La teoria di Pieper sulla festa è esposta nello stesso titolo del libro, "Sintonia con il mondo": si può vivere autenticamente la festa solo sulla base del proprio consenso verso il mondo nel suo insieme."Consenso" vuol dire riconoscere che il mondo, l'intera realtà ha un senso che noi condividiamo, ha una bontà originaria di cui ci rendiamo conto. Solo se ci mettiamo in sintonia con il significato di fondo di cui il mondo è portatore, è possibile vivere autenticamente la festa.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Come interrogarsi sul senso della festa
Ad uno sguardo superficiale, parlare della festa dovrebbe essere compito di sociologi ed etnologi, intenti a registrare le trasformazioni di una società o le tracce di civiltà in via di estinzione. Oppure dovrebbe riguardare chi si dedica alle statistiche o all’andamento dell’economia, ed è in grado di fornirci ogni ragguaglio sulla somma che gli italiani spendono in occasione del Natale e su quanti trascorrono il fine settimana fuori città. Questa impressione quasi inevitabile è di per sé un sintomo evidente di quanto si stia perdendo di vista il senso della festa e di quanto sia necessario rifletterci con la profondità propria della filosofia, che si interroga sul perché delle cose, sui loro principi ultimi e sulla loro natura.
Che cos’è la festa? Non sarebbe una risposta soddisfacente quella di riferire ciò che si fa durante una festa, anche perché i comportamenti dei singoli e delle comunità possono variare di molto. Occorre oltrepassare il livello meramente descrittivo e chiederci ancora, più in profondità: perché ci sembra ragionevole affermare che tutti gli uomini desiderano festeggiare? Qual è il rapporto tra la festa e l’esistenza umana?
Sono alcune delle domande che sorgono quando cominciamo ad interrogarci sulla nostra esperienza personale e sul significato dei dati che possiamo raccogliere tramite le scienze umane, quali appunto la sociologia, l’etnologia, la statistica. Ma non è facile interrogarsi e riflettere seriamente su questo argomento, in particolare nelle circostanze attuali, in cui i cambiamenti socio-culturali hanno influito notevolmente sul modo di vivere e di percepire la festa.
Un primo condizionamento negativo è dato dalla identificazione progressiva tra festa e tempo libero: il giorno di festa viene ridotto a quello spazio di tempo che, in teoria, possiamo gestire liberamente, senza sottostare ad un orario o ad un programma che ci viene imposto. Dovrebbe essere facile intuire che questa identificazione concorda con la tendenza individualistica da cui è segnato così in profondità il nostro tempo. In effetti, siamo convinti che in quelle ore non dedicate al lavoro, qualunque esso sia (compreso lo studio), possiamo finalmente fare quel che ci pare e piace, soddisfare le nostre aspirazioni, badare a noi stessi. Ma in questo modo si confonde la condizione esterna della festa con lo stesso evento festivo.
Un altro dei condizionamenti negativi è il predominio di una mentalità economicistica o mercantile, secondo la quale ogni attività umana deve avere il suo rendimento e il tempo va sfruttato per fini utilitaristici. Ma la festa non può essere strumentalizzata per uno scopo ulteriore o per trarne un vantaggio, altrimenti viene totalmente falsata: quando si festeggia, non si pretende altro che fare festa e solo così si riesce a partecipare alla gioia festiva.
Menziono solo un terzo condizionamento: le spinte massificanti e spersonalizzanti della società odierna, la quale da un lato esalta l’autodeterminazione individualistica e dall’altro favorisce il divertimento di massa e le dinamiche di gruppo. Ma la celebrazione festiva non può essere vissuta né nell’isolamento (chi festeggerebbe da solo, in un isolamento sia fisico sia spirituale?) né nell’anonimato della folla, perché richiede la partecipazione personale al senso della festa: è proprio quest’ultimo a stabilire un’autentica unione con gli altri che festeggiano.
Ho voluto mettere in risalto l’influsso di questi condizionamenti, tra gli altri che si potrebbero elencare (ad esempio, il relativismo culturale che rende insignificanti le tradizioni), per giustificare la mia precedente affermazione: oggi si sta dileguando la percezione della festa autentica, perché molti fattori socio-culturali ne stanno minando le basi. Eppure, la festa non è un fenomeno accessorio e secondario nell’esistenza della persona: in essa sono implicate alcune dimensioni esistenziali che ci contrassegnano come esseri umani. Ne cito qui solo quattro: nel festeggiare sono presenti l’insopprimibile desiderio di una felicità piena (tutti desiderano essere felici e nessuno vi rinunzierebbe consapevolmente), la nostra relazionalità costitutiva (la rete di relazioni, tra cui quelle parentali, ci accompagna sin dalle origini e struttura la nostra identità), la tendenza a proiettarci al di là del tempo presente (siamo costantemente orientati verso il futuro e verso una pienezza che duri per sempre), il legame con le nostre radici (il nostro presente e i nostri progetti sono imbevuti del nostro passato e della consapevolezza della nostra origine).
Questi elementi così insiti nel fenomeno festivo sono, com’è evidente, strutture fondamentali dell’esistenza personale: pertanto la perdita del senso della festa non ci può lasciare indifferenti, poiché è segno e causa di gravi ripercussioni nella nostra vita.
L’autore di questo saggio
I motivi che ho esposto in sintesi fin qui rendono particolarmente attuale ed interessante il presente saggio di Josef Pieper, tradotto per la prima volta in italiano, in cui senza lungaggini estenuanti viene affrontato in profondità l’argomento della festa. Ma chi è Pieper? Vale la pena presentare brevemente questo autore, di cui solo alcuni libri sono stati pubblicati in Italia e sono ormai in gran parte difficilmente rintracciabili.
Nato a Rheine (Elte) il 4 maggio 1904, Josef Pieper può essere considerato uno dei più famosi filosofi cristiani del ventesimo secolo. Dopo aver frequentato il rinomato “Gymnasium Paulinum” di Münster, dove imparò ad apprezzare Tommaso d’Aquino e Kierkegaard, studiò filosofia, giurisprudenza e sociologia nelle università di Münster e di Berlino. Il suo primo libro, elaborato per il dottorato in filosofia, era intitolato La realtà e il bene: derivava dallo stimolo di un corso di Romano Guardini e dallo studio delle opere dell’Aquinate, la cui lettura Pieper non abbandonò mai, neppure negli anni dell’arruolamento nell’esercito tedesco. Sin dagli inizi degli anni trenta, si interessò attivamente ai problemi sociali, anche sulla spinta dell’enciclica Quadragesimo anno, e scrisse diversi saggi sulla questione sociale. Poi si dedicò soprattutto a temi etici e antropologici, a cominciare da una serie di studi su ciascuna delle virtù cardinali e teologali. Insegnò nell’istituto di magistero di Essen e in seguito assunse la docenza di Antropologia filosofica nella “Westfälichen Wilhelms-Universität” di Münster. Tra le altre onorificenze ricevute, nel 1981 gli venne conferito il Premio Balzan per la filosofia, perché, secondo la motivazione, aveva «aperto nuovi orizzonti nel riproporre i temi eterni della filosofia cristiana, congiungendo i pensieri della saggezza greca col messaggio del Vangelo in un linguaggio adatto a svegliare una coscienza filosofica dei problemi ultimi dell’esistenza nel pubblico in tutto il mondo».
Morì il 6 novembre 1997 a Münster (Westfalia). Le sue opere, tradotte in molte lingue, sono state raccolte in dieci volumi e pubblicate dalla casa editrice Felix Meiner (Hamburg), a cura di Berthold Wald.