Ciò che propongo in questo libro è una teoria della giustizia in senso molto ampio. La sua finalità è chiarire in che modo dovremmo procedere nell’affrontare le questioni inerenti alla promozione della giustizia e all’eliminazione dell’ingiustizia, più che offrire la soluzione delle questioni concernenti la natura della perfetta giustizia. Questo comporta chiare differenze rispetto alle principali teorie della giustizia formulate dalla filosofia morale e politica contemporanea.
Le differenze che meritano particolare attenzione sono tre (…). In primo luogo, una teoria della giustizia che si proponga quale base per riflessioni pratiche deve includere metodi per comprendere come ridurre l’ingiustizia e promuovere la giustizia, anziché mirare esclusivamente alla descrizione di come debba essere una società perfettamente giusta (esercizio predominante in molte teorie della giustizia della filosofia politica odierna). Sul piano delle motivazioni esiste un nesso tra l’identificazione dell’ordinamento perfettamente giusto e la determinazione di una possibile estensione della giustizia legata a cambiamenti sociali; dal punto di vista dell’analisi, però, queste due questioni sono separate. La seconda, quella su cui si concentra questo libro, diventa centrale allorché si tratta di prendere decisioni in merito a istituzioni, comportamenti o altri fattori che risultino determinanti per la giustizia; e il modo in cui si ricavano tali decisioni non può che essere cruciale per ogni teoria della giustizia che miri a orientare la riflessione pratica circa le scelte da attuare. È poi possibile mostrare che è del tutto errato l’assunto secondo cui questo esercizio comparativo non può essere compiuto senza prima avere identificato i requisiti della giustizia perfetta (…).
In secondo luogo, mentre molte questioni sulla giustizia vagliate per via comparativa possono essere risolte con successo – e venire condivise grazie ad argomentazioni razionali –, è possibile che sussistano confronti in cui considerazioni tra loro in conflitto non siano suscettibili di completa soluzione. In altre parole, può accadere che vi siano vari e distinti fondamenti di giustizia, ciascuno dei quali regge a un esame critico, ma che conducono a conclusioni divergenti. Argomenti razionali orientati in direzioni contrastanti possono scaturire da popoli diversi per esperienze e tradizioni, ma possono sorgere anche all’interno di una singola società o persino in una singola persona. Di fronte a istanze in conflitto è necessario affidarsi al confronto razionale, con sé stessi e con gli altri, assai più che a quella che potremmo chiamare «tolleranza disimpegnata », con le sue comode e facili soluzioni del tipo: «Tu hai ragione nella tua comunità, io nella mia».
Il ragionamento e l’indagine imparziale sono imprescindibili. E nondimeno è possibile che certi argomenti tra loro in conflitto o in competizione escano intatti anche dalla più robusta delle analisi critiche, senza che l’imparziale disamina sia riuscita a eliminarli. (…) La necessità della riflessione razionale e dell’esame critico non è in alcun modo compromessa dalla possibilità che alcuni assunti in contrasto fra loro superino il vaglio della ragione. La pluralità che avremo così ottenuto sarà comunque esito del ragionamento, non della rinuncia a ragionare. In terzo luogo, la presenza di un’ingiustizia risolvibile può a volte essere legata a trasgressioni comportamentali, piuttosto che a carenze di tipo istituzionale (…). La giustizia, in ultima istanza, ha a che fare con la vita vissuta delle persone, non soltanto con la natura delle istituzioni che le circondano. Per contro, molte delle principali teorie della giustizia dedicano eccessiva attenzione a come produrre «istituzioni giuste » e assegnano ai comportamenti dell’individuo un ruolo secondario e sussidiario.
Per esempio, la meritatamente famosa concezione rawlsiana della «giustizia come equità» presenta un unico set di «principi di giustizia» che si rivolgono esclusivamente alla messa a punto di «istituzioni giuste» (destinate a costituire la trama di fondo della società), nel presupposto che il comportamento personale si conformi in tutto e per tutto ai requisiti per il corretto funzionamento di tali istituzioni. Nello studio sulla giustizia qui proposto si sostiene che questo prevalente concentrarsi sulle istituzioni (dando per scontato che il comportamento sia debitamente conforme a esse), anziché sulla vita che le persone sono effettivamente capaci di condurre, è segnato da vizi decisivi. Nella riflessione sulla giustizia la messa a fuoco della vita reale ha non poche implicazioni di rilievo quanto alla natura e alla portata dell’idea di giustizia. L’impostazione della teoria della giustizia fornita in questo libro comporta, a mio avviso, dirette conseguenze sulla filosofia politica e morale.
Ho peraltro cercato di circostanziare l’importanza che alcuni degli argomenti qui avanzati hanno nell’ambito degli attuali sviluppi in materia di diritto, economia e politica, ed è possibile, guardando avanti con ottimismo, che ciò riscuota qualche considerazione anche nei dibattiti e nelle decisioni intorno alle politiche concrete e ai piani esecutivi. Il ricorso a una prospettiva comparativa, molto più ricca della limitata e limitante cornice del contratto sociale, può in questa sede offrire un valido contributo. Si effettuano senz’altro confronti in termini di avanzamento della giustizia quando si combatte l’oppressione (per esempio, la schiavitù o la discriminazione femminile), o si protesta contro le carenze sistematiche di assistenza medica (l’assenza di strutture sanitarie in alcune zone dell’Africa o dell’Asia, così come la mancanza di una copertura sanitaria generale nella maggior parte dei paesi del mondo, Stati Uniti inclusi), o si rifiuta l’ammissibilità della tortura (che nel mondo contemporaneo continua a essere praticata, e con notevole frequenza, persino in alcuni paesi guida del sistema globale), o ci si oppone alla placida tolleranza della cronica carenza di cibo (per esempio in India, nonostante il successo nel contrasto alle carestie).
E in molti casi potremmo scoprirci d’accordo sul fatto che determinati cambiamenti (come l’abolizione dell’apartheid, per ricorrere a un esempio di altro genere) ridurrebbero l’ingiustizia. Ma anche qualora tutti questi cambiamenti fossero realizzati con successo, continueremmo a essere ben lontani da quella che possiamo definire una giustizia perfetta. Insomma, nell'analisi della giustizia, anche le questioni pratiche, come la riflessione teorica, sembrano esigere un approccio piuttosto radicale.
Il testo è tratto dalla prefazione dell'autore (pp. 5-8) al volume pubblicato in Italia da Mondadori; ringraziamo l'editore per la gentile concessione.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2010 n. 20
(http://www.ilregno.it)