«Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato […]. Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda» (FRANCESCO, Discorso [10-11-2015]).
Nell’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, il papa, ammirando la cupola della bellissima cattedrale di S. Maria del Fiore in Firenze, ha tracciato con semplicità il volto concreto del nuovo umanesimo che prende forma nella vita di Gesù Cristo. Francesco si è soffermato su tre sentimenti che sempre hanno accompagnato il vissuto di Gesù. Sono sentimenti profondi, ossia non astratte sensazioni provvisorie dell’animo, che costituiscono una calda forza interiore la quale permette anche a noi di vivere e di prendere decisioni.
Il primo sentimento è l’umiltà con la quale Gesù ha voluto perseguire la gloria di Dio con la sua morte di croce.
Un altro sentimento di Gesù, che dà forma all’umanesimo cristiano, è il disinteresse. Gesù ha cercato la nostra felicità. Dunque, l’umanità del cristiano è sempre in uscita e non è narcisistica o autoreferenziale. «Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende se stessa, che arriva ad essere feconda». Un ulteriore sentimento di Cristo è quello della beatitudine. «Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile ». Umiltà, disinteresse e beatitudine sono tre aspetti della vita di Gesù che ben rivelano il senso autentico dell’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio e trova il suo centro nella pasqua, ossia nella passione, morte e risurrezione del Verbo.
È in questa prospettiva del nuovo umanesimo, ossia dell’umano concreto ed escatologico di Gesù – con cui ci si apre alla speranza messianica e si garantisce a tutti un futuro certo e non oscuro – che si muovono i principali contributi di questo numero di Asprenas. Infatti, il professore Nicola DI BIANCO presenta uno studio sulla preghiera agonica di Gesù che è segnata non semplicemente dalla paura della morte, bensì dalla forza della consegna fiduciosa nelle mani del Padre. Questa fiducia permette al Figlio di Dio di vincere il male stesso della violenta morte di croce. Il Crocifisso è modello del giusto sofferente per i discepoli e per ognuno di noi che si affida completamente alla potenza del Padre. La vittoria di Cristo sulla morte permetterà ai cristiani di interpretare tale evento pasquale non solo come compimento dell’esistenza, ma altresì quale “transito” o “passaggio” da questo mondo al Padre e, ancora di più, come “consegna” fiduciosa nelle mani del Padre. Gesù non si è lasciato morire, ma ha vissuto fino in fondo – in ogni istante – la sua stessa morte.
Segue l’articolo interessantissimo dello studioso Tadeusz SIEROTOWICZ sulla decisione ultima (In hora mortis), teoria formulata dal ben noto teologo Ladislaus Boros. La morte è la rivelazione piena di noi stessi a noi stessi. Quest’aspetto del vivere la propria morte è molto importante. Di fatti, la morte d’ogni persona è sempre un accadimento accettato passivamente, di fronte al quale l’uomo si trova impotente ed estraneo. Tuttavia, il morire è anche ed essenzialmente l’auto-compimento personale, la “propria morte”, un atto interiore dell’uomo. La morte stessa è un tale atto, e non semplice presa di posizione esterna dell’uomo nei suoi confronti. La morte è, perciò, ambedue queste cose: come fine dell’uomo, in quanto persona spirituale, è compimento operante dall’interno, un attivo portarsi-a-compimento, crescente attività che conserva il risultato della vita e totale prendersi-in-possesso della persona; è, ancora, essersi-realizzato, è pienezza della realtà personale posta liberamente in azione. Come fine della vita biologica, la morte dell’uomo è, contemporaneamente, rottura dall’esterno, in una maniera che non ha rimedio e colpisce la totalità dell’uomo, è distruzione di natura tale che la “propria morte”, come atto interiore della persona, rappresenta contemporaneamente l’avvenimento della più radicale privazione di potenza per l’uomo. La morte è, dunque, azione e passione a un tempo. In questo doppio significato, la morte è occulta, misteriosa, enigmatica, e in sé non ha alcun valore. Ecco perché le religioni provano a dare un significato trascendente o spirituale al proprio morire (cf. K. RAHNER, Zur Theologie des Todes, Freiburg i.Br. 1958 [Sulla teologia della morte, a cura di L. Marinconz, Brescia 1965]). Alla luce della pasqua di Gesù, il credente impara a vivere fino in fondo la sua morte. Asprenas accoglie, poi, una nota critica di Gianluca LOPRESTI a proposito del diritto romano nella formazione della società cristiana e un’altra del professore Gino RAGOZZINO sulle Orazioni alla Vergine del predicatore gesuita Paolo Segneri. Sempre arricchente la sezione Rassegne&Figure, che in questo numero dà conto di alcuni recenti simposi. Apre, con angolatura teologico-liturgica, il professore Giuseppe FALANGA sul tema del X Congresso internazionale promosso dal Pontificio Istituto Liturgico dell’Ateneo Sant’Anselmo in Roma e dedicato alla liturgia delle ore: la preghiera è l’anima della presenza profetica della chiesa nel mondo.
La sensibilità al dialogo interreligioso e all’ecumenismo, che la nostra Rivista di Teologia ha sempre testimoniato fin dalle sue prime pubblicazioni, è presente in altri due resoconti. Il primo, del professore Edoardo SCOGNAMIGLIO, riguarda il Convegno internazionale tenutosi a Roma nel 50° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate. Il secondo è del giovane ricercatore e giornalista Michele GIUSTINIANO, che ha raccolto gli interventi più importanti del Convegno promosso, a Bari, dall’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana sul tema Unica è la sposa di Cristo.
Chiude questo fascicolo, corredato anche di recensioni e schede bibliografiche, una testimonianza su Ludovico da Casoria e la Terra Santa del professore Vincenzo SCIPPA.
LUIGI LONGOBARDO