ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
1. Vita
Aurelio Ambrogio appartenne a nobile famiglia cristiana originaria di Roma. Nacque a Treviri in Gallia il 339-340 circa. Alla morte del padre, prefetto del pretorio, si trasferí fanciullo nell'Urbe insieme alla madre e ai due fratelli maggiori, Satiro e Marcellina. Dotato di ingegno eccellente, attese agli studi con passione, distinguendosi nelle lettere e nella giurisprudenza. Percorse la carriera degli onori con successo. Dopo aver ricoperto cariche di un certo rilievo, fu nominato governatore delle province Liguria ed Emilia, con sede Milano. La dolcezza del carattere, l'affabilità, l'amore della giustizia, la dottrina, lo rendevano a tutti accetto. Sta di fatto, alla morte del vescovo ariano Aussenzio nel 374, essendo nati tumulti a Milano per la nomina del successore, improvvisamente, egli, che era allora catecumeno, fu proclamato vescovo dai cattolici e dagli ariani che pure fino a quel momento avevano tra loro battagliato aspramente.
La tradizione vuole che, essendo Ambrogio entrato in chiesa per mettere pace tra i contendenti, ad un tratto un fanciullo gridasse: « Ambrogio vescovo », e che le parole fossero interpretate un segno del cielo. Dapprima reticente, fini per accettare l'alto ufficio, anche per le sollecitazioni che gli provenivano poste. Nel giro di pochi giorni fu battezzato, ordinato sacerdote, quindi, il 7 dicembre 374, consacrato vescovo. Si accinse al nuovo, delicato compito, con alto senso di responsabilità. Studiò la Sacra Scrittura, assimilandone il contenuto e, soprattutto, lo spirito. Approfondí la filosofia di Filone alessandrino e di Plotino neoplatonico, il pensiero cristiano dei Padri della Chiesa greca, Origene, particolarmente, e Basilio.
Ottemperando ai divini insegnamenti, distribuì ai poveri i suoi averi, amò di tutto cuore il prossimo. Mite, indulgente, era duro, veemente nelle invettive contro i prepotenti. L'esperienza della pubblica amministrazione, nella quale aveva per anni militato, gli servi nella cura della diocesi. Esercitò influenza sugli imperatori Graziano ( 375-383) che lo considerava suo maestro spirituale, Valentiniano II (383-392), Teodosio il Grande (379-395). Giustina, madre di Valentiniano II, che aveva la tutela del figlio minorenne, si valse dell'opera del vescovo in due ambascerie presso l'usurpatore Massimo a Treviri, in vista di un possibile accordo col ribelle. Ambrogio si mostrò assai prudente in entrambe le missioni.
Approfittando della sua assenza da Roma, al tempo della prima legazione (383-384), i senatori pagani, facendo capo ad Aurelio Simmaco, prefetto dell'Urbe, presentarono all'imperatore una petizione per ricollocare nella Curia l'ara della Vittoria, che era stata rimossa dalla sede del senato in forza di un editto di Graziano. L'autorità imperiale avrebbe ceduto, se Ambrogio non fosse per tempo rientrato Italia e non avesse impedito l'abrogazione dell'editto. I rapporti con Giustina furono improntati ad amicizia. Tuttavia sostenne con lei duri scontri, allorché l'imperatrice, incline all'arianesimo, voleva assegnare agli eretici per il loro culto la basilica Porziana di Milano. Il popolo dei fedeli, nel timore che Giustina la facesse occupare dai soldati, pronto a morire per il suo vescovo, trascorreva con lui le notti nella chiesa. In quella circostanza venne introdotto l'uso, già praticato in oriente, di cantare inni e salmi, perché il popolo non si avvilisse nella tristezza e nel tedio'.
Ambrogio nutri stima infinita per Teodosio, ma ciò non tolse che si mostrasse inflessibile nei suoi riguardi ogni volta che, a suo giudizio, sbagliasse. Nel 388, in un discorso tenuto nella chiesa, lo rimproverò acerbamente per avere con un decreto imposto al vescovo di Callinico sull'Eufrate di ricostruire coi fondi della comunità la sinagoga giudaica che sorgeva nella città e che era stata incendiata dai cristiani del luogo. L'editto fu revocato. Nel 390 vietò l'ingresso nella chiesa a Teodosio reo della strage di Tessalonica ( 390) e lo riammise alla comunione dei fedeli dopo che ebbe fatto pubblica penitenza. Tuttavia, alla morte del grande imperatore ( 17 gennaio 395), ne pronunziò l'elogio funebre con sincera commozione. Mori a non molta distanza di tempo, il 4 aprile 397.
Ambrogio è annoverato tra i grandi Dottori della Chiesa. Meritamente, giacché durante l'episcopato lottò unicamente per assicurarle incomparabile prestigio. Non soltanto le garanti indipendenza dal potere laico, ma ottenne che lo Stato si riconoscesse ad essa subordinato in materia di fede.
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Don Francesco Agostani il 18 gennaio 2014 alle 00:27 ha scritto:
Sant'Ambrogio scrive questo testo in risposta ai Novaziani, componenti di una frangia ermetica della Chiesa delle origini, che ritiene di poter condannare, senza avere però la facoltà di perdonare. A chi si oppone alla riammissione dei peccatori, il Santo Vescovo ricorda la nostra condizione di peccatori graziato e la necessità di porsi continuamente in uno stato di continua conversione. Opera in due libri, nel primo viene consultata la dottrina ermetica, nel secondo viene chiarita la dottrina sulla penitenza secondo la Chiesa latina dei primi secoli. Notevole l'apporto energetico e il numero dei passi della scrittura citati