La ricerca della verità, anche quando è scomoda, è l'anima della ricerca scientifica: essa non odia né intende discriminare nessuno.Vincere una battaglia politica o avere i media dalla propria parte non significa avere ragione. Molto spesso i temi qui trattati vengono erroneamente letti nella prospettiva della cultura cattolica, rischiando di perdere di vista il vero nocciolo della questione: il maggiore interesse del bimbo. Sta accadendo quanto G.K. Chesterton aveva scritto: "Uomini che cominciano a combattere la chiesa per amore della libertà e dell'umanità, finiscono per combattere la libertà e l'umanità pur di combattere la chiesa".Questo libro - laicamente e scientificamente - si propone di mettere le cose a posto.
INTRODUZIONE
La storia umana, in ogni epoca, ha conosciuto momenti in cui la menzogna è stata venduta come verità, che — per poter essere riaffermata — ha richiesto, in alcuni casi, lacrime e sangue. Basti pensare al tema del razzismo, tragica ferita che ha lacerato secoli di storia, e che — in spregio ad ogni evidenza etica, prima, e scientifica, poi — nutrendosi solo di cieca ideologia, è costata milioni di vittime.
Anche il tempo che ci troviamo a vivere è contrassegnato da eventi che possiamo definire -emergenze antropologiche": ogni qualvolta l'uomo e la sua dignità sono sottomessi alle logiche del profitto, del mercato, dell'interesse di categoria è l'umano stesso che è dentro di noi ad uscirne ferito, lacerato, sconfitto. I barconi degli immigrati in cerca di speranza, i bimbi rapiti e venduti per il commercio di organi, la nuova tratta delle donne destinate alla prostituzione — e l'elenco potrebbe ancora allungarsi — sono punte di un iceberg nascosto che galleggia su quella "seducente parolina" di cui tanto si riempiono, oggi, le nostre bocche: diritto.
Viviamo il tempo dei "diritti'', del "diritto a tutto,per tutti'', in una sorta di delirio collettivo di onnipotenza per il quale non esiste — non può e non deve esistere — un principio oggettivo di riferimento che faccia da argine all'assurdo dilagare della pretesa personale.
Il senso stesso dello Stato viene rielaborato, la sua funzione ordinatrice di virtuosa ricerca del "bene comune" viene marginalizzata a vantaggio di una visione pragmatica, che oserei definire "ragionieristica", secondo la quale il compito delle istituzioni è di organizzare la società in modo che ogni desiderio singolo si concretizzi in un diritto individuale, riconosciuto e garantito.
Papa Benedetto XVI utilizzò un'espressione molto forte per delineare la deriva socioculturale del nostro tempo: "la dittatura del relativismo", senza alcun limite, il principio che tutto è possibile e deve essere reso possibile. La preferenza, la scelta, l'opinione Personale non solo non sono discutibili, non solo non hanno necessità di essere argomentate in modo concreto e razionale per essere accettabili o plausibili, ma, per il solo fatto di essere state espresse, devono essere garantite e tutelate, ricorrendo a strumenti giuridici e/o amministrativi ad hoc.
I passaggi di questa strategia, ormai, ci sono ben noti: individuato un desiderio, questo viene trasformato in bisogno e, quindi — smessi gli abiti del desiderio, cioè dell'arbitrio personale che connota appunto il desiderio — diviene un "diritto". Quindi, quando emerge un bisogno, questo diventa automaticamente un diritto: china assai pericolosa in una società come la nostra, che è maestra nell'indurre "desideri/bisogni" — più delle volte, fallaci ed infondati — in ciascuno di noi. Si pensi, ad esempio, al "desiderio" del figlio — questo per nulla infondato, anzi radicato nella natura umana — che si sta trasformando nel "diritto" al figlio, costi quel che costi, fino a pretendere ogni tecnica — scientifica o giuridica — che concretizzi la richiesta.
Eppure, la stessa storia del relativismo — da Protagora a Popper — ci ha insegnato che almeno un principio non dovrebbe mai cadere: la "corrispondenza al reale". Se un fatto è reale, concreto, oggettivo, descrivibile, e se un principio corrisponde e descrive quel dato reale, non può essere marginalizzato o — peggio — ignorato, soprattutto quando si tratta di fare scelte (o di scrivere leggi) che coinvolgono la società intera.