Redemptor meus vivit. Iscrizioni cristiane antiche dell'area napoletana
(Oi christianoi - Sezione antica)EAN 9788861240124
Questa collana, e in particolare la sua sezione antica, continua a donarci ricerche su argomenti inesplorati e studi riguardanti "questioni aperte e dibattute nella storia del cristianesimo". Con una ben precisa scelta di campo geografica: il sud d'Italia. Ponendo così "un pur piccolo contributo: sia alla cultura italiana - sovente presuntuosamente competente di storia del cristianesimo - sia per alimentare la molto tenue speranza per un sud d'Italia consapevole della ricchezza del pensiero meridiano" (presentazione della Collana)
"La silloge di iscrizioni cristiane latine e greche che qui sono presentate si riferisce [soprattutto] a Neapolis, una delle città della Campania felix [ma anche] a Stabiae, ad Aenaria e a Capri. Si tratta di epigrafi [funerarie] spesso note singolarmente, ma mai studiate complessivamente. [...] La maggior parte del materiale epigrafico è pertinente ai secoli fine IV, V e VI, e sembra manifestare la situazione, le credenze, la composizione di comunità di fedeli oramai mature e completamente sviluppate".
Le epigrafi dei siti catacombali di Napoli sono i più studiati e tra i diversi cimiteri di Napoli il più grande e famoso è quello che deriva il toponimo dal martire beneventano Gennaro, attualmente '(super)protettore e patrono' della città di Napoli.
Dopo un breve panorama degli studi epigrafici, l'Autore (archeologo e docente di Architettura ecumenica presso la Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale sezione san Luigi), propone un'analisi tipologica essenziale delle epigrafi (evidenziando la communis elocutio del latino, poche in greco, il gran numero di iscrizioni dipinte accanto ai ritratti dei defunti, iscrizioni relative al solo elemento onomastico e senza valenze teologiche o dottrinali...). E di particolare interesse i "contenuti formali" di tali produzioni epigrafiche la cui conoscenza "aiuta a definire le concezioni religiose, a mostrare gli affetti e a chiarire le idee sul mistero della morte" da parte dei fedeli di queste comunità. Il tutto veicolato dal latino (per esempio "l'uso del verbo quiesco e dei suoi composti è il più diffuso, con qualche eccezione, mentre di rado le iscrizioni esprimono l'idea della morte come dipartita, soprattutto con l'uso del verbo recedere") e dai suoi fenomeni grafo-fonetici (come vixxit per vixit e xancto per sancto, oc per hoc...). Ma esistono anche esempi di "qualità tecnica e linguistica" presenti in epigrafi di un'élite benestante e facenti riferimenti alla cultura colta di Neapolis. Sintomatica è la presenza di nomi rari, nomi grecanici e latini insieme, numerosi sono i nomi teoforici (Habetdeus, Deusdona).
Ogni epigrafe è riportata in immagine o, quando possibile, riscritta nella sua grafia, commentata nello stile e nella sua peculiarità, con ampia documentazione specifica e specialistica. Elementi che assicurano e garantiscono la scientificità della ricerca e permettono altre letture di queste epigrafi. Cioè quelle letture che esigono la ricerca archeologica ma non possono rimanere esiliate in esse. Perché l'intenzione di queste epigrafi è quella di ricordare una presenza (quella degli ormai defunti donne, uomini e bambini) e soprattutto testimoniare una speranza. Pur nella loro essenzialità, tipica dell'epigrafia e di quella cristiana in particolare, queste iscrizioni si prestano a letture di tipo liturgiche (la gestualità orante verso Oriente dei defunti), ecclesiali (la traditio legis), di fede nella risurrezione (il verbo quiescere e i suoi composti), di tipo cristologiche (Cristo come Pax in cui i defunti si addormentano ['requiescono'], il monogramma costantiniano χριστος, spesso tra due figure di defunti e la "grande croce monogrammatica incoronata dalla mano divina con le lettere apocalittiche alpha e omega in campo stellato nell'oculus centrale della volta mosaicata del battistero di san Giovanni ad fontes maiores" di Neapolis. E di quest'ultimo J.P. Hernandes, citato dall'Autore, propone un mirabile esempio delle sue molteplici letture: "Il campo stellato in cui è inserito il monogramma è l'aggancio iconografico con tutte le religiosità naturali. Siamo di fronte a uno schema di magistrale inculturazione. Per gli artisti del nostro battistero, il battesimo è sì l'ingresso del cielo nella terra, ma di un cielo che non è vuoto. Non è il cielo della superstizione astrologica, né il cielo della tradizione cara allo stoicismo popolare del tardo Impero. Né il cielo formato dagli atomi del clinamen causale di Lucrezio e dell'ateismo degli epicurei. Né le sfere pitagoriche o gnostiche. La divinità nel nostro battistero non è un fluido asettico né un'energia diffusa. Non è un principio anonimo, ma è un Nome. Formato dalla X e dalla P, il cristogramma rappresenta Cristo come "Nome" di Dio.Il cielo del battistero non è vuoto, ma è personale. L'eschaton cristiano è Escatos" (
Anche l'archeologia, come tutte le scienze che orbitano nell'universo del patrimonio religioso e culturale, può permettere a teologi, liturgisti e biblisti di parlare un altro linguaggio: quello della teologia e della liturgia testimoniata e della Bibbia vissuta, grazie alla memoria di questi nostri fratelli e sorelle nella fede in Cristo Risorto.
La ricerca è realizzata dall'Istituto di Storia del Cristianesimo della Pontificia Facoltà dell'Italia Meridionale sez. san Luigi - Napoli in collaborazione con il Servizio Nazionale della CEI per il Progetto Culturale.
P. T.
(RL 2008)
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