Che cosa è una religione?
(Giornale di teologia)EAN 9788839908513
Indice
1. Confini fluttuanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Un interrogativo effettivamente aperto 5
Una dialettica tra le diverse religioni
e il religioso, inteso come dato antropologico 8
Alcune definizioni della religione
nelle scienze umane e sociali 13
2. Caratteristiche
del paesaggio religioso contemporaneo . . . . . . . 23
Perdita di sostanza sociale
delle tradizioni religiose portanti 23
Uno statuto nuovo per il religioso 27
Ricomposizioni e nuove forme religiose 32
Un religioso diffuso 32
Nuovi movimenti religiosi 44
Annotazione intermedia
relativa a uno spostamento 52
Un credere o un sapere' Un Dio
o delle energie cosmiche' 52
171
Nuove forme all'interno
delle tradizioni religiose ereditate 54
Un caso tipico: il movimento evangelicale 57
Annotazioni conclusive
sulla situazione contemporanea 64
3. Collocazione in prospettiva genealogica . . . . . . 71
Statuto e funzione della religione,
sullo sfondo della Modernità
e dei cambiamenti della Modernità 71
L'Antichità greco-romana:
una prima definizione classica
della religione (Cicerone) 72
La tarda Antichità:
una seconda definizione classica
della religione (Lattanzio) 76
Da un divino fuori del mondo (un Dio)
che esige l'umano (un credere),
al teologico-politico (uno spazio legittimato) 86
4. Individuo e istituzione in tensione . . . . . . . . . . 91
Tra un'eredità di antica data
e un presente fatto di deregolamentazione 91
Le ambivalenze di una critica dell'istituzione 95
Bilancio e orientamento 108
5. tatuto, funzione e implicanze
S
del religioso oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
Una dimensione di ciò che fa l'umano 113
172 | Indice
Di che cosa risponde una religione 114
Una regolazione secondo tre poli 119
Ripresa 123
Testi e commenti
Testo 1: ommaso d'Aquino,
T
Summa theologiae, IIa-IIae . . . . . . . . . . . . 129
Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
Testo 2: eorg Simmel, De la religion
G
du point de vue de la théorie
de la connaissance; Die Religion . . . . . . . 151
Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
173
L’a., docente di Teologia sistematica all’Università di Losanna e responsabile dell’insegnamento sulle tradizioni religiose al Politecnico federale della medesima città, offre un breve e denso manuale che unisce competenze filosofiche, antropologiche, storiche e sociali per rispondere all’interrogativo che dà il titolo al vol. In Appendice, il commento a un testo di s. Tommaso (La religione è una virtù teologale?) e a uno di Georg Simmel (La religione).
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 18
(http://www.ilregno.it)
Nonostante il titolo faccia presupporre il contrario, l’A., docente di teologia sistematica all’Università di Losanna e responsabile dell’insegnamento sulle tradizioni religiose al Politecnico federale di Losanna, non si propone, in questo breve ma denso volume, di dare «una definizione di ciò che la religione sarebbe per essenza propria o per esperienza primordiale» (p. 112), essendo convinto che, a riguardo del religioso, «si ha a che fare con qualcosa di costruito, non con qualcosa di naturale» (p. 112) e che la sua delimitazione dipenda da una pratica storico-sociale di carattere istituzionale.
Il suo intento è piuttosto quello di riscostruire una storia memoriale come «storia del dispiegamento effettivo del religioso e delle controversie alle quali dà luogo» (p. 21) all’interno della nostra tradizione occidentale. Sulla base di questa impostazione metodologica e prestando attenzione, oltre che alla prospettiva filosofica, anche alle scienze antropologiche, storiche e sociali, l’A. descrive innanzitutto le caratteristiche fondamentali del paesaggio religioso contemporaneo. Queste sono individuate, all’interno di un indebolimento delle tradizioni religiose storicamente portanti, in una «de-istituzionalizzazione generalizzata, in una forte individualizzazione e in un cambiamento delle disposizioni socio-culturali di fondo» (p. 31). Ciò non implica tuttavia il venir meno del religioso, ma piuttosto il suo ricostituirsi in forme nuove.
Assistiamo cosí oggi all’affermarsi di un religioso diffuso, che si manifesta nel sorgere di cammini e di vie spirituali di carattere personale tendenti alla realizzazione di sé, alla nascita di nuovi movimenti religiosi (l’A. ne prende particolarmente in considerazione due: Scientology e l’Ordine del tempio del Sole), in cui si assiste all’emarginazione «di una relazione costitutiva con Dio […] a vantaggio dell’evocazione di energie che striano un cosmo di cui ognuno partecipa» (p. 53), e al sorgere di riaffermazioni identitarie all’interno delle tradizioni religiose ereditate. Tali cambiamenti avvengono sullo sfondo di una visione del religioso come sistema di credenze, affermatasi con la modernità. La prospettiva genealogica ci permette tuttavia di comprendere la storicità di tale visione.
Nella figura del religioso propria dell’antichità greco- romana, ad esempio, la questione del credere non era pertinente e la relazione personale con un dio non era essenziale; piuttosto «il religioso dipendeva da un rapporto con il cosmo, fatto di sapienza e di misura, legato alla condizione umana» (p. 73) che trovava la sua espressione in una ritualità che doveva essere compiuta a prescindere dal coinvolgimento personale. È soltanto nella tarda antichità (con la gnosi e il neoplatonismo) che, con l’interiorizzazione del religioso, si passa «da una ritualità di appartenenza civica […] all’esperienza spirituale nella quale la persona si impegna» (pp. 78- 79). Anche il cristianesimo partecipa a questa nuova forma del religioso, mantenendo tuttavia il riferimento al corpo e alle dimensioni cosmiche nelle quali si inscrive la vita umana e ribadendo l’importanza della dimensione istituzionale. Sulla base di tali considerazioni storico-genealogiche, negli ultimi due capitoli l’A. tenta di dare una risposta alla domanda che costituisce il titolo del volume, senza tuttavia cedere alla tentazione di definire l’essenza della religione.
Mette innanzitutto in luce l’impossibilità, a differenza di quanto è successo nella modernità, di porre in alternativa, nell’ambito del religioso, l’individuo e l’istituzione, essendo convinto che «non si dà umano senza diverse mediazioni, senza matrici simboliche, senza costruzioni storico-sociali, senza eredità» (p. 101). In secondo luogo sottolinea come la religione risponda «della propensione e della necessità che l’uomo ha di simbolizzare il proprio rapporto con il mondo, con gli altri e con se stesso» (p. 115), sulla base di una prospettiva di assoluto, ancorata anch’essa nel cuore dell’uomo e regolata su tre poli: l’individuo, la società e l’organizzazione religiosa. Il taglio ermeneutico della ricerca permette all’A. di collocare storicamente la critica della modernità nei confronti dell’aspetto istituzionale della religione nel nome dell’autenticità dell’esperienza religiosa individuale e gli consente di offrire una visione piú realistica della complessità delle forme che il religioso può assumere.
Alla fine tuttavia anch’egli riconosce la presenza nell’uomo di elementi strutturali (la propensione a simbolizzare e la prospettiva all’assoluto) capaci di giustificare il religioso come dimensione caratteristica dell’umano. Un testo comunque senz’altro da consigliare a tutti coloro che vogliono giungere a una comprensione del religioso al di fuori degli stereotipi oggi di moda.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Gisel è uno studioso attento e competente nel mondo delle religioni, perciò sa trattare da una prospettiva molto aperta e convincente il problema della «religione». Dà modo di mettere a fuoco i temi della secolarizzazione, che hanno intaccato il problema della religione e conosce bene l’intreccio con la cultura che ogni religione intrattiene. Ma fa vedere di conoscere altrettanto bene i nuovi movimenti religiosi come il New Age, la Scientologia e, soprattutto, il movimento pentecostale in tutto il suo spessore contemporaneo, dove il tema della conversione personale, del born again si intreccia con l’impegno a livello sociale e con un ritrovato benessere umano basato sulla moralità. Conosce però anche il mondo classico della religione con le definizioni di religione che vanno da Cicerone a Lattanzio. Sottolinea nella religione l’importanza del «credere» e qualifica tre elementi di spicco per una regolazione del mondo religioso a partire dalla simbolizzazione e dal rapporto all’assoluto: l’individuo, la società nei suoi rapporti con il religioso e le organizzazioni religiose (pp. 119 ss.).
In appendice pone due testi molto importanti: da una parte, San Tommaso, Summa Theologiae secunda secundae sulla «Natura della religione» (Questione 81) e, dall’altra, un testo di G. Simmel, Saggi di sociologia della religione (Borla, Roma 1993, pp. 79-90). Due testi di grande valore documentativo a cui egli sa fare un commento adeguato. Dunque un libro piccolo ma importante e ben strutturato. Mi sia consentito, però, di porre a Gisel qualche interrogativo complementare. Perché, per esempio, non legare di più la religione all’atto cultuale che in qualche modo la costituisce. Il credere è sempre un credere attraverso un rito e un atto di culto. In secondo luogo, mi sarei aspettato che l’autore distinguesse maggiormente tra «religione» ed «esperienza religiosa». Infatti quando Gisel introduce W. James e F. Schleiermacher si trova in difficoltà a mantenere il concetto di religione di fronte a «Individuo e istituzione in tensione» (cf. il IV capitolo).
La tensione si risolverebbe proprio distinguendo i due campi, come due poli correlati e complementari. Dal punto di vista storico, si potrebbe fare un’altra obiezione a Gisel: egli dimentica la critica degli storici alla «costruzione occidentale» del concetto di religione. Per esempio, l’autore sembra non conoscere la critica al concetto di «religione» e di «grandi religioni del mondo» di R. King e di T. Masuzawa (cf. R. King, Orientalism and Religion. Post-colonial Theory, India and «The Mystic East», Routledge, London-New York 1999; vedi anche: T. Masuzawa, The Inventions of World Religions. Or, How European Universalism Was Preserved in the Language Pluralism, The University of Chicago Press, Chicago-London 2005). Ma già dimenticavo che l’autore conosce soltanto bibliografia in francese o traduzioni in francese e niente altro. Tutto ciò però – devo dirlo – toglie poco o nulla alla bontà del libro.
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n. 1 del 2012
(http://www.credereoggi.it)
Attraverso un approccio storico-critico, filosofico, teologico e sociologico, l’autore di questo breve saggio, se pur non in maniera sistematica, indaga i contenuti e le definizioni del fatto religioso e dell’esperienza del sacro dal punto di vista non solo oggettivo (i contenuti della fede) ma anche e soprattutto soggettivo (il vissuto del credente). Sono fluttuanti i confini del termine “religione”; la stessa domanda “Che cosa è una religione?” resta un interrogativo aperto. In quest’indagine sul fatto religioso, l’autore considera tre ordini di dati che sono irriducibili: il polo dell’individuo come soggetto sociale e di diritto; la società nei suoi rapporti con il mondo religioso (istituito e diffuso); le organizzazioni religiose e le loro regolamentazioni. La religione risponde, essenzialmente, della propensione e della necessità che l’uomo ha di simbolizzare il proprio rapporto con il mondo, gli altri, con se stesso.
«Simbolizzare, perché al cuore di questi rapporti si gioca ciò che supera l’essere umano, ciò che egli non può semplicemente ricondurre a se stesso, alla sua maestria, al suo sapere, ai suoi poteri […]. La religione simbolizza il mondo, marca lo spazio e scandisce il tempo, accorda dei punti di riferimento e una memoria; in tal modo, essa situa» (p. 115). La religione risponde anche di un altro dato, «ancorato nel cuore dell’uomo, per il meglio e per il peggio: una prospettiva di assoluto. Che bisogna appunto formalizzare e prendere in carico; di cui occorre ridurre i pericoli, pur mantenendo il motivo […]. Se ci sono numerosi modi di simbolizzare il rapporto dell’uomo con ciò che egli è esteriore […] ci sono anche più modi di rapportarsi all’assoluto» (pp. 117-118).
Sono cinque i capitoli dedicati all’esperienza religiosa: Confini fluttuanti (5-22); Caratteristiche del paesaggio religioso contemporaneo (23-70); Collocazione in prospettiva genealogica (71-90); Individuo e istituzione in tensione (91-110); Statuto, funzione e implicanze del religioso oggi (111-128). Il saggio riporta in appendice il commento a due testi diversissimi ma illuminanti: la definizione di religione di san Tommaso d’Aquino e dello studioso Georg Simmel. Dispiace non trovare a fine saggio la conclusione e la bibliografia.
Il tentativo di un approccio al fatto religioso dal punto di vista della teoria della conoscenza fu pensato da Georg Simmel (1858-1918), che distingue tra religione oggettiva e religiosità soggettiva: la prima rinvia a istituzioni e dogmi determinati, mentre la seconda costituisce una categoria a priori della vita grazie alla quale la coscienza può costruire un’immagine omogenea di sé e del mondo. Per Simmel, la comprensione della religione nel suo significato più proprio, cioè trascendente, è possibile nella misura in cui si sviluppa la religione o il fatto religioso in quanto funzione soggettiva e umana. Le relazioni sociali hanno un valore spirituale, una forza unificante, che predispone il soggetto verso l’apertura del livello religioso dell’esistenza. La base profonda, a partire dalla quale la categoria religiosa può penetrare e plasmare i rapporti sociali – ma anche essere messa di nuovo in risalto da essi –, è creata grazie alla singolare analogia che esiste tra il comportamento dell’individuo nei confronti della divinità e quello nei confronti della collettività sociale. Per Simmel, è decisivo, in primo luogo, il sentimento di dipendenza.
L’individuo si sente legato a un universale, a qualcosa di superiore, da cui egli deriva e in cui si muove, a cui si consacra ma da cui si attende anche elevazione e redenzione, da cui è diverso pur essendo, però, anche identico a lui. La relazione di scambio tra l’uomo e il suo Dio riproduce le modalità comportamentali esistenti tra l’individuo e il suo gruppo sociale. Il contenuto dottrinale di una religione, per Simmel, resta sempre secondario. Perché la fede in quanto intelligenza critica o adesione a delle verità rivelate rappresenta solo un lato o un’espressione teorica di quell’essere spirituale soggettivo che è evocato immediatamente con l’affermazione che si crede in Dio. Il fatto di oggettivare in formule dottrinali l’esperienza dell’Assoluto crea una lacerazione tra fatto religioso e fatti sociali. C’è un’eccitazione vitale religiosa che emerge dalla religiosità (intesa come sentimento, emozione, vissuto esperienziale della fede, fatto psichico) di cui bisogna tener conto. La forma più elevata dell’atteggiamento religioso sta nel sentimento che si prova nei confronti di Dio, cioè nella tensione tra “avere e non avere”. Alla domanda “Qual è l’origine della religione?”, Simmel risponde: la religione scaturisce dal troppo pieno dell’anima che, non avendo più posto a sufficienza per contenere la propria felicità, deve proiettarla, per così dire, fuori di sé nell’infinito, affinché questo gliela restituisca. Qui la religione non costituisce il riempimento di un vuoto, bensì la sovrabbondanza della vita: è il surplus dell’uomo, ciò che fa si che egli oltrepassi se stesso non per il fatto di essere troppo piccolo per se stesso, ma per il fatto di essere troppo grande. Ci si accorge che il confine tra approccio sociologico, psicologico e fenomenologico è abbastanza sottile. Molto ci sarebbe da chiarire, dal punto di vista teologico, tra il fatto religioso come esperienza del sacro organizzata attraverso una comunità, un culto, dei riti, e la religiosità come dato emozionale e fattore psichico che orienta e determina l’agire dell’individuo nella società a partire esclusivamente dalla propria soggettività.
Con la teologia scolastica, il termine religione indicherà soprattutto una virtù di ordine morale con la quale si rende giustizia a Dio per l’onore e l’attenzione che gli sono dovuti. Si tratta di una virtù umana che riprende quella dell’antichità cristiana ben sintetizzata da Cicerone. È qui ripresa la definizione del Dottore Angelico nella Summa theologiae II-II,q. 81, a.5: «La religione […] è la virtù che offre a Dio il culto che gli è dovuto. Perciò, nella religione si devono tenere presenti due cose. Primo, ciò che si offre, ossia il culto; e questo costituisce la materia o l’oggetto della religione. Secondo, colui al quale si offre, cioè Dio: è a lui che si rende culto. Ora, gli atti di culto non hanno Dio per oggetto, come quando, con il credere in Dio, raggiungiamo Dio stesso; e per questo sopra [q. 2, a. 2] abbiamo detto che Dio è oggetto della fede sia perché crediamo Dio (credimus Deum), sia perché crediamo a Dio (credimus Deo). Si presta, invece, il debito culto a Dio in quanto certi atti con i quali Dio viene onorato (i sacrifici, ad esempio) vengono fatti in ossequio a Dio. Perciò, è evidente che della virtù della religione Dio non è l’oggetto, ma il fine. E quindi la religione non è una virtù teologale, avente per oggetto l’ultimo fine, ma una virtù morale, avente per oggetto i mezzi ordinati a quel fine». In quanto virtù morale, la religione – per san Tommaso d’Aquino – fa parte di ciò che definisce l’umano, cioè è dal versante antropologico od orizzontale. La virtù di religione è messa in opera dalla stessa esistenza umana o, meglio ancora, ne è un asse di dispiegamento, una disposizione, e «il suo esercizio corretto si realizza tra due estremi che contribuiscono a definire la posizione umana che lì è chiamata in causa: un eccesso, detto “superstizione”, consistente nell’attribuire troppo all’oggetto mirato […], e un difetto, detto “irreligiosità”, consistente nel non riconoscere ciò che supera l’umano» (p. 137).
La virtù di religione contribuisce a recuperare quel senso di mistero, di trascendenza, di eccedente, che è Dio stesso. La religione rivela la misura giusta di un agire nel mondo in funzione dell’eccedente, anche se in essa Dio non è raggiunto o toccato. Tuttavia, è nella virtù della religione che il divino può essere pensato come asimmetria originaria e detto esplicitamente. La religione non è idolatria né totalizzazione del divino perché tiene conto dell’asimmetria costitutiva che esiste nel rapporto tra l’uomo e Dio e, quindi, è una virtù esemplare che aiuta la fede perché riconosce la debita distanza tra Dio e l’uomo.
In sintesi, possiamo affermare che la religione è l’esperienza del sacro che coinvolge tutta la persona, anche la sua razionalità, nonché la sua concretezza esistenziale. Non è un’esperienza puramente psicologica, ma olistica, che ci rapporta al sacro non come entità astratta, ma quale attributo di qualcuno o di qualcosa. L’elemento essenziale del fatto religioso è l’instaurazione di un rapporto di natura non visibile con il sacro anche se in parte sperimentabile. La realtà sacra sperimentata costituisce un superum e un prius che condiziona il nostro modo di stare nel mondo. Il sacro è percepito come un superum, vale a dire quale entità superiore all’uomo e trascendente rispetto alla visione del mondo. Il sacro è anche prius nel senso che è riconosciuto come essere che è all’origine dell’esistenza, del senso della vita e della creazione del mondo. Poiché l’essere o gli esseri, con i quali l’uomo religioso stabilisce un rapporto, sono comunque superiori all’uomo quanto a gerarchia e a potenza (sono esseri-potenza), la correlazione che ne risulta non può non essere che di soggezione da parte dell’uomo e di autorità da parte degli esseri superiori. Dunque, la religione è un vincolo che riannoda l’uomo alla potenza o potenze superiori, dalle quali l’uomo crede di dipendere esistenzialmente, e il rapporto cultuale che, in conseguenza di ciò, l’uomo stabilisce nei loro riguardi. Questa definizione essenziale del fatto religioso, pur essendo accettata da molti studiosi, non è esente da critiche perché, ad esempio, è inadeguata per il buddhismo, almeno quello primitivo, ove s’ignora l’adorazione di esseri sovraumani e mal s’accorderebbe con certi comportamenti religiosi quali, ad esempio, la preghiera-minaccia, gli altari rovesciati e la soppressione di culti. Per alcuni studiosi, invece, il buddhismo non è una religione perché non fa propria l’esperienza vissuta di un Dio personale e vive soprattutto di un codice etico che permette ai buddisti di poter essere anche cristiani o musulmani pur praticando l’ascesi dei monaci buddhisti.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2011
(http://www.pftim.it)
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