Opera tra le più celebri di Agostino, il "Commento alla Prima Lettera di Giovanni" nasce intorno al 413, in occasione delle festività pasquali. Si tratta di un tractatus, ovvero di un commento orale compiuto davanti ad un uditorio presente. Agostino spiega e commenta il testo giovanneo nel quale "si tesse, più che in altri scritti, l'elogio della carità". La carità è l'essenza stessa della vita divina; Dio è amore in un continuo, gratuito dono di sé. L'uomo è chiamato a rispondere all'amore di Dio attraverso un amore benevolo, umile, paziente e gratuito verso il prossimo senza alcuna distinzione o divisione. Grande pastore di anime e sensibile oratore, Agostino dosa linguaggio e argomento alle reazioni degli ascoltatori.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Il contenuto del commento agostiniano alla lettera di Giovanni non si presta ad una facile catalogazione: vi si parla della carità — questo ne è il tema centrale — non tanto per disquisire su di essa, quanto piuttosto per esortare i cristiani ad amare, realizzando il duplice precetto di Gesù Cristo al riguardo. E se tale contenuto si vuole capire integralmente è dal punto di vista dell'esortazione che ci si deve porre.
E l'incitamento l'elemento di maggior rilievo in questa trattazione; un incitamento appassionato, convinto, che fa gioco sulle sue possibilità di presa nell'ordine affettivo; un incitamento che proprio per questo va alla ricerca di valide ragioni, di motivi che tocchino l'uomo fin nelle sue viscere e non lo lascino indifferente.
Il fulcro degli argomenti di persuasione sta nella validità della Scrittura: non è che questo venga esplicitamente detto, ma dal modo in cui essa viene citata, dal modo di sottolinearne le espressioni risulta evidente che la Scrittura parla in maniera decisiva. O forse sarebbe meglio dire, suadente, senza ambiguità e senza parzialità. Agostino cita e commenta la Bibbia, sentendosi penetrare da quanto il testo dice, tanto che la persuasione ne è logica prima conseguenza. E di questo egli sembra convinto per tutti: egli apre a tutti, commentando il significato scritturistico, perché ne consegua che tutti ne siano presi come avviene per lui. Si pensi che qui tutto si opera nella prospettiva di quel movimento vitale che è la carità e si potranno così percepire nel loro forte valore esortativo i modi di procedere di Agostino nel presentare il testo biblico.
Il cristiano poi in queste argomentazioni persuasive sente totalmente portata in discussione la sua stessa adesione a Dio attraverso la fede: poiché secondo Agostino l'adesione a Dio non può manifestarsi che attraverso la carità. fede e amore convivono nel vero discepolo di Gesù Cristo tanto da poter dire che l'eretico nega l'una e l'altra virtù, da qualunque punto parta.
Ma come Agostino presenta la carità? Innanzitutto e fondamentalmente egli ce la propone come l'essenza stessa della vita divina: perché Dio è carità.
Agostino intuisce, sulla base del dato scritturistico, che Dio è vita, e perciò egli è luce, luce di coscienza che non lascia tenebre in se stessa, in nessun angolo, luce che permette una autodeterminazione perfetta nella verità. Per questo Dio è amore; amore senza macchia, amore senza nessuna diminuzione di peccato; poiché in quella luce il peccato non può esistere. Ci troviamo di fronte ad una concezione di Dio in cui l'amore non è soltanto una qualità o una componente dell'essere, ma piuttosto l'essere stesso: egli è vita, luce, amore in consequenzialità dell'essere se stesso. E le cose non possono stare diversamente, senza distruggere quello che Dio è. E si delinea l'essenza della Trinità: amore che vive in pienezza.
In questa visione si specificano altri elementi che diventano esortativi per l'uomo alla pratica dell'amore: l'assenza di peccato, già detta, e la capacità di dono. Poiché Agostino vuole spingere l'uomo a vivere l'amore nella massima autenticità possibile, egli ricerca in Dio quegli elementi che l'uomo possa riprodurre in sé, in questa prospettiva. L'assenza di peccato si presenta come una caratteristica che aumenta, non diminuisce la vita e l'amore, come una caratteristica di ordine vitale constatabile nell'ordine delle azioni, come un fatto interamente assumibile dall'uomo. La purezza di Dio è infinita e non lascia luogo a tenebre: l'uomo viva fuori dalle tenebre del peccato ed avrà l'integrità dell'amore. La capacità di dono di Dio è da noi sperimentata invece direttamente in noi medesimi: Dio ci ha amato e perciò esistiamo: Dio ci ama e perciò esiste il Cristo per noi. E perché Dio ci ama? Non per noi, ma perché egli — Dio — ha in sé questa mirabile capacità di donare. Ne risulta una «grandiosa gratuità» che pone Dio in nobilissima superiorità sull'uomo e l'uomo nella necessità di imitarlo per avere in sé ancora la vita. L'amore è dono gratuito di Dio, in Dio che è vita; se l'uomo perciò vuol raggiungere la vita raggiunga l'amore del dono gratuito.
La testimonianza vivente di tale dono è la persona di Cristo che si presenta, in questo trattato sulla carità, come una domestica figura di maestro, di compagno, di amico. Maestro ci appare il Cristo nel continuo richiamo alle sue parole, ai suoi esempi, anzi per questo è venuto a parlare della carità. Ma egli è un maestro vicino ai suoi discepoli con una tale buona dimestichezza di vita da renderlo anche affettuosamente legato a loro, come compagno di cammino, come amico, che conosce e compatisce e vibra con loro. L'amore di Dio trova nel Cristo la realizzazione pratica, l'esempio per l'uomo. «Egli è il Signore», ma questo è detto come in famiglia i figli dicono semplicemente «il babbo»: un'autorità che è un esempio e un sostegno.
Nell'uomo, a somiglianza di Dio, la carità si realizza pure nella vita: una vita in cui la luce tolga il peccato che è tenebra e lasci perciò la coscienza in un dominio di sé pieno e libero da deviazioni egoistiche. Una vita soprattutto che sia dono continuo di se stessi, proprio come Dio è e come il Signore ci ha insegnato a fare. E non si minimizzi l'insegnamento: la correlazione esistente tra vita, assenza di peccato, luce, dono di sé costituisce uno stimolo di tale profondità da porre l'uomo in una continua ricerca di Dio, origine della vita, per poter tendere alla meta dell'amore e per sentire che qui è la verità.
Sulla base di tali concetti, la carità si esplica secondo la parola di Giovanni e secondo il commento agostiniano nella realizzazione del duplice precetto dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo in una posizione di reciproca interdipendenza vitale.
L'amore per Dio è visto da sant'Agostino come un'adesione che è fatta di conoscenza e di attrazione a Dio: un movimento che abbraccia tutta l'estensione del vivere umano. Dio è l'amore e come tale deve venir conosciuto e inteso e voluto dall'uomo, che arriva così alla sintesi di conoscere l'amore per poter amare i fratelli. Ma quando Agostino si pone nella prospettiva negativa della ricerca di Dio da parte dell'uomo, ci rivela ancor più la realtà vitale del precetto dell'amore di Dio che risulta un fatto più che un comando: il cattivo non può vedere Dio, egli afferma a dimostrazione che di slancio vitale si tratta e non di imposizione esteriore di un comando.
Indubbiamente deriva da tutto ciò che questo amore-vita è dono di Dio che cresce nell'uomo in una simbiosi di movimenti umani e divini che costituiscono l'essere stesso del cristiano. E ci sembra infine doveroso sottolineare un altro concetto che riafferma i precedenti nella linea di pensiero esposta: e cioè come l'amore rende figli di Dio, così l'odio rende figli di Satana. Agostino si serve anche dei ripieghi negativi del pensiero per giungere alle sue conclusioni: l'odio è demonio, è morte proprio perché l'amore è vita, è Dio. Consegnarsi alla morte con l'odio è la cosa più obbrobriosa che l'uomo possa fare di se stesso; come viceversa il donarsi alla vita con l'amore è la più esaltante.
L'amore per i fratelli che costituisce la seconda parte del precetto della carità ne è anche, per Agostino sulla falsariga di Giovanni, l'atto manifestativo essenziale: non ci può essere amor di Dio senza amore per il prossimo o, più semplicemente ancora, senza di questo l'amore non c'è. Ma verso chi deve dirigersi e come si attua?
L'amore del prossimo ha per oggetto tutti gli uomini senza nessuna distinzione o divisione. Cristo infatti è morto per tutti e tutti egli ha riunito nella Chiesa. L'universalità della redenzione è il movente e il tipo della estensione della carità; e il peccato degli scismatici donatisti sta proprio in questo andare contro il significato universale e dell'opera redentrice di Cristo, dell'esistenza della Chiesa e perciò della carità.
In tale universalità dell'amore fraterno sono compresi coloro che ci sono vicini, i fratelli nella fede che non conosciamo ed anche i nemici verso i quali la carità viene ordinata per il solo fatto che essa è carità.
L'attuazione della carità si esplica attraverso un sostanziale volere il bene del prossimo che superi le apparenze e guardi alle anime dei nostri fratelli. Tale amore non può esistere nel cristiano se egli è interessato e soprattutto se egli è orgoglioso, poiché l'orgoglio vede se stesso e non gli altri come meta delle proprie azioni; perciò l'amore è gratuito, tende all'uguaglianza, è benevolo, umile e paziente. Ma il suo fondamento più alto è il suo rapporto con Dio, imitato nel suo donarsi nel Figlio a noi.
Così la carità diventa vita, diventa anzi Chiesa nella quale la pienezza della legge che è l'amore risulta essere il tessuto connettivo che tiene unite tutte le membra in modo che sia Dio tutto in tutti.
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Dott. DONATELLA PEZZINO il 4 ottobre 2020 alle 11:02 ha scritto:
Testo grandioso, a mio avviso uno dei più belli di Sant'Agostino. Le sue riflessioni ci portano nel cuore della lettera giovannea, aiutandoci nella comprensione di alcuni punti apparentemente contraddittori e riconducendo l'intera opera ad un unico messaggio: la carità come primo comandamento, fondamento e guida di ogni esistenza autenticamente cristiana. Un balsamo per la mente e il cuore. Una lettura consigliata a tutti.