Logica e diritto: tra argomentazione e scoperta
[Con risvolti di copertina]EAN 9788846507891
Mentre pochi dubitano dei preziosissimi servigi che la Logica può offrire, ed ha offerto, al Diritto ed alla normatività in genere, spesso non si considera affatto la ricchezza di prospettive che il Diritto, a sua volta, può offrire alla Logica. La Logica giuridica è stata spesso ridotta a quella normativa o decisionale, oppure alla sola argomentazione; per contro la pratica giuridica offre un ampio campo d’esercizio alla Logica investigativa e valutativa in prospettiva aletica.
La ragionevolezza del Diritto e la sua dipendenza dalla verità –ricostruibile spesso solo a posteriori– chiedono oggi alla Logica non un semplice ‘calcolo’ di soluzioni esatte (il c.d. sillogismo probatorio) o convincenti, ma l’approntamento di metodiche d’investigazione e valutazione realistiche e condivisibili.
Tratto dalla rivista "Apollinaris" n. 2 del 2011 (LXXXIV)
(http://www.pul.it)
L’opera collettanea vuole evidenziare il rapporto e l’interazione tra logica e diritto, in quanto, mentre da una parte, l’ambito giuridico sembra essere una buona fonte per i logici in cerca di nuovi ambiti di indagine e di sperimentazione delle loro capacità e tecniche, per i giuristi la consapevolezza dell’esistenza di più logiche e di diverse funzioni/attitudini della stessa logica può mettere a disposizione la possibilità di individuare, verificare e applicare specifici modi di leggere le vicende umane e, più ancora, specifici modi di investigare quella verità dei fatti che costituisce la prima esigenza di ogni attività giurisdizionale.
Il professor Paolo Gherri afferma che il mondo giuridico è fatto di parole: affermazioni, negazioni, pretese e rifiuti, istanze e verdetti…, un mondo in cui esistono dei fatti concreti, ma irripetibili (cf. p. 15). Il diritto, inoltre, continua l’autore, è uno dei maggiori ambiti del linguaggio formativo (cf. p. 18): quello, cioè che crea e modella la realtà attraverso la parola; quello che condanna, creando un colpevole, e assolve, riconoscendo un innocente; quello che assegna un patrimonio o dichiara un fallimento; quello che sancisce un patto o lo invalida. Il diritto, quindi, gestisce le potenzialità dello strumento linguistico, affinché il decisum corrisponda sempre più al cognitum. Il connubio tra logica e diritto ha suscitato varie opinioni dottrinali; infatti, c’è chi ritiene che la logica sopperisca a un’esigenza di rigore cui la giurisprudenza non può sottrarsi; c’è chi ritiene tale unione trascurabile; c’è, invece, chi esclude la logica dal ragionamento dei giuristi, in quanto non avrebbe natura dimostrativa, ma persuasiva e retorica. In questo contesto problematico la relazione tra logica e diritto ha spesso generato riflessioni specialistiche poco più che formali, indicate come logica giuridica. Quest’ultima non è altro che l’insieme delle diverse tipologie, metodologie, concezioni logiche, all’interno della complessa attività giuridica, la quale, proprio perché espressamente valutativa, non può prescindere dall’utilizzo della logica, con la quale la conoscenza reale si forma attraverso il linguaggio e il corretto pensiero. I campi fondamentali del ricorso alla logica nel diritto sono riconducibili alle specializzazioni dell’attività giuridica: nomogenetica, governo/amministrazione, giurisdizione, dottrina. Ciascuna di queste specializzazioni dell’attività giuridica – Bernard Lonergan è qui in filigrana – ricorrerà ad alcune specializzazioni funzionali logico-giuridiche: normativa, investigativa, argomentativa, decisionale, verificativa, sistematica. La logica normativa è il cardine dell’attività del legislatore, chiamato a definire, correlare, sanzionare normativamente fattispecie e istituti, nei quali, concretamente, si articola e dei quali si occupa la norma giuridica come tale.
Venendo al campo giudiziario, ciò che si chiede al giudice è la capacità di ricostruire il quadro degli eventi a lui sottoposti perché ne deliberi le necessarie conseguenze sostanziali e giuridiche, attraverso un’attività che si svolge per gradi volti a conseguire differenti risultati: logica investigativa nella fase istruttoria; logica verificativa nell’ammissione e valutazione delle prove; logica decisionale in quella decisoria; logica argomentativa nella fase conclusiva di pubblicazione della motivazione del decisum. Passando a esaminare più da vicino i criteri e le specializzazioni funzionali logico – giuridiche, possiamo evidenziare tre criteri di lettura dei ricorsi logici in campo giuridico: tematico, metodologico e funzionale. Per quanto riguarda il criterio tematico, sono tre gli ambiti in cui si è ricorsi alla logica in campo giuridico: a) il linguaggio giuridico; b) il ragionamento giuridico; c) le aree di espressione del fenomeno giuridico. In merito al criterio metodologico si devono sottolineare i vari significati attribuiti al termine “logica” da parte della dottrina giuridica (uso a-tecnico e uso tecnico del termine stesso). Relativamente al criterio funzionale, possiamo inventariare la logica sistematica che analizza lo studio dei rapporti tra gli elementi costitutivi delle norme e le norme stesse; la logica euristica che individua le premesse e le conseguenze attuate dai vari operatori del diritto; la logica giustificativa adottata da coloro che devono giustificare le proprie scelte giudiziali. Non hanno minore importanza le specializzazioni funzionali (la specializzazione normativa comprende l’operato dei diversi legislatori e di tutti coloro che sono chiamati a dare norme comportamentali di portata generale; specializzazione investigativa; specializzazione argomentativa; specializzazione decisionale; specializzazione verificativa; specializzazione sistematica.) I giuristi utilizzano sia l’indirizzo logico-estensionale che quello intenzionale. Le logiche intenzionali si riferiscono a volontà, desiderio e intendimento. L’azione intenzionale è il risultato di un riconoscimento da parte del soggetto della normatività implicita nel fine intenzionale e del nesso che lo lega ai mezzi necessari per realizzarlo. Non meno rilevante è la logica aletica, che si occupa del pensiero e della sua espressione del discorso, non dal punto di vista della forma, bensì del suo contenuto, e più precisamente dal punto di vista del valore di verità del contenuto stesso. Perciò è definita logica materiale, perché la forma delle regole da essa stabilita deve essere applicata alla materia della singola situazione cognitiva concreta. Parimenti la logica formale, essendo deputata a stabilire la correttezza delle attribuzioni e delle inferenze, non affronta la verità in senso stretto, in quanto i criteri da essa forniti riguardano piuttosto la forma della verità, prescindendo da ogni contenuto. Una tale attività di formalizzazione può essere utile alla pratica giuridica, guidando i giuristi alla corretta lettura logica delle questioni e dei dati loro sottoposti.
Su questa scia troviamo il professor Gianfranco Basti, il quale evidenzia come lo sviluppo della logica abbia portato alla progressiva separazione della forma logica dal contenuto extra-linguistico delle espressioni linguistiche. Ciò ha portato alla reazione della scuola fenomenologica. Essa rivendica che l’analisi logica può essere effettuata solo considerando tutte e tre le classi di relazioni che le varie parti possono avere: con il mittente o con il ricevente; con le altre parti del linguaggio; con gli oggetti. Da qui proviene la tripartizione della logica: pragmatica (studio dei linguaggi in riferimento alle relazioni dei diversi segni con gli agenti della comunicazione e alla capacità del linguaggio di modificare i comportamenti); sintattica (studio dei linguaggi in riferimento alle relazioni dei diversi segni linguistici tra di loro prescindendo sia dai contenuti che dagli agenti della comunicazione); semantica (studio dei linguaggi in riferimento alle relazioni dei diversi segni con i loro oggetti intra – o extra – linguistici). Quando, sottolinea Basti, nell’analisi logica dei linguaggi si tiene conto simultaneamente di tutte e tre le classi di relazioni che determinano la forma e il contenuto, e quindi il senso e la verità delle espressioni e delle argomentazioni corrette all’interno di ciascun linguaggio, siamo nell’ambito dell’ontologia formale. Quest’ultima è una disciplina in cui i metodi formali della logica simbolica sono combinati con le analisi filosofiche intuitive e i principi dell’ontologia, dove con ontologia si intende lo studio e le analisi dell’essere in quanto essere, che includono, in particolare le differenti categorie dell’essere, le quali sono connesse con la predicazione, con il linguaggio, con il pensiero e con la realtà (cf. p. 217). A tal proposito, il professor Basti evidenzia l’importanza del modo in cui viene considerato l’obbligo morale-legale. Kant, affermando “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione universale”, sostiene che ciò è possibile solo se l’obbligatorietà della legge morale s’impone incondizionatamente alla volontà di un essere intelligente finito come l’essere umano, senza cioè dipendere né dal raggiungimento di un determinato fine, intenzionato dalla volontà, né da particolari contenuti intenzionali della volontà stessa che, per Kant, non possono non essere che “materiali’ e “soggettivi”. Da qui il carattere di “imperativo categorico”, di “dovere per il dovere” dell’obbligo morale, qualsiasi esso sia che, a essere finiti come noi umani, e quindi legati alla soggettività dei nostri desideri, s’impone come imperativo, come obbligo, intrinseco e non estrinseco alla volontà stessa, così da garantire “l’autonomia” della legge morale, contro ogni fondazione “eteronoma” della legge stessa. Viceversa, sottolinea Basti, la posizione di san Tommaso ammette che non esiste un nesso di conseguenza logica tra “essere” e “dover essere”. L’obbligatorietà deontica (morale e legale) è condizionata e non apodittica per san Tommaso, correlativamente a come, per lui, intelletto e volontà sono facoltà intenzionali, sempre dirette a un oggetto, così che è una falsa astrazione, che crea falsi problemi e false soluzioni, parlare di intelletto puro come facoltà di “pensare in generale” e di volontà pura, come facoltà di “volere in generale”, come affermava Kant. Al contrario, chi pensa, pensa sempre qualcosa, e chi vuole, vuole sempre qualcosa. In altre parole, il “dovere” per san Tommaso non è co-originario all’essere. La necessità del “dovere” dipende da ciò che l’intelletto pone alla volontà come “bene” da desiderare, non dunque un “dovere per il dovere”, ma un “dovere per il volere”.
Il connubio, evidenziato finora, tra diritto e logica, aggiunge nel volume la professoressa di Bernardo, raggiunge il suo apice nell’istituto probatorio, unico strumento conoscitivo atto a fornire la conoscenza dei dati rilevanti per la decisione giudiziale (cf. p. 297). Per prova deve intendersi qualsiasi mezzo produttore della cognizione certa e probabile di una cosa qualunque; più ampiamente la somma dei motivi che ci somministrano tale conoscenza. Il ruolo principale dell’accertamento spetta al giudice, il quale dovrà ricostruire i fatti sulla base degli elementi a sua disposizione, pertanto in ogni procedimento di carattere epistemico ha importanza decisiva il metodo, cioè l’insieme delle modalità con cui vengono raccolte, selezionate, organizzate e utilizzate le informazioni che servono a dimostrare la verità delle conclusioni. Su questo piano la logica permette di verificare la validità delle inferenze induttive con cui possono risultare connessi i vari elementi dell’indagine stessa, determinando una o più ipotesi causali sui fatti, generate dalla dialettica del contraddittorio e intrinsecamente idonee a garantire l’organizzazione stessa del materiale da raccogliere. Questa formulazione è definita logica della scoperta. Terminata la fase istruttoria, il giudice si troverà di fronte a varie ipotesi su fatti rilevanti per la decisione finale della controversia, formulate da ciascuna parte del processo secondo il proprio ruolo processuale. Ciò che aiuterà il giudice nell’analizzare i fatti sarà la logica induttiva, che appare in grado di spiegare la complessa relazione inferenziale che si determina nel giudizio di fatto, avente per oggetto un insieme ordinato di enunciati proposti dalle parti. La valutazione complessiva degli esiti istruttori potrà definirsi esaurita quando gli elementi di conoscenza forniti dalle prove, producendo un esito armonico e coerente, avranno prodotto o meno conferma veritativa circa il thema probandum, potendo così determinare nell’organo giudicante l’acquisizione della certezza morale sui fatti accertati, indispensabile per la pronuncia della sentenza. La certezza morale non è altro che il convincimento, un giudizio pratico e certo o uno stato psicologico o di mente formatosi nel giudice in relazione alla verità conosciuta e verificata nel processo attraverso i mezzi di prova. Gli autori concludono l’opera evidenziando l’importanza della logica per il diritto, in quanto la prima viene ricollocata nella seconda non più in limine, quanto piuttosto in medio. Non a livello, cioè, di scoperta e ricostruzione della verità dei fatti e necessità di una determinabile sentenza, ma in una verifica e in un controllo in sede motivazionale nei confronti del giudice, non meno importante per la consistenza della decisione giudiziale e soprattutto per la necessaria e assoluta trasparenza e inequivocabilità del processo.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2013
(http://www.pftim.it)
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