Il secondo tomo completa la pubblicazione di Storia ecclesiastica, l'opera cui è legata la fama di Eusebio e alla cui stesura lo scrittore dedicò venticinque anni di instancabile lavoro. L'Autore non l'ha concepita come un'esposizione continua ed ordinata dello sviluppo della Chiesa attraverso le tappe più importanti della sua storia, ma come una raccolta di materiale dell'antichità cristiana, disposta secondo il criterio cronologico. Suo scopo infatti è di mettere per iscritto le successioni dei santi apostoli, i tempi trascorsi a partire da quelli del nostro Salvatore, per tracciare un'apologia storica del cristianesimo, genere di cui Eusebio è considerato l'inventore. Tradotta in siriaco, armeno, copto e latino, l'opera ha conosciuto da subito una vasta diffusione e ad essa si ispirarono, nella struttura e nel metodo, molte storie della Chiesa.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Questo Concilio di Nicea è veramente una testimonianza indelebile contro ogni eresia.
(Atanasio ed episcopato egizio-libico,Lettera ai vescovi africani, 11, PG 26, 1048 A)
IL CONCILIO DI NICEA (325)
Verso un concilio generale
Per contestualizzare l'opera di Atanasio De decretis Nicaenae Synodi DD), dobbiamo ripercorrere a grandi linee gli avvenimenti che hanno portato alla convocazione del concilio ecumenico di Nicea, nonché quelli immediatamente successivi.
La vicenda può farsi iniziare ad Alessandria verso il 320, quando la predicazione del presbitero Arto fu messa sotto inchiesta dal vescovo di quella città, Alessandro. Ario infatti affermava che Cristo inquanto Logos non è coeterno con il Padre, ma fatto dal nulla, come lap rima delle creature. L'inchiesta si concluse con la deposizione di Ario e di alcuni suoi seguaci in un sinodo locale.
Questo tipo di provvedimento non era nuovo, bensì usuale nella Chiesa dei primi secoli. Anche Origene, una novantina di anni prima, sia pure per altri motivi, aveva subito la stessa sorte. Se colui che era colpito dalla scomunica riteneva ingiusto tale giudizio, allora si poteva appellare a qualche altro vescovo in grado di convocare un sinodo alternativo. Se non trovava nessuno pronto ad accogliere questo ricorso, la sua causa era chiusa; ma se c'era qualcuno disposto a dargli retta, il processo poteva considerarsi ancora aperto. Così in effetti fece Ori gene, che fu accolto dai vescovi della Palestina.
Anche Ario fece appello a un vescovo suo amico, Eusebio di Nicomedia, compagno di scuola presso Luciano di Antiochia. Eusebio accolse Ario e sposò in pieno la sua causa, cogliendola come l'occasione propizia per far valere la sua personale influenza. Scrisse infatti ai vescovi delle regioni vicine, dichiarando apertamente il suo sostegno ad Ario. Alessandro non vide volentieri questo allargamento del conflitto e scrisse una lettera enciclica, chiedendo a tutti i vescovi di non accogliere Ario e compagni, essendo stati riconosciuti come eretici e apostati, e presentando Eusebio di Nicomedia come un vescovo assetato di potere.
Fino allora l'unità della Chiesa, nonostante le numerose tensioni sul piano dottrinale e pratico, si era mantenuta grazie alla buona volontà dei vescovi, al loro sensus Ecclesiae e alla paziente ricerca di un consenso per mezzo di sinodi locali e di un continuo contatto epistolare. Ora però il contrasto tra i vescovi egiziani e quelli orientali pareva insanabile, tanto più che il risvolto dottrinale della questione era molto più serio di quanto si potesse pensare. In effetti Ario, oltre ad avere in Eusebio di Nicomedia un sostenitore dal punto di vista ecclesiale, aveva trovato in Asterio il Sofista, originario della Cappadocia e anch'egli discepolo di Luciano di Antiochia, un valido teorizzatore della sua posizione dottrinale 5. Tutto ciò portava divisione e confusione anche tra i fedeli.
Questa era la situazione che trovò Costantino quando, nel 324, sconfitto Licinio, rimase unico imperatore romano. Già da tempo egli aveva manifestato le sue simpatie per il cristianesimo, il cui universalismo poteva fare da supporto all'unità dell'impero. Per questo Costantino prese a cuore le questioni che allora agitavano la Chiesa. Come già per il problema donatista nell'Africa Romana, anche nella questione ariana egli volle intervenire direttamente. Costantino scrisse una lettera ad Alessandro e Ario, invitandoli alla pacificazione 6. Ma, evidentemente, egli aveva sottovalutato la portata teologica della disputa. Si venne così all'idea di un concilio generale, suggerita forse a Costantino dal vescovo amico Ossio di Cordova. Certamente tale idea poté realizzarsi grazie all'appoggio logistico dello Stato romano, altamente centralizzato, che mise a disposizione dei vescovi i suoi mezzi di trasporto e una sede conveniente.