La teologia nel tempo dell'evoluzione
(Forum ATI) [Libro in brossura]EAN 9788871052908
Quasi a voler rispondere alle celebrazioni darwiniane, gli atti di questo corso di aggiornamento organizzato dall’Associazione teologica italiana (ATI) alla fine del dicembre 2009 attestano un tentativo di sondare eventuali convergenze fra quella teologia della storia che colloca la realtà di Dio nel tempo del mondo e della coscienza, e quel sapere scientifico che si configura come un processo di espansione della mente verso una realtà pressoché illimitata. Tra i partecipanti al dibattito: Jacques Arnould, che presso l’Editrice Queriniana ha pubblicato due volumi sul tema: La teologia dopo Darwin (Brescia 2000); Dio, la scimmia e il big bang (Brescia 2001).
Tratto dalla rivista Concilium n. 5/2010
(http://www.queriniana.it/rivista/concilium/991)
Si sa che le ricorrenze darwiniane del 2009 (bicentenario della nascita e centocinquantesimo della Origine delle specie) hanno dato luogo a numerosi dibattiti anche teologici circa l’evoluzione. Basti ricordare, solo per fare un esempio, l’importante Congresso internazionale .L’evoluzione biologica . Fatti e teorie., 3-7 marzo 2009, all’Università Gregoriana, e il numero monografico .Evoluzionismo e fede cristiana. della rivista Credere Oggi dello stesso anno. Il volume che ora presentiamo pubblica gli atti del Corso di aggiornamento dell’ATI 2009, ha cui hanno preso parte alcuni eminenti specialisti italiani.
Dopo una breve presentazione del Curatore, apre il volume P. Costa, «Un’idea di uomo dopo Darwin: dall’eccezionalità all’eccentricità umana» (3-33). L’A. mette in risalto la differenza umana - a partire dalla eccentricità. Debitore, in particolare verso H. Plessner (I gradi dell’organico e dell’uomo, Boringhieri, Torino 2006), egli rileva la questione della libertà e «l’intreccio tra percezione, immaginazione, comprensione» (30) come segno della singolare apertura dell’uomo sul mondo. Il contributo di C. Molari, «A centocinquanta anni dall’Origine delle specie: un’idea di Dio» (35-87), è sistematico e complessivo. Vi si espone la visione attuale del darwinismo; l’opposizione storica dei credenti all’evoluzionismo; la negazione di Dio da parte degli evoluzionisti: il ritorno alla natura; la concezione “eziofila” del cervello e la stessa concezione di Dio (cf V. Girotto - T. Pievani - G. Vallortigara, Nati per credere [Codice, Torino 2008], secondo cui il teismo è implicito al cervello strutturalmente desideroso di dare una causa alle cose).
In una rinnovata ermeneutica biblica, «i credenti oggi non hanno più alcuna ragione biblica di opporsi alle teorie evoluzioniste, che dovranno essere valutate in base alle prove scientifiche addotte e non secondo i modelli con cui i credenti dei secoli scorsi hanno interpretato le loro esperienze religiose e hanno quindi trasmesso le dottrine della fede» (61). In merito al Dio creatore, si distinguono vari modelli: il .Dio orologiaio. del deismo (o già dell’impetus di Buridano [cosa a cui si opporrà Newton]); il “creatore puntuale”; il “creatore sempre” (cf Sertillanges nella scia di Agostino: «Dio stesso, la cui potenza segreta penetra in ogni cosa in maniera misteriosa, dona l’esistenza a ogni cosa che esiste» [Civ.Dei 12,25] e di Tommaso che scrive della creazione come dipendenza [ScG 2,18] e della conservatio a Deo [ST I,104,1, ad 4]); l’azione divina come fondamento intrinseco dell’azione creaturale (sempre Tommaso scrive: «non sottraiamo alle cose create le loro attività proprie pur attribuendo tutti gli effetti delle cause create a Dio, come a colui che opera in tutto» [ScG 3,67, ST I, 105,5]). Tale prospettiva riemerge in Teilhard de Chardin per il quale Dio fa facendo fare («Dio propriamente parlando non fa le cose, ma fa che le cose si facciano» (Comment je crois, 38). Richiami biblici sull’azione continua di Dio e sulla derivazione da lui della capacità umana sono Gv 5,17, 2Cor 3,5, Fil 2,13, Ef 4,3. Bisogna in ogni caso evitare la visione di un Dio tappabuchi e ricorrere piuttosto alla terminologia dinamica di energia/potenza, potenza ordinata. Il tempo è caratteristica della creatura, che ne dice la limitatezza intrinseca a determinare una espressione parziale in essa della potenza di Dio (76). Il problema dell’origine del male muove dalla nota ricerca agostiniana (cf Conf. 1,7).
Se si accettata la temporalità e finitezza della creatura, il .male., emerge come «componente necessaria del processo della creazione ancora in corso» (79). In merito alla questione della Casualità o Progetto intelligente, del Finalismo, Molari invita a non precipitarsi sul "principio antropico", che può rivelarsi una tentazione. «Dio, come fine del processo appare solo all’interno del processo di fede e l’estensione di questa scoperta ai diversi processi cosmici non sembra legittima» (82). La causalità e la finalità attrattiva di Dio non sono immediati e diretti, ma implicano il concorso delle cause seconde: «il finalismo relativo è rilevabile solo al termine del processo e nella connessione delle cause efficienti attraverso le quali il percorso si snoda spesso in modo caotico e disordinato, con involuzioni e arresti» (83). In conclusione la domanda è: quale Dio testimoniamo? Si dà la necessità improrogabile di offrire una testimonianza intelligente e al passo con la scienza al Dio per cui tutti viviamo (cf Lc 20,18). G. Accordini, «Il flusso dell’evoluzione e la singolarità in teologia» (89-118), offre una riflessione sulla «peculiarità rivelativa del tempo dello spirito» (xi) per recuperare una epistemologia teologica personalista al riparo dal dualismo cartesiano e capace di rendere ragione della irriducibilità del viere in .prima persona.. Il contributo di J. Arnould è intitolato: «Dismisura della natura, mala-misura della creazione. Le sfide lanciate alla teologia cristiana dalle scienze contemporanee » (119-134).
Lo scienziato e teologo francese auspica che miracolo e mistero siano accolti come oggetto di indagine dal sapere scientifico; ma pure che la scienza sproni la teologia a purificare il suo linguaggio, aiutando i credenti a fremere di più di meraviglia quando pronunciano il loro credo nel Creatore (126). Occorre evitare gli estremi del creazionismo e dell’Intelligent Design alla Denton o il razionalismo alla Hawkig: né GOD, né GUT (Great Unifying Theory). Nella scia di Agostino bisogna piuttosto aderire alla ragione, ma contro la seduzione della falsa filosofia e la superstizione della falsa religione (Gen’Litt. 18, 19, 21). È comunque necessario avvalersi di nuovi concetti per dire di Dio (cf Jonas). Il Dio creatore-evolutore gioca ai dadi (vs Einstein), perché accetta il rischio e l’aleatorio (cf Euvé). Notiamo che Arnould si riferisce positivamente allo Tsimtsum ebraico di Luria, a differenza di Molari (cf 132). Lo sguardo deve mirare a un .Cristo sempre più grande. (Teilhard de Chardin), non più in rapporto a un cosmo finito. O. Franceschelli, «Antropologia naturalistica: a partire da Darwin e di fronte alle sfide delle biotecnologie» (135-152), rappresenta in qualche sorta la voce laica. Essa propone di dialogare, evitando reciproche scomuniche, per affrontare grandi temi etici. Non necessariamente l’adesione al naturalismo (l’uomo come elemento della natura, eco-appartenenza) porta al nichilismo dei valori. Pare di trovare qui la versione scientifica del .debolismo filosofico. aperto al dialogo con il mondo cattolico (cf Natoli, Vattimo). G. Grandi, «Natura e persona. Tra evoluzione del genere umano e maturazione dell’uomo» (153-182), si ispira soprattutto alla visione tomistica (Tommaso, Maritain) che include ontologia (natura e struttura) della persona con la sua esistenza dinamica e relazionale (esperienza). Ne risulta anche qui la necessità di pensare un Dio non mero orologiaio (177) e di aprirsi al dialogo tra pensieri plausibili, evitando di accusare di mero nichilismo il naturalismo o di arroganza il teismo.
Di nuovo, il dialogo si impone come via praticabile per interagire in vista di un mondo più umano. S. Semplici, «Darwin e l’essenza dell’umano» (183-207), difende la non riducibilità dell’uomo a biologia, e questo in forza di una considerazione del carattere storico dell’esperienza morale della responsabilità. Risulta valido l’assunto kantiano dell’uomo come persona e quindi come indisponibile. Che si veda in questa differenza un salto di grado o di genere rispetto al mondo biologico, è, al limite, secondario. S. Morandini, «La teologia nel tempo dell’evoluzione» (209-240), sottolinea come la trascendenza dell’essere umano, costantemente ribadita dal messaggio biblico e dalla tradizione cristiana, ha diritto a essere riproposta anche oggi, a costo di inserirla nel dialogo con la scienza e in specie con il tema dell’evoluzione biologica e morale dell’umanità. Si potrà continuare a negare credibilmente che gli uomini siano solo “scimmie nude” (231) a condizione di ampliare l’orizzonte della riflessione sì da consentire una interpretazione teologica dell’evoluzione sia cosmica che umana, in cui la questione etica sia presa in debita considerazione. In merito, l’ethos di Gesù, con la sua "cura" e umanità proesistente, rimane un dato insuperabile, così come la sua risurrezione può essere pensata come «svelamento prolettico della rilevanza cosmica di tale dinamica» (238). G. Brena, «Teologia fondamentale ed evoluzione» (241-264), offre un saggio sul pensiero di W. Pannenberg e sulle ripercussioni, nell’ambito della teologia fondamentale, della sua Systematische Theologie. Si prende in esame il recupero da parte di Pannenberg delle nozioni di Campo, Forza-Vita, Spirito e la sua idea per cui spazio e tempo possono intuirsi come “attributi di Dio” infinito. M. Gronchi, «Evoluzione e cristologia» (265-298), ripercorre la ricezione del tema-ipotesi “evoluzione” nell’ambito della teologia cattolica e cristiana in generale. Ovvio l’avvio dal “Darwin cristiano”, ossia Teilhard de Chardin, ma pure significativo è il contributo di K. Rahner («La cristologia nel quadro di una concezione evolutiva del mondo» [1962]) e dei confratelli Flick e Alzeghy. In ambito statunitense spicca il pensiero del Process legato a Whitehead ed elaborato soprattutto da J.B. Cobb (A Christian Natural Theology, 1965).
Rileviamo qui solo il diverso accento posto sul peccato originale in Teilhard e nei due antropologi della Gregoriana: per il primo questo concetto amartiologico pare un residuo di una visione fissista e corrisponderebbe, di fatto, solo allo «stesso meccanismo della Creazione . in cui rappresenta l’azione delle forze negative di “contro-evoluzione”» (La mia fede, Brescia 1993, 144); per i secondi, invece, esso è un “blocco evolutivo”, ovvero un’arresto nell’evoluzione («Il peccato originale i prospettiva evoluzionistica», in Gregorianum 47 [1966] 201-225). La perdita dei doni preternaturali è letta in senso dinamico come il risultare compromessa la promessa di vita e santità fatta da Dio all’uomo. Il peccato originante è quello del primo uomo giunto all’uso della ragione e che provoca negli altri un blocco evolutivo (cf 283ss). La conclusione di Gronchi non manca di rilevare che il magistero ufficiale recente ha integrato una certa prospettiva evoluzionistica (cf GS 5 e CCC 310). M. Aliotta, «L’impatto dell’evoluzionismo sull’antropologia teologica» (299- 326), riprende alcuni importanti trattati di antropologia teologica per individuarvi il peso in essi assunto dal discorso evoluzionistico. Si citano Ladaria, Scheffzcyk, Euvé e soprattutto Lonergan. L’A. conclude, appoggiandosi ad autori come Kant, Kierkegaard, Benjamin e Levinas sulla unicità dell’uomo come singolo, la cui peculiarità è quella di non ridursi a mezzo o a cosa, ma l’essere persona e quindi "santa".
Il contributo è meritevole sotto più di un aspetto: offre un autorevole spaccato della recente ricerca con abbondanti dati bibliografici, nella prospettiva di un cattolicesimo aperto e dialogico. Si poteva forse auspicare a fine libro una sintesi capace di raccogliere in modo sistematico-didattico quanto disseminato nel volume, così come - oltre l’utile indice dei nomi - una bibliografia. In merito, menzioniamo, come possibile integrazione a questa riflessione, il recente sforzo di P. Valadier sulla differenza umana (cf L’exception humaine, Paris 2011, e in articolo su La Civiltà Cattolica, n. 3846).
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2012
(www.rassegnaditeologia.it)
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