Il cielo aperto (Gv 1,51)
(Studia taurinensia) [Libro in brossura]EAN 9788874027552
È del teologo canadese Bernard Lonergan la felice espressione secondo cui la fede “è la conoscenza nata dall’amore religioso”. Lonergan tentò in questo modo di offrire un contributo al tentativo di superamento del vecchio metodo teologico, imperante fino a poco tempo prima. La teologia fondata sui presupposti della neo-scolastica rischiava di scivolare in un razionalismo astratto che incasellava l’atto di fede dentro lo schema di un’operazione intellettuale, quasi separata dalla totalità della persona e della sua vicenda storica; la fede, invece, non è una fredda verità “da capire, conoscere e credere” in modo indipendente dall’esperienza dell’essersi innamorati. Senza amore non vi è conoscenza e l’amore ha origine fondante in una relazione.
Questa premessa può introdurre il teologo e il lettore nell’approfondimento di un contributo interessante e originale che intende esplorare la qualità teologica della fede proprio nella prospettiva della relazione, di cui autore è Ferruccio Ceragioli. Fisico prima che teologo, Ceragioli è presbitero della diocesi di Torino e insegna teologia fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. È proprio inserendosi nel solco della scuola teologica milanese che egli ha sviluppato una feconda ricerca sotto la guida di Pierangelo Sequeri, attraverso la tesi dottorale in teologia che qui presentiamo.
La pretesa dell’opera, come si intuisce soprattutto dal sottotitolo, non è di poco conto e si situa nel percorso della teologia del Novecento, attenta a recuperare la dimensione relazionale, antropologica e storica della fede senza esserne una semplice ripetizione ma, anzi, offrendoci un approfondimento e uno spaccato critico personale. La parola-chiave di tutta la ricerca è riconoscimento, parola che evoca immagini e situazioni del Vangelo e della stessa azione di Gesù ed esprime, contemporaneamente, l’evento che accade ogni volta in cui l’uomo vive una relazione umana fondamentale: riconoscere ed essere riconosciuti appartiene alla struttura stessa dell’essere uomo, al suo desiderio fondamentale ascrivibile alla ricerca di un compimento della propria libertà e della propria vita. La domanda che sembra attraversare l’opera non si discosta dall’impianto teologico di molte figure del Novecento, tra cui certamente Rahner, pur essendo poi sviluppata in modo diverso: è possibile che la struttura relazionale dell’essere umano in cui è insito il desiderio del riconoscimento sia in qualche modo legata e collegata alla struttura dell’atto di fede dal momento che essa è l’accadere di una relazione di riconoscimento tra Dio e l’uomo? L’Autore non si mostra né ingenuo e né sprovveduto nell’intravedere, sin dalle prime pagine, il rischio che due piani diversi vengano qui indebitamente sovrapposti e che l’alterità e la trascendenza di Dio venga quasi ridotta dentro un orizzonte esclusivamente antropologico; tuttavia, egli riflette sul cambiamento di paradigma degli ultimi anni, ad opera soprattutto del Vaticano II, per cui quando diciamo rivelazione, osiamo dire l’evento storico e reale di una relazione che Dio instaura per mezzo del Figlio Suo con l’uomo; in essa, è riconosciuto nella sua libertà e originalità e, peraltro, è accompagnato verso un compimento del suo desiderio di comunione, di senso, di pienezza.
La struttura della rivelazione di Dio, dunque, da cui anche la risposta della fede va interpretata in senso dialogico-relazionale, è molto simile a quella dei rapporti interumani; ogni uomo è in questo senso “estatico” e il senso profondo del suo essere e del suo vivere, gli appartiene come intimo desiderio che si realizza solo nella relazione che permette il riconoscimento: io e l’altro riconosciamo reciprocamente l’altrui libertà e ciò diventa possibilità di senso e di compimento.
Più precisamente, il desiderio relazionale dell’uomo è desiderio di riconoscimento a partire dal quale l’uomo perviene alla verità di se stesso e alla propria libertà e ciò costituisce una promessa di vita buona: «il desiderio umano è allora sempre desiderio di riconoscimento, speranza e attesa che la realtà si manifesti ancora e sempre in quella stessa forma di offerta di un possibile reciproco riconoscimento che ha segnato gli esordi della coscienza stessa» (482). Ora, l’accesso alla rivelazione di Dio in quanto relazione di riconoscimento, può avvenire non per strade esterne ed estrinseciste ma, al contrario, proprio a partire dalla stessa struttura del desiderio umano; non è forse la rivelazione di Dio l’evento in cui, in Gesù di Nazareth, il cielo della trascendenza si apre nella storia mostrando il volto di un Padre che non intende essere subìto passivamente ma intende instaurare una relazione di riconoscimento? E, se cosi è, non è forse la storia umana fatta di relazioni che tentano di battere la strada di un compimento della libertà, un preambolo alla fede nella rivelazione biblica? Insomma, il luogo della rivelazione, da questa prospettiva, non è più esterno alla persona e alla totalità dei suoi affetti e della sua vita ma, invece, è “il cielo aperto” dal di dentro dell’esperienza umana, in quanto la rivelazione è relazione di riconoscimento tra Dio e l’uomo e viene cosi incontro alla struttura stessa di tutte le relazioni umane, portandole a pieno compimento. Per sviluppare la sua tesi, Ceragioli avvia una ricchissima “analitica” del riconoscimento, spaziando con pertinenza e precisione sia nel campo della filosofia – da Honnet a Ricoeur – e sia mettendo in luce i diversi apporti che sull’ambito relazionale e del riconoscimento ci sono giunti, in questi ultimi decenni, dallo sviluppo delle scienze umane, dalla psicanalisi alle neuroscienze.
A margine di questo ricco percorso, l’Autore analizza il percorso della teologia in riferimento al tema del riconoscimento, soffermandosi soprattutto su von Balthasar e Verweyen e fino a intrecciare, con una certa capacità sintetica, la teoria del riconoscimento con la teoria della fede: da una parte, non c’è rivelazione e salvezza senza il riconoscimento di Gesù all’interno di una relazione non esterna e non opzionale; dall’altra parte, la fede antropologica e il desiderio umano di relazione e riconoscimento costituisce il luogo privilegiato entro cui la rivelazione divina accade. Così, chiude Ceragioli, «la verità cristiana della rivelazione e della fede potrebbe essere ben riassunta nella cifra del riconoscimento, che parla di un Dio che non vuole essere passivamente subito, ma attivamente e liberamente riconosciuto nel suo desiderio e nella sua volontà di comunione degli uomini tra di loro e di tutti gli uomini con Dio e riconosciuto proprio dall’interno di quei legami nei quali vive e pulsa il nucleo profondo ed essenziale dell’esistenza umana» (510).
Nonostante la ricchezza del percorso, il testo è lineare e, soprattutto, vanta una scrittura accessibile e comprensibile che la rende snella senza abbassarne le pretese scientifiche. Inoltre, il testo ci sembra rappresentare un nuovo e pertinente contributo di esplorazione dell’intreccio tra legami umani e rivelazione di Dio.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2013
(http://www.pul.it)
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