzione fra la memoria di un santo antico, sempre più proposto nella sua mediazione taumaturgica con la stessa identità sarda (cap. 15: Storiografia sul nesso casuale tra autonomia francescana sarda e canonizzazione di Salvatore da Horta. La ritrovata identità religiosa emancipa l’autonomia locale). È un processo che, finalmente dopo secoli dall’avvio, raggiunge la meta della canonizzazione nel 1938 (cap. 14: I festeggiamenti per la canonizzazione a Cagliari, a Roma e in tutta la Sardegna. Sardegna in vetrina). Nei vari discorsi dell’evento non era mancato il rilievo dato alla patria d’origine del santo, spagnolo prima ancora di essere sardo. Siamo nel 1938, significativa data per cui è «la "cattolicissima Spagna", e non invece l’eroica e nobile Sardegna» a ricevere il solenne riconoscimento, politico non meno che religioso, in feste nelle quali era stata espressa la gratitudine del popolo spagnolo, direttamente dal vittorioso generalissimo Franco (p. 185, cap. 18). Dopo l’apice trionfale, si verifica il processo di un progressivo appannamento. Vi contribuiscono la "concorrenza" di un santo sardo doc, il cappuccino Ignazio da Laconi (1701-1781, canonizzato nel 1951), come pure l’intensa campagna di disinfestazione malarica nell’isola del "Sardinian Project" sostenuta dalla Fondazione Rockfeller, che abbatte l’incidenza malarica, togliendo meriti taumaturgici al santo "medico delle febbri" (cap. 20). Sono ben diciassette le appendici a corredo del volume, da quelle iconografiche al rilevamento delle grazie ottenute per intercessione del beato Salvatore dal 1927 al 1937 (Appendice XVI), con un’analisi che cataloga le motivazioni delle grazie (Appendice XVII) ricavate dal "Bollettino del beato Salvatore da Orta" diffusore e collettore del culto negli anni migliore del suo recupero.
Il testo di Buffon costituisce un saggio di rilevante importanza metodologica in cui storia e analisi socio-religiosa si incrociano in modo convincente, offrendoci un caso esemplare di ricostruzione agiografica come si è costruita nel tempo con una specifica intenzionalità devozionale e ideologica.
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" LIX, 2019, fasc. 3
(http://www.centrostudiantoniani.it/)