Maledetta solitudine
-Cause ed effetti di un'esperienza difficile da tollerare
(Problemi sociali d'oggi)EAN 9788892220515
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DETTAGLI DI «Maledetta solitudine»
Tipo
Libro
Titolo
Maledetta solitudine - Cause ed effetti di un'esperienza difficile da tollerare
Autori
Marco Trabucchi , Diego De Leo
Editore
San Paolo Edizioni
EAN
9788892220515
Pagine
224
Data
novembre 2019
Peso
247 grammi
Altezza
21 cm
Larghezza
13,5 cm
Collana
Problemi sociali d'oggi
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Mario Cutuli il 6 dicembre 2020 alle 15:42 ha scritto:
Quel male che ha nome "Solitudine"
«La solitudine è una sofferenza maledetta, non quando si è soli, ma quando si ha il sentimento di non contar niente per nessuno». La riflessione di Enzo Bianchi è un'importante premessa per addentrarsi nelle pagine di "Maledetta solitudine", il saggio di Diego De Leo e Marco Trabucchi, edito dalle edizioni San Paolo e comprendere immediatamente l'accezione che i due autori riservano al termine "Solitudine".
Non si tratta della "beata solitudo", evocata dal vecchio adagio latino, amata ed agognata, «quella che si desidera per trovare ristoro nella mente per allontanarsi da fragori indesiderati o per recuperare l'equilibrio emozionale di una catena di eventi stressanti», ma di quella «che non è una scelta»», propria «di chi dal mondo esterno non si sente accolto, né accettato» e che in lingua inglese suona come "loneliness", che sta per "isolamento", o meglio, per "abbandono". Una vera "epidemia mortale", come i due autori - Diego De Leo, professore emerito di Psichiatria presso la Griffith University a Brisbane, Australia, e Marco Trabucchi, presidente dell'associazione Psicogeriatria italiana, esplicitamente la intendono nei nove capitoli che animano il testo. Non si pensi perciò al solo anziano, spesso purtroppo emarginato, quanto piuttosto ad una vera, diffusa patologia, della quale molti, indipendentemente dall'età e dalla condizione sociale, sono affetti migliaia di persone che, pur vivendo in mezzo a tanta gente, soffrono di solitudine e per questo si sentono diverse dagli altri. Centinaia di uomini e donne che hanno pochi amici, le cui «infrequenti interazioni sociali si accompagnano ad un aumentato rischio di isolamento», per i quali non vi è piacere nelle relazioni interpersonali e quelle poche che si possiedono sono ritenute di bassa qualità». La solitudine, perciò, «non riguarda la qualità di tempo che spende con altre persone o da soli. Essa è correlata alla qualità di rapporti, piuttosto che alla quantità di questi».
Il testo, che si avvale di un lessico necessariamente tecnico, ma mai difficile e accademico, è corredato da numerosi dati sociologici, psicologici e clinici che confermano che «l'epidemia di solitudine che dilaga nell’epoca odierna, più che mettere in luce una proprietà disfunzionale del genere umano, rende evidente che le risorse presenti nell’ambiente e l’attuale assetto societario risultano deficitari nel trasformare un’esperienza di sofferenza in un cambiamento positivo.»
Merito del lavoro è sicuramente quello di indagare a fondo sulla natura del fenomeno del “dolore solitario”, come Bertrand Russel definisce la solitudine: sia di quella “sociale” - la mancanza di compagnia - sia di quella “emozionale” che denuncia la mancanza di relazioni sociali. In ogni caso, «essa è un segnale indispensabile per connettersi con gli altri» e si concretizza in «un’esperienza difficile da tollerare», come leggiamo nel sottotitolo del testo.
Le numerose indagini, le tante ricerche, gli accurati approfondimenti che il testo propone, danno ragione della complessità e soprattutto della vastità del fenomeno che sempre più si rivela «un’esperienza sfaccettata che ha sempre una dimensione individuale molto dolorosa e gravemente angosciante», frutto di cause storico-sociali, culturali, psicologiche, geografiche, economiche, sanitarie spesso tra loro connesse.
Così, la ricerca condotta in undici paesi del nostro continente dimostra che i 33.832 cittadini oggetto di studio, di età compresa tra i 60 e gli 80 anni, manifestano «una considerevole eterogeneità tra i diversi paesi in termini di solitudine nella tarda età, specialmente tra le donne». Quello che colpisce è che i tassi più severi di solitudine risultano presenti nel 30-35% di uomini e donne dell’Europa orientale, rispetto al 10-20% dei loro pari dell’Europa occidentale e settentrionale».
E la ricerca ci svela ancora che nel Regno Unito si contano più di nove milioni di cittadini che si sentono soli sempre; che in Spagna il quotidiano nazionale “El Pais” ha proposto la creazione di un ministero per la solitudine; che in Germania l’emittente pubblico radio-televisivo l’ARD scopre che due terzi della popolazione ritiene la solitudine «un grave problema nazionale». E così pure la Svizzera e la Russia dove gli alti tassi di solitudine sono associati a problemi di salute e in alcuni strati di popolazione, talvolta al basso livello socio economico; per finire con la grave situazione in America latina e Cina e con gli USA dove, nel novembre di appena un anno fa, sul “New York Times” si leggeva che «la maggior parte degli americani soffre di penose sensazioni di solitudine e di mancanza di significato nelle relazioni», accompagnando tale situazione con i 45.000 decessi per solitudine e i 70.000 morti per abuso di farmaci e stupefacenti.
Tutto un mondo, insomma, da cambiare, tutta una società da correggere nei suoi assetti e nei suoi valori.
Tra le tante citazioni che De Leo e Trabucchi riportano nel testo vale la pena citare quella del padre del super-uomo Nietzsche: “La mia disgrazia è che non ho nessuno … Quasi tutti i miei rapporti umani sono nati da attacchi di solitudine … E’ assolutamente orribile essere soli fino a questo punto […], una vita da cani. Confessione che potremmo attribuire a tutti coloro che sono vittime di questa maledetta nemica che ha nome “solitudine”.