Filosofia e arte
(Percorsi culturali)EAN 9788840180823
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DETTAGLI DI «Filosofia e arte»
Tipo
Libro
Titolo
Filosofia e arte
Autore
Aniceto Molinaro
Editore
Urbaniana University Press
EAN
9788840180823
Pagine
220
Data
maggio 2006
Collana
Percorsi culturali
COMMENTI DEI LETTORI A «Filosofia e arte»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Filosofia e arte»
Recensione di Francesco De Carolis della rivista Studia Patavina
Il volume si presenta ripartito in un’introduzione e in due parti complementari, che portano il lettore a riflettere su vari aspetti del rapporto tra filosofia e arte. Non a caso, si problematizzano varie questioni e dimensioni dell’estetico nel loro rapporto con tematiche classiche, ma anche assai recenti. Si pensi, a questo proposito, allo studio di Marcello Monaldi sull’arte virtuale, a quello di Francesco Russo sulla contemplazione estetica e la società dell’immagine (p. 159), a quello di Michele Schiff su Carlo Michelstaedter (p. 165) e a quello di Giuseppe Natoli sulla creatività artistica e l’educazione estetica (p. 139) o di Giovanni Magrì sull’etica della vita e tutela dell’arte nell’età dei diritti (p. 183). Nei densi studi si sondano varie possibilità di delineare nuovi percorsi di estetica filosofica in un’epoca in cui l’interesse, molto vasto, per tale disciplina si accompagna soprattutto al tema dell’assenza, del nichilismo e del vuoto ontologico. Il volume intende proporre una rivalutazione dell’estetica filosofica che, proprio non ignorando il tema classico dell’arte come mimesis, ne coglie gli aspetti creativi e profondi. Non a caso, alcuni saggi sono rivolti a chiarire il rapporto tra arte, poesia e mistica. Pietro Zavotto, ad esempio, nota che la poesia «può aprire facilmente alla mistica e la mistica tante volte usa il linguaggio poetico, come Taulero, Meister Eckhart, S. Giovanni della Croce» (p. 154). Insomma, attraverso vari approcci presenti nella storia del pensiero e della spiritualità cristiana, si delinea la convergenza della metafisica dell’essere e dell’esperienza della bellezza: «il logos umano, come attività poetica e dianoetica, è così spinto alla ricerca dell’unità dell’esperienza che la minaccia di ogni dualismo non gli rende che un buon servigio, giacché rappresenta uno stimolo verso l’unità,l’unità propria della realtà, nella sua totalità, in quanto sperimentata nella sua attualità e obiettività, dove l’essere e l’apparire si identificano» (p. 131). Si tratta, come sostiene Renato Serpa, di ripensare, sulle orme del Bontadini, una metafisica dell’esperienza, così da pervenire ad una considerazione dei nessi trascendentali dell’essere, tra cui vi è la bellezza: bisogna andare al fondamento dello stupore, della meraviglia e della contemplazione cui l’arte e la filosofia attingono .
Pertanto, Aniceto Molinaro rammenta che si deve risalire alle fonti dell’estetico ( p. 5). Ciò porta a riflettere sulla distinzione tra il bello di natura e quello d’arte, ma anche sul loro reciproco o possibile rapporto. Ciò riconduce alla questione, ancor più originaria, del senso ontologico del bello: la sua radice, nota l’autore, non è altro che la suprema bellezza. Essa, in quanto assoluta e libera, è per sé creatrice: l’uomo, che si riferisce ad essa, esprime e, in certo senso riproduce, la creatività divina, in quanto Dio non può volere se non la libertà e la creatività umana. Vi è un analogia tra Dio, uomo e mondo: fornita di un valore ontologico, essa ci riporta al nesso tra analogia, creazione e partecipazione. Il rapporto tra Dio, uomo e mondo si rivela anche nella bellezza e nell’arte: nell’estetico si ritrovano, infatti, taluni paradossi che ci richiamano strutturalmente alla condizione dell’uomo, un essere che è creativo e creato. L’uomo, infatti, non crea la bellezza, ma è capace di creatività artistica e di esprimere il bello in svariate forme e modalità: è questo il suo paradosso, ma anche il suo rilievo. Anche la natura è bellezza prodotta , si rivela all’uomo e lo riconduce verso Dio. Queste dense riflessioni del Molinaro possono essere viste in riferimento a tutto lo sviluppo della filosofia classica e cristiana, come fa Piero Viotto, studioso fra i più attenti del Maritain, che, verificando una riflessione filosofica andata maturandosi in quaranta anni, delinea i tratti di un’estetica come imitazione attiva della forma e riconduzione alla spontaneità creatrice divina (p. 123). L’arte, se è imitazione creativa , riconduce all’assoluto anche o proprio lì dove i concetti risultano meno adeguati o anche insufficienti. Essa, poiché autonoma, non è logica e non è etica. Tuttavia, sia l’arte, sia la logica e sia l’etica fanno riferimento alla verità ultima, che è anche unità e bontà.
A queste riflessioni connettiamo quelle di Battista Mondin, che intende superare una riflessione settoriale sull’estetica e si riconduce nel cuore stesso delle nozioni trascendentali: esse, infatti, connettono l’essere e la persona nel vero, nel bene e nella bontà (p. 61). Siamo qui non a un’ontologizzazione sminuitrice dell’arte, ma in una fondazione più ampia dell’estetico, prima della sua riduzione al regno della fantasia o del sogno senza verità. Tale prospettiva si impone anche per meglio delineare quanto, nella filosofia classica e cristiana, si delinea come intuizione non pienamente sviluppata e chiede oggi nuove integrazioni filosofiche. Complementari risulteno in questo testo i due studi di Ignacio Yarza su «filosofia e arte. Tornare ad Aristotele» e di Claudio Giorgini su «filosofia e arte in Bernardo di Clairvaux» (p. 103). Si pensi, ad esempio, alle pagine dedicate al passaggio de claritate in claritatem nei Sermones di Bernardo: ciò ci riporta verso la tematica del bello proprio in quel cammino dell’anima che avrà termine solo nella visione di Dio (p. 117). In questo senso, il testo, pur non negando o sminuendo tutti gli sviluppi dell’estetica moderna e contemporanea, kantiana o post-kantiana, viene a porre in discussione l’idea della carenza della filosofia classica in relazione alla questione della fondabilità di un’estetica filosofica.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Pertanto, Aniceto Molinaro rammenta che si deve risalire alle fonti dell’estetico ( p. 5). Ciò porta a riflettere sulla distinzione tra il bello di natura e quello d’arte, ma anche sul loro reciproco o possibile rapporto. Ciò riconduce alla questione, ancor più originaria, del senso ontologico del bello: la sua radice, nota l’autore, non è altro che la suprema bellezza. Essa, in quanto assoluta e libera, è per sé creatrice: l’uomo, che si riferisce ad essa, esprime e, in certo senso riproduce, la creatività divina, in quanto Dio non può volere se non la libertà e la creatività umana. Vi è un analogia tra Dio, uomo e mondo: fornita di un valore ontologico, essa ci riporta al nesso tra analogia, creazione e partecipazione. Il rapporto tra Dio, uomo e mondo si rivela anche nella bellezza e nell’arte: nell’estetico si ritrovano, infatti, taluni paradossi che ci richiamano strutturalmente alla condizione dell’uomo, un essere che è creativo e creato. L’uomo, infatti, non crea la bellezza, ma è capace di creatività artistica e di esprimere il bello in svariate forme e modalità: è questo il suo paradosso, ma anche il suo rilievo. Anche la natura è bellezza prodotta , si rivela all’uomo e lo riconduce verso Dio. Queste dense riflessioni del Molinaro possono essere viste in riferimento a tutto lo sviluppo della filosofia classica e cristiana, come fa Piero Viotto, studioso fra i più attenti del Maritain, che, verificando una riflessione filosofica andata maturandosi in quaranta anni, delinea i tratti di un’estetica come imitazione attiva della forma e riconduzione alla spontaneità creatrice divina (p. 123). L’arte, se è imitazione creativa , riconduce all’assoluto anche o proprio lì dove i concetti risultano meno adeguati o anche insufficienti. Essa, poiché autonoma, non è logica e non è etica. Tuttavia, sia l’arte, sia la logica e sia l’etica fanno riferimento alla verità ultima, che è anche unità e bontà.
A queste riflessioni connettiamo quelle di Battista Mondin, che intende superare una riflessione settoriale sull’estetica e si riconduce nel cuore stesso delle nozioni trascendentali: esse, infatti, connettono l’essere e la persona nel vero, nel bene e nella bontà (p. 61). Siamo qui non a un’ontologizzazione sminuitrice dell’arte, ma in una fondazione più ampia dell’estetico, prima della sua riduzione al regno della fantasia o del sogno senza verità. Tale prospettiva si impone anche per meglio delineare quanto, nella filosofia classica e cristiana, si delinea come intuizione non pienamente sviluppata e chiede oggi nuove integrazioni filosofiche. Complementari risulteno in questo testo i due studi di Ignacio Yarza su «filosofia e arte. Tornare ad Aristotele» e di Claudio Giorgini su «filosofia e arte in Bernardo di Clairvaux» (p. 103). Si pensi, ad esempio, alle pagine dedicate al passaggio de claritate in claritatem nei Sermones di Bernardo: ciò ci riporta verso la tematica del bello proprio in quel cammino dell’anima che avrà termine solo nella visione di Dio (p. 117). In questo senso, il testo, pur non negando o sminuendo tutti gli sviluppi dell’estetica moderna e contemporanea, kantiana o post-kantiana, viene a porre in discussione l’idea della carenza della filosofia classica in relazione alla questione della fondabilità di un’estetica filosofica.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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