La forma oltre la bellezza
-Indagine sulla forma dell'ethos alla luce di alcuni autori contemporanei
(Dissertatio. Series romana)EAN 9788871053820
Il lavoro di don Filadelfio Alberto Iraci che ci accingiamo a presentare che nasce come ricerca di dottorato difesa presso l’Accademia Alfonsiana di Roma nel 2015, guidato dai prof. S. Zamboni e A. Gnada – rappresenta un buon tentativo sistematico di esplorare il rapporto fra etica ed estetica. O come scrive lo stesso A. si tratta di un’indagine fra l’ambito del fenomeno estetico e la teologia morale. L’A. a partire dall’indagine sul bello, analizza l’uomo che contempla la gloria di Dio che si manifesta nella persona di Cristo quale forma suprema del bello, per arrivare ad una proposta per la vita morale.
Iraci percorre con meticolosità la strada della riflessione estetica per arrivare alla percezione della forma, dove è possibile cogliere la rivelazione nella sua bellezza-bontà. In questo cammino la croce diventa elemento che fa risplendere il limite umano, offuscato dal peccato. La croce da elemento di morte diventa elemento di vita e bellezza; con la potenza della sua luce traccia una via unitiva in Cristo indicando la forma da imitare.
Il lavoro si presenta diviso in tre sezioni per un totale di otto capitoli. Nella prima sezione intitolata L’emergenza dell’estetico l’A. presenta un’articolata analisi di come si propaga l’estetico nella nostra società a gratificazione “immediata”. Per fare ciò offre una ricca esposizione sullo status quaestionis del rapporto che intercorre tra filosofia estetica e teologia morale, avvalendosi anche dell’archetipo del don Giovanni di Mozart come emblema della vita dissoluta all’antitesi con una concreta proposta morale. Individua nella categoria della forma la chiave ermeneutica per articolare una proposta teologico-orale che va a verificare nella sezione successiva.
L’A. afferma, correttamente, che l’estetica è la teoria della conoscenza sensibile. L’esperienza della contemplazione legata alla riflessione orienta le scelte. A partire da questo dato inverte il tema classico dell’esigenza della riflessione dell’etica per l’estetica, proponendo invece «la necessità dell’estetica per l’etica». Iraci continua affermando che «il presente studio si concepisce proprio come un tentativo di risposta alla crisi della riflessione etica attuale, in vista dell’elaborazione di una proposta morale che tenga conto dei passi già realizzati e dei mutamenti sociali individuati. Nel neonato rapporto tra etica ed estetica sarà posta un’ulteriore declinazione: la necessità dell’introduzione della forma, che è categoria estetica ma non solo. L’obiettivo che si auspica di raggiungere è quello di fondare maggiormente la reciprocità del legame tra etica ed estetica attraverso la particolare prospettiva della forma» (116).
Il piacere per il bello orienta verso una pienezza di vita “che coincide con la vita buona” (cf.130). Questa constatazione fa nascere nell’A. un’ulteriore domanda, così riassumibile: perché la bellezza è così attrattiva tanto da rappresentare il senso della pienezza di vita? Significativa a tal proposito è la scelta operata per approfondire la pista di riflessione: «L’indagine sulla forma indirizza verso la ricerca di una forma concreta, che possa condurre alla realizzazione di una vita umana pienamente riuscita e assurgere quindi a modello universale per la forma dell’ethos umano. Quest’esigenza sorge soprattutto di fronte alla consapevolezza che la società della gratificazione istantanea fornisce le prerogative per la costruzione di un’etica frammentata, finendo per porre come modello un uomo senza forma, de-forme e de-strutturato» (133).
Nella seconda sezione dal titolo L’Ethos della forma è presente su questa tematica il contributo di tre autori contemporanei (Luigi Pareyson, Hans Urs von Balthasar e Giuseppe Angelini). In modo coerente l’A. presenta nel suo insieme prima il pensiero degli autori sul dato studiato, per poi entrare nella specificità delle singole proposte, evidenziando quegli elementi validi per la costruzione della sua proposta teologica morale che farà nella terza sezione.
Luigi Pareyson, uno dei filosofi italiani del ventesimo secolo più originali, sviluppa il concetto di forma come forma formante e forma formata che costituisce la base della proposta delle formatività. «Per Pareyson la forma è la chiave di lettura di tutta la realtà» (160). Pareyson adopera il verbo formare per indicare quel tipo di fare che allo stesso tempo esegue e trova nuovi modi di fare. Di conseguenza il fare umano crea forme che rimandano ad una realtà trascendente. In questo ragionamento la formatività segna ed orienta profondamente la vita spirituale dell’uomo in quanto il modello creato ha una forma che rimanda all’originale ma conserva la sua identità profonda.
La forma aiuta a recuperare la categoria estetica che a sua volta rimanda alla dimensione pratica della morale. In questa dinamica la forma si sviluppa in formatività. La forma che nasce nella creazione artistica, e in qualunque evento legato all’iniziativa umana, è manifestazione di una presenza che trascende la pura relazione tra il soggetto e l’opera. In questa dinamica l’agire umano è sempre personale e le azioni compiute dall’uomo diventano una sintesi di attività e recettività.
Sul concetto di forma in von Balthasar è stato già scritto tanto non solo in questo lavoro. Qui ci soffermeremo unicamente sulla forma Christi così come proposta dal teologo svizzero. L’A. chiarifica che la forma Christi, nel pensiero di Balthasar, è lo svelamento pieno e definitivo di quella forma che è l’amore di Dio per ogni uomo. «La bellezza della forma sembra essere data esattamente dallo splendore che rifulge quando si contempla Cristo nel suo apparire integrale e unitario […]. L’armonia finale e ultima che si percepisce è la via con cui si rivela la genialità di Dio e, nella forma Christi, il nucleo fondamentale della fede cristiana si lega con l’ambito filosofico e la condizione del vincolo è proprio l’approccio balthasariano a partire dal pulchrum. A questo punto, grazie al principio estetico individuato, si può proporre la forma come categoria che unisce i due ambiti» (317). Ecco perché l’A. afferma che «la categoria della forma […] assume e concentra in sé l’apporto filosofico: essa è consegnata dalla filosofia estetica e, a motivo della relazione di necessaria derivazione in cui von Balthasar pone il bonum rispetto al pulchrum, la forma diventa categoria teologica essenziale per la riflessione morale» (317-318).
L’ultimo capitolo di questa sezione è dedicato alla forma nel pensiero di Giuseppe Angelini. Il nocciolo del pensiero del teologo di Milano è così presentato: «è proprio la coscienza dell’uomo ad avere la forma, ossia l’intima struttura, della fede, poiché il soggetto agisce in maniera veramente libera quando esercita la fiducia nella promessa che il suo agire racchiude e solo attraverso questa operazione la sua coscienza diventa espressione della sua identità più profonda. Dire che la fede è la forma della coscienza, dal punto di vista lessicale, vuol dire che la fede struttura e plasma la coscienza dell’uomo, esercita su di essa un’opera di formazione e di modellamento, in obbedienza alle dinamiche proprie della fede» (389). Il pensiero di Angelini si muove a partire dal dato biblico per poi articolare l’agire morale che prende forma nella fede. Nella terza sezione dal titolo La forma dell’ethos l’A. si prefigge di ricercare la forma che permette all’uomo di raggiungere la pienezza del suo essere.
Ci troviamo di fronte ad un tentativo di mappatura cristologica per un modello morfologico in teologia morale.
Già dal titolo di questa sezione è chiaro l’obiettivo che l’A. si propone: «andare alla ricerca della forma che permette all’uomo di raggiungere la pienezza del suo essere e comprendere se e come questa forma possa realmente strutturare la sua esistenza» (393). È indagata quindi la dinamica della forma Christi nell’esperienza per poi abbozzare un modello morfologico di teologia morale.
Iraci, una volta ribadite le acquisizioni teoriche fondamentali, analizza la fenomenologia dell’esperienza attraverso la forma Christi nella vita dell’uomo. Scandisce questo percorso in quattro tappe primarie: la prima di carattere estetico, per cogliere il sorgere della forma, la seconda di carattere ermeneutico per comprendere la forma, la terza di carattere pratico attraverso la sequela e la quarta di carattere estetico per ritornare alla forma originaria.
L’ultimo capitolo, che chiude il lavoro, oltre a focalizzare i dati acquisiti, propone un modello morfologico in teologia morale. Le pagine intorno alla forma Christi e forma hominis penso esprimano il contributo più genuino di tutto il lavoro. L’A. afferma che «è possibile applicare le categorie della persona come forma alla forma Christi, intesa come forma della vita morale. È Cristo che possiede per eccellenza una forma vivente in se stessa, che suscita “atti esemplati sul suo valore ed opere ispirate al suo carattere”. I processi di formazione che nascono come imitazione della forma Christi, infatti, non sono altro che opere a lui ispirate e da lui ispirate perché è Cristo stesso che chiama ad imitare la sua forma: nell’ispirazione è possibile individuare il modo spirituale di azione della forma e le forme che sorgono sono esemplate sulla sua forma esemplare […] essa agisce come forma formante nel cammino della perfezione cristiana, nel senso che è la regola d’azione il principio dell’agire dell’uomo, attraverso l’azione dello Spirito Santo» (550-551).
Iraci organizza quindi la sua proposta a partire dalla fenomenologia dell’esperienza morale pensata attorno alla categoria di forma. In questo percorso l’estetico fascina l’uomo indicandogli una forma concreta da seguire.
Il volume traccia una pista teorica stimolante e da approfondire particolarmente per i dati riportati nella terza sezione Per un modello morfologico di teologia morale. La riflessione proposta incita a ripensare la teologia morale nella prospettiva dell’estetica come chiave ermeneutica (cf.433). Il tentativo proposto da Iraci, particolarmente nel settimo capitolo, nel privilegiare l’approccio teologico-fondamentale, che ha ovviamente una sua intrinseca validità, rischia però di sacrificare un po’ il vissuto concreto da dove nasce la domanda morale. Per questo mi auguro che le piste intraviste dall’A., in modo speciale nell’ultimo capitolo, possano essere maggiormente approfondite in studi futuri, avendo sempre come paradigma l’esperienza concreta del vissuto morale per arrivare ad una proposta teorica.
Ci troviamo di fronte ad un lavoro valido, ben articolato che come afferma lo stesso A. «possiede le caratteristiche di un esperimento» (577) chiamato a sviluppare la strada intravista, bisognosa di essere percorsa in tutta la sua profondità per il valido contributo che può offrire alla riflessione teologico-morale.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2018
(http://www.pul.it)