Gesù e i messia di Israele
-Il messianismo giudaico e gli inizi della cristologia
(Oi christianoi - Sezione antica)EAN 9788887324938
Qual era il quadro delle speranze messianiche al tempo di Gesù? Quanto ad esse è debitrice la riflessione cristologica dei seguaci del Maestro di Nazareth e in che misura, invece, se ne distacca? Gesù ha realmente rivendicato per se stesso un'identità messianica? La necessità di ripensare la questione messianica tra II secolo a.C. e I secolo d.C. si è fatta più forte alla luce degli studi sui manoscritti qumranici e della rivalutazione della letteratura apocrifa. La nuova documentazione gha fatto emergere una realtà giudaica estremamente variegata anche sul piano delle concezioni messianiche. Di qui l'abbandono dell'idea tradizionale di un messianismo giudaico monolitico con cui la fede in Cristo sarebbe entrata da subito in rotta di collisione e l'esigenza di reimpostare ab imis il problema delle origini della cristologia.
Sorge, dunque, una domanda che attraversa la storia per investire il presente delle relazioni tra ebrei e cristiani: la questione messianica costituisce realmente l'oggetto dell'eterno conflitto tra giudaismo e cristianesimo o, piuttosto, la sua amplificazione non è altro che un cliché occidentale, radicato nelle scelte teologiche ed apologetiche della cristologia primitiva e del giudaismo rabbinico? Il volume raccoglie i contributi della "II Giornata di studio sulla storia del Cristianesimo" organizzata dalla Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (sez. San Luigi) in collaborazione con l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e con il Dipartimento di Discipline storiche dell'Università "Federico II". Gli interventi, alcuni dei quali ad opera dei più autorevoli studiosi italiani di giudaismo e cristianesimo antichi, si distinguono per rigore scientifico, chiarezza espositiva ed attenzione ai risultati della più recente ricerca.
PREFAZIONE
di Annalisa Guida e Marco Vitelli
Negli ultimi decenni è maturata progressivamente la consapevolezza dell'eredità giudaica del cristianesimo. La pubblicazione dei testi di Qumran e la valorizzazione della letteratura apocrifa dell'AT, insieme alle spinte provenienti dal dialogo interreligioso ebraico-cristiano, hanno condotto gli studiosi a tracciare un'immagine del giudaismo molto più complessa e diversificata di quella consegnataci dalla tradizione storiografica, sollecitando un profondo riesame del rapporto tra origini cristiane e ambiente giudaico. In molti casi, dove prima si vedeva discontinuità e rottura oggi si riscontra la persistenza di un patrimonio comune e uno sviluppo lineare, al punto che si va via via affermando la tendenza ad abbassare sensibilmente la cronologia della nascita del cristianesimo come religione autonoma da quella giudaica.
Il messianismo costituisce un terreno privilegiato di verifica di questo mutamento di prospettive storiografiche. Ci si pone con forza un interrogativo che attraversa la storia per investire il presente delle relazioni fra cristianesimo ed ebraismo: la questione messianica costituisce realmente l'oggetto dell' «eterno conflitto» (G. Scholem) tra le due religioni o, piuttosto, la sua amplificazione non è altro che un «cliché occidentale» (W.S. Green), radicato nelle scelte teologiche ed apologetiche del cristianesimo nascente e del giudaismo rabbinico?
L'originalità della primitiva fede in Gesù Messia è stata messa in questione dalla ricerca sulla letteratura "intertestamentaria", che ha evidenziato la presenza nel giudaismo del Secondo Tempio di una grande varietà di concezioni messianiche cui molte delle formulazioni cristologiche appaiono riconducibili. Basti pensare agli studi sulla letteratura apocalittica, che hanno posto l'accento sull'esistenza nel giudaismo precristiano di un messianismo superumano, e alla pubblicazione recente di frammenti qumranici (cf, ad esempio, 40285; 4Q541; 40491) che hanno riaperto il dibattito sull'origine giudaica della concezione di un Messia sofferente, inducendo persino qualche studioso a ipotizzare - in verità alquanto incautamente -, sulla scia di A. Dupont Sommer e J. Allegro, un precedente qumranico alla fede cristiana in un Messia morto, risorto e atteso come giudice escatologico (cf I. Knohl, Il messia prima di Gesù. Il Servo sofferente dei rotoli del Mar Morto, Mondadori, Milano 2001). Si comprenderà allora come il messianismo, uno dei temi da sempre più studiati, desti oggi un rinnovato interesse nella comunità scientifica così come nel pubblico dei non addetti ai lavori, sollecitando pubblicazioni, seminari e convegni. Ne è prova il numero significativo di opere sull'argomento edite nell'ultimo ventennio nel contesto internazionale, come quella di J. Neusner e collaboratori del 1987 (Judaisms and Their Messiahs at the Turn of the Christian Era, Cambridge University Press, Cambridge), la miscellanea curata da J.H. Charlesworth nel 1992 (The Messiah. Developments in Earliest Judaism and Christianity, Fortress Press, Minneapolis), il volume di J.J. Collins del 1995 (The Scepter and the Star. The Messiahs of the Dead Sea Scrolls and Other Ancient Literature, Doubleday, New York-London-Toronto), la tesi dottorale di G.S. Oegema del 1998 (The Anointed and his People. Messianic Expectations from the Maccabees to Bar Kochba, Sheffield Academic Press, Sheffield) e, più di recente, la monografia di H.-J. Fabry e K. Scholtissek del 2002 (Der Messias , Echter, Wurzburg 2002). Anche in Italia la problematica è stata ampiamente recepita; lo testimoniano i lavori apparsi negli ultimissimi anni, tra i quali si possono ricordare: G. Boccaccini (ed.), 11 Messia. Tra memoria e attesa. Atti del convegno «Il Messia. Tra memoria e attesa» organizzato dall'Associazione Biblia e dall'Enoch Seminar, Morcelliana, Brescia 2005; F. Camera - G. Cunico (edd.), Il messianismo. Ebraismo, cristianesimo, filosofia, Morcelliana, Brescia 2005; G. Jossa, Gesù Messia? Un dilemma storico, Carocci, Roma 2006; L. Monti, Una comunità alla fine della storia.
Sull'onda di questo rinnovato interesse si pone anche il presente volume, che raccoglie gli Atti della II Giornata di Studio sulla Storia del Cristianesimo svoltasi a Napoli li dicembre 2005 presso la sede della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, sezione san Luigi, e organizzata in collaborazione col Dipartimento di Discipline Storiche "Ettore Lepore" dell'Università di Napoli "Federico II" e con l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. L'intento è quello di riflettere sulle origini della cristologia alla luce delle molteplici concezioni messianiche giudaiche precedenti, coeve e di poco successive a Gesù, abbracciando un arco cronologico che complessivamente si estende dall'epoca asmonaica, che ha segnato una svolta nella riflessione giudaica sulla figura del Messia, fino alla fine del I secolo d.C., quando si è ormai configurata, nelle sue molteplici manifestazioni la cristologia neotestamentaria. Si è voluto dare al volume, nel suo insieme, un taglio prevalentemente storico piuttosto che letterari o - opzione, quest'ultima, forse oggi maggioritaria - e si è cercato altresì di evitare che la riflessione si svolgesse unicamente sul piano della storia delle idee tralasciando completamente la dimensione storico-fattuale.
I dieci studi qui raccolti, che recano la firma di alcuni tra i principali esperti italiani del messianismo e di giovani studiosi napoletani, esaminano aspetti fondamentali e particolarmente discussi del problema. Il primo contributo, che funge anche da introduzione, è offerto da G. Jossa. L'autore traccia un panorama ampio e puntuale del dibattito sul messianismo a partire dagli inizi dell'indagine storico-critica fino ai nostri giorni, fornendo così al lettore il quadro generale nel quale i successivi contributi del volume idealmente si inseriscono. Queste alcune delle questioni messe a fuoco: Gesù di Nazareth ha realmente avanzato una pretesa messianica oppure la sua identificazione come Messia è stata un mero atto creativo della comunità cristiana? E se egli ha avanzato quella pretesa, a quale modello giudaico di Messia faceva riferimento? Quali erano dunque le idee messianiche correnti al tempo di Gesù e qual era il loro grado di diffusione? Più in generale, che peso aveva il messianismo nel panorama religioso giudaico del I secolo d.C.? Ci sono stati veri e propri pretendenti messianici nel giudaismo anteriore, coevo e immediatamente successivo a Gesù? Jossa presenta i termini della discussione critica, accenna alle proprie convinzioni e afferma con forza un'esigenza metodologica che nella ricerca attuale dimostra di essere recepita più sul piano teorico che nella prassi: studiare il problema della rivendicazione messianica di Gesù e della nascente cristologia all'interno del complesso quadro del messianismo giudaico.
Seguono due contributi sui principali filoni dell'attesa messianica: il primo, di G.L. Prato, sul messianismo regale-davidico; il secondo, di P. Sacchi, sul messianismo superumano.
Prato muove da alcune considerazioni sulle difficoltà metodologiche che caratterizzano la ricerca sul tema messianico. In particolare sottolinea la necessità di un approccio al problema che eviti il rischio di retro-proiettare nella fase formativa della riflessione messianica concezioni che sono il frutto di sviluppi successivi e, in primo luogo, di quelli cristologici. L'autore cerca poi di rispondere a una domanda: quali prospettive si aprivano alla mente di un membro della comunità giudaica quando si evocava il nome di Davide o una regalità che anche vagamente a lui si collegasse? Tre sono le conclusioni alle quali Prato perviene: 1) l'immagine del potere legata al regno, nella sua dimensione politica, non è destinata ad attuazioni e a sfruttamenti immediati, ma appare orientata al futuro; 2) risulta problematico ogni tentativo di ridurre la rievocazione di questo potere politico regale a un'aspirazione alla restaurazione politica, ed è discutibile la distinzione tra figure messianiche "terrene" e figure messianiche "trascendenti"; 3) l'ambiguità della funzione regale davidica, per cui quest'ultima è destinata a non realizzarsi mai sul piano concreto ma risulta produttiva solo se proiettata nella dimensione escatologica, spiega l'insuccesso di quelle figure storiche che hanno voluto "usurpare" quella funzione e possono aiutare a comprendere il fallimento storico di Gesù di Nazareth e la giustificazione di quel fallimento nella cristologia neotestamentaria.
Il contributo di P. Sacchi si incentra sulle figure messianiche superumane per il periodo compreso fra II secolo a.C. e I secolo d.C. La trattazione, tuttavia, tocca molti altri aspetti del messianismo, a cominciare dalla storia dei suoi inizi, riconducibili al messaggio del profeta Isaia. Una vera e propria attesa messianica nasce, comunque, a giudizio dello studioso, solo nel II secolo a.C. Negli anni dell'insurrezione maccabaica vedono la luce il libro di Daniele, di orientamento sadocita, e il Libro dei Sogni, di appartenenza enochica, che presentano due misteriose figure regali a metà tra l'umano e il divino destinate al governo universale del mondo dopo il giudizio finale. Grande attenzione è prestata da Sacchi al messianismo qumranico, di cui si discutono i complessi problemi metodologici e si descrive la struttura di fondo, caratterizzata dall'attesa di un profeta, di due Messia umani — uno laico e uno sacerdotale — e di un Messia celeste di natura angelica. L'autore si sofferma quindi sul messianismo duplice dei Testamenti dei Dodici Patriarchi, sul riemergere intorno alla metà del I secolo a.C. del messianismo regale, davidico e unitario, testimoniato dai Salmi di Salomone e da Flavio Giuseppe, e sul messianismo celeste del Libro delle Parabole. Le ultime pagine dello studio sono dedicate alla indeterminatezza e alla psicologia dell'attesa messianica, ai segni di riconoscimento del Messia e al messianismo dell'Apocalisse siriaca di Baruch e del Quarto Libro di Esdra, entrambi della fine del I secolo d.C.
Nel quarto contributo del volume l'autore, L. Arcari, offre una riflessione sul Libro delle Parabole di Enoch, di cuigiustam l'importanza per lo studio del ente sottolinea messianismo giudaico così come del Gesù storico e di alcuni filoni della cristologia. Arcari esamina due problemi, in particolare, filologico-letterari controversi: quello relativo alla lingua originale dell'opera e della versione su cui la traduzione etiopica è stata condotta, soprattutto in riferimento all'espressione "Figlio dell'uomo"; e il problema dell'unità del testo,prevalentemente in rapporto ai capitoli 70 e 71, nel quale ultimo il "Figlio dell'uomo" è identificato sorprendentemente col patriarca Enoch. Per quanto attiene alla questione linguistica, Arcari, accogliendo la tesi di un originale semitico, ritiene improbabile la dipendenza assoluta dell'attuale testo dall'aramaico o dall'ebraico e propende per una dipendenza mista. Nel caso specifico dell'espressione "Figlio dell'uomo" del testo etiopico, al di là del problema linguistico, ciò che è certo, per Arcari, è che essa è una derivazione dal libro di Daniele interpretata in riferimento a un agente escatologico di salvezza. Quanto alla questione dell'unità del testo, lo studioso è del parere che il capitolo 70 costituisca la conclusione originaria dell'opera, mentre il capitolo 71 sia un'aggiunta secondaria.
Un approccio adeguato al problema della pretesa messianica di Gesù e in generale delle origini della cristologia esige la risposta ad un interrogativo: vi furono nel giudaismo palestinese del Secondo Tempio personaggi che si presentano come il Messia? A tale questione, trattata tangenzialmente anche in altri contributi del volume, è dedicato interamente lo studio di D. Garribba. Il problema è affrontato sulla base della principale fonte storica di cui disponiamo per il giudaismo dell'epoca: Flavio Giuseppe. Garribba parte dalla considerazione di un dato: il termine "Messia", tranne in un caso dubbio, non compare mai negli scritti dello storico palestinese. Questo significa che l'attesa messianica era marginale nel giudaismo del tempo e che in particolare, al di là del caso problematico di Gesù, non ci furono personaggi storici che avanzarono una pretesa messianica? A parere di Garribba la risposta affermativa che oggi si va imponendo non è pienamente giustificata. Il silenzio di Flavio Giuseppe sul messianismo si spiega, infatti, in rapporto agli scopi apologetici della sua opera e alla cultura greco-romana del suo pubblico; inoltre, almeno in alcuni casi, appare plausibile l'ipotesi tradizionale secondo la quale dietro il riferimento a pretendenti regali aventi una connotazione rivoluzionaria antiromana si celerebbero pretendenti messianico-davidici.
I contributi seguenti sono dedicati alla presentazione del complesso quadro neotestamentario, che pure non può dirsi esaurito da un modello messianico e cristologico uniforme. Il saggio di G. Barbaglio si apre con un interrogativo centrale sul Gesù storico, già individuato da Jossa: l'autore si chiede, infatti, se Gesù abbia mai affermato, più o meno esplicitamente, di essere Messia e tralascia volutamente la questione dell'autocoscienza messianica del Nazareno stricto sensu, che è questione dogmatica alla quale lo storico non accede per specificità di oggetto e metodo di ricerca. Analizza, quindi, nelle fonti neotestamentarie affermazioni evangeliche dirette di Gesù sull'attesa messianica (prevalentemente dal Vangelo di Marco) nonché parole e fatti della tradizione gesuana dai quali si evincerebbe implicitamente un'affermazione messianica da parte del Nazareno. Di seguito l'autore studia le ricorrenze del titolo "Figlio dell'uomo" e i passi in cui Gesù si ricollega alla tradizione, profetica, concludendo che, piuttosto che i grandi titoli messianici, c'è un altro dato utile alla comprensione dell'immagine di sé offerta da Gesù: tale è il suo ruolo come «evangelista escatologico», annunciatore dell'irruzione della regalità di Dio.
Fra le tradizioni delle affermazioni di Gesù e la formulazione proto-cristiana del kérygma esiste, ovviamente, una distanza che l'ipotesi di E. Salvatore cerca di colmare, provando a rintracciare immagini cristologiche primitive in quelle formulazioni neotestamentarie in cui il kérygma non si è ancora strutturato nella forma binaria (paolina) morte-resurrezione. L'autore individua una complessa stratificazione dei tratti che avrebbero maggiormente contribuito, negli anni 30-49 d.C., all'elaborazione dell'immagine di Gesù Messia: di probabile provenienza gerosolimitana sarebbero l'immagine del Messia davidide (sostrato denominato dall'autore come farisaico), quella del Giusto perseguitato (sostrato giudeo-cristiano) e, più tarda, la figura di mediazione elevata accanto a Dio (sostrato cultuale); di ambiente galilaico, invece, l'immagine del Messia quale operatore di eventi escatologici (sostrato profetico-escatologico), mentre è di più difficile collocazione il profilo del mediatore preesistente di tipo celeste. Questi tratti, piuttosto che collocarsi secondo un processo lineare (dal messianismo terreno di stampo davidico al messianismo di tipo celeste), si sarebbero sovrapposti e integrati a partire dal dato centripeto e catalizzatore della resurrezione, per subire poi trasformazioni e sviluppi nella predicazione della chiesa gerosolimitana e nel kérygma paolino.
Ad uno dei tratti individuati da Salvatore, ossia al modello giudaico del profeta escatologico, è dedicato l'intervento di C. Pagliara, che ne studia l'elaborazione nell'ambiente e nei testi veterotestamentari (in particolare Dt 18 e Ml 3) nonché le riletture del NT. L'autore ritiene che, a motivo della frustrazione delle attese di liberazione e della conseguente proiezione di tale speranza nel futuro escatologico, la cristologia primitiva abbia messo in relazione la figura del profeta dei tempi ultimi e Cristo come nuovo Elia o Mosèredivivo. Tale identificazione, secondo l'esame delle fonti neotestamentarie, non sarebbe radicata in affermazioni proprie di Gesù quanto, piuttosto, nel suo essere ed agire, facilmente assimilabili per la comunità primitiva al modello profetico. Tale modello sarebbe, anzi, uno dei più originari nella lettura protocristiana dell'esistenza di Gesù di Nazareth,progressivamente integrato e in seguito soppiantato da una pluralità di modelli salvifici come si evince anche dagli altri studi.
Il contributo di A. Casalegno completa il panorama neotestamentario con la testimonianza del Quarto Vangelo che, attraverso la comparsa di gruppi di anonimi, offre un quadro alla questione messianica dei molteplici approcci presenti nella comunità giovannea. Si ha traccia, infatti, del messianismo davidico-regale, della prospettiva escatologico-apocalittica, della tradizione deuteronomistica del "profeta pari a Mosè" e finanche del rifiuto di un qualsiasi riconoscimento messianico alla persona di Gesù. L'autointerpretazione del Gesù giovanneo relativizza, però, tutte le definizioni che gli altri personaggi offrono di lui; a riguardo, il titolo "Figlio dell'uomo" sembra all'autore il più specifico e carico di senso. Ma è la definizione di «Figlio di Dio» di Gv 20,31 a retroilluminare qualsiasi titolo messianico, legando indissolubilmente l'identità di Gesù alla sua relazione con il Padre.
Il contributo di A. Guida, infine, è un esercizio di lettura che illustra il fenomeno dell'intertestualità in relazione ad un testo molto significativo nella storia delle attese messianiche - ed evocato, del resto, in diversi interventi del volume -, ossia Is 11,1-5. L'autrice, attraverso l'esame delle riprese extrabibliche (testi di Qumran, Salmi di Salomone, Libro delle Parabole) e neotestamentarie (epistolario paolino, Sinottici, Apocalisse) della profezia isaiana, illustra come la sua influenza abbia forgiato a vari livelli (stilistico, simbolico, narrativo) i testi "messianici" successivi. La storia della ricezione di Is 11,1-5 ha visto un'oscillazione nelle riprese della caratterizzazione del "germoglio di Tesse", dai tratti più sapienziali a quelli più marcatamente agonistici e apocalittici, nonché fasi di singolare "silenzio". Il contributo di una simile lettura all'indagine storica va - suggerisce l'autrice - nella direzione della comprensione delle situazioni vitali delle comunità d'origine dei testi esaminati, in base alle quali dette comunità scelgono modi e forme diverse di riabitare uno stesso testo significativo della propria tradizione spirituale e religiosa.
Come si è già verificato in sede del dibattito seguito al convegno e come apparirà evidente ai lettori del volume, in alcuni casi le prospettive e le soluzioni proposte dai diversi autori sugli stessi problemi sono alquanto divergenti. Questo aspetto, tuttavia, ben riflette la problematicità del tema e dà ragione, con una certa ampiezza, della complessità del dibattito attuale. Si confida, pertanto, che l'opera possa offrire un quadro ampio dello stato della ricerca, indicandone insieme le differenti posizioni e le linee di sviluppo, in termini che risultino accessibili anche al lettore non specialista, conformemente agli obiettivi di impegno scientifico e di alta divulgazione di questa Collana.
31 luglio 2006 - sant'Ignazio di Loyola
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
L'idea del Messia al tempo di Gesù
L'orientamento della storiografia contemporanea
Il compito che mi è stato affidato dagli organizzatori del convegno è quello di introdurre la giornata di studio. La mia relazione vuole perciò soltanto indicare qual è l'orientamento prevalente della storiografia contemporanea sui temi principali che in essa verranno affrontati e suggerirne eventualmente alcuni altri che potrebbero ancora essere aggiunti in sede di pubblicazione degli Atti.
1. Il problema della pretesa messianica o, come si diceva meno correttamente una volta, della coscienza messianica di Gesù è stato trattato negli ultimi due secoli un numero infinito di volte. È probabilmente il tema più studiato di tutto il NT. Potrebbe sembrare perciò inutile affrontarlo di nuovo. Ma le prospettive della ricerca si sono negli ultimi anni largamente modificate e invitano perciò a ripensarlo ancora una volta.
I primi studiosi che alla fine del secolo diciottesimo e agli inizi del diciannovesimo esaminarono i vangeli canonici con metodo storico-critico, H.S. Reimarus e D.F. Strauss, non misero in dubbio la pretesa messianica di Gesù. Reimarus attribuì agli evangelisti quella che egli stesso definiva la versione spirituale di questa messianità, l'idea cioè che Gesù fosse il redentore universale del mondo. Ma, mettendo radicalmente in dubbio l'attendibilità dei vangeli, affermò che nella realtà storica Gesù era stato uno dei numerosi pretendenti messianici che promettevano in quel tempo di liberare Israele dal dominio straniero. Era stato il fallimento tragico di questo scopo con la condanna da parte dei Romani che aveva appunto costretto i suoi discepoli a modificarne l'immagine dopo la morte, trafugando il cadavere e inventando la storia della risurrezione.