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Leggere Rosenzweig (gdt 327)
(Giornale di teologia)EAN 9788839908278
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DETTAGLI DI «Leggere Rosenzweig (gdt 327)»
Tipo
Libro
Titolo
Leggere Rosenzweig (gdt 327)
Autore
Salomon Malka
Editore
Queriniana Edizioni
EAN
9788839908278
Pagine
168
Data
gennaio 2007
Peso
177 grammi
Altezza
19,5 cm
Larghezza
12,3 cm
Collana
Giornale di teologia
COMMENTI DEI LETTORI A «Leggere Rosenzweig (gdt 327)»
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Recensione di Francesco De Carolis della rivista Studia Patavina
L’autore ricorda che leggiamo le opere di Rosenzweig nell’ambito di una situazione temporale mutata rispetto ai suoi tempi, ma ritiene sicuramente possibile riscoprire aspetti, talora tenuti in ombra, di un pensatore da rileggere con sempre rinnovata attenzione, da amare per le sue tesi e rispettare per le sofferenze in cui germinarono molte sue dottrine. Rosenzweig si pone in ascolto delle istanze più autentiche delle Scritture, animate dal bisogno di redenzione dell’uomo e del mondo, dall’ apertura al futuro e alla prospettiva escatologica. Il ritorno di Rosenzweig, dopo il crollo delle ideologie, non addita obiettivi pseudo-escatologici perfetti e disumani, ma significa richiamare l’uomo alla vita e al mondo che gli sono stati donati e non consegnati da una fredda fatalità perché egli li viva sino in fondo e si apra alla dimensione del futuro.
L’uomo è dato a sé nella creazione. Ora, come ci dimostra il riferimento alla Genesi, al Cantico dei cantici ed ai Salmi, vi sono tre modalità pronominali per rivolgerci al tempo che scandisce il ritmo, ma soprattutto il senso della creazione: vi è il tu o io divino che crea, l’io come io umano che ama e il noi come comunità degli uomini che aspirano alla pienezza della felicità, ad un mondo e ad un esistere riconciliati. Queste tre dimensioni e tensioni, svolgendosi nel ritmo che va dalla creazione alla redenzione, sono, allora, in costante riferimento al Cantico dei cantici, un testo che, diversamente letto o interpretato nella sua «trama» poetica, è concordemente ritenuto soprattutto una melodia, perché «è il libro in cui l’amore parla il linguaggio dell’anima, dell’intimità, dell’interiorità» (p. 77).
La filosofia di Rosenzweig, così sensibile a tutte queste tematiche, mantiene il suo costante riferimento al Cantico, che non è un testo fra altri, bensì un testo-guida di un autore che il tempo allontana, ma insieme riconferma. Anche quando il pensatore vive il contrasto e sperimenta la diffi-coltà di aprirsi al mondo e ritrovarsi come creature, egli non cade in una prospettiva senza amore, quella che potremmo forse chiamare una visone nichilistica e disincantata, più o meno cinica.
A questo punto, è bene ricordare che il filosofo, nel suo personalissimo cammino di fede, visse la prossimità al Cristianesimo, ma avvertì, ritornandovi, anche la specificità del messaggio religioso ebraico. Tuttavia, egli vide, nel Cristianesimo e nell’Ebraismo, una diversità che è anche prossimità, una prossimità che non invitava a soluzioni esteriori.
Rosenzweig, nota ancora Malka, non volle vedere, nelle due religiosità, una pura e semplice esclusione e distanza, ma anche il richiamo ad una verità che va oltre quello che siamo e quello che non siamo in grado di vivere pienamente.
Già questa sarebbe la cifra della riflessione di Rosenzweig, ma tale convinzione è ancor più significativa, perché egli, come abbiamo accennato, andò riconfermando la sua ricerca nei giorni della solitudine e del dolore, allorché, a poco più di quaranta anni, la malattia inguaribile lo condusse alla morte. La religiosità di Rosenzweig non è, insomma, una religiosità consolatoria, illusoria e rivolta al disimpegno, ma una religiosità che, in sintonia con l’amore contrastato del Cantico, si pone in alternativa ad un presente vissuto con superficialità o con quel senso dell’ineluttabilità che cede alla difficoltà di vivere.
A Rosenzweig si ritorna, nota l’autore, perché egli parla senza imporre e si riferisce ad un evento sempre nuovo, qual è la redenzione, che, se ha valenza comunitaria, è sempre personale: la verità, come nota Malka, si dà nella modalità della scissione, ma tale frattura apre ad ricerca auten-tica e la rivolge al bisogno profondo di amore.
Questo richiamo non emerge tanto da una lettura minuziosa o analitica del testo biblico, ma si avverte quando esso diviene evento spirituale, allorché è proclamato nella comunità e nel momento in cui emerge il respiro della vita. Perciò, il pensiero di Rosenzweig vuole condurre, sulla scorta del Cantico, a riflettere sull’amore in quanto esso è al di là della logica del possesso o della rassicurazione. Il bisogno di possesso e quello di rassicurazione nascono, infatti, dall’incapacità di amare e dalla difficoltà di volgersi verso l’altro. L’amore puro e contrastato del Cantico, diversamente letto in vari punti della sua trama, è un amore che non si disperde nella superficie, ma diviene attesa di un tempo sempre rinnovato.
Malka nota, riflettendo su Rosenzweig, che la Scrittura pone l’uomo in una prospettiva diversa da quella perseguita dal logos filosofico. Il pensiero di Rosenzweig non può conseguentemente appagarsi della logica come ricerca della totalità, dell’esaustività e del sistema autosufficiente. Si tratta, dunque, di delineare una riflessione che, tra l’altro, si distanzi profondamente dall’hegelismo, inteso come paradigma della filosofia dell’ Occidente, e da ogni tendenza sistematica e totalizzante, sempre costretta alla semplificazione ed alla violenza operata sulla realtà. Il desiderio di chiudere ogni cosa non si può conciliare con una filosofia dell’amore, così come essa emerge, invece, dalle pagine del grande pensatore ebraico. È anche totalitario il pensiero che rifugge, in nome del piacere più che dell’amore, il confronto con la vita e si abbandona ad un perfettismo insincero. Anche dietro l’ateismo o il relativismo, vi è la convinzione che l’amore non possa adempiersi e che esso riguardi una sfera separata della realtà nella quale ci si può fermare solo per un momento.
Ecco perché la lettura dell’opera di Rosenzweig ci pone nell’ottica, così ricca di suggestioni, del Cantico dei Cantici, cioè di un testo profondamente poetico e spesso solo allegorizzato, al quale tutta la tradizione religiosa e la mistica ebraico-cristiana hanno, però, costantemente guardato: è un testo, che parla di un amore profondo e vero, che sconcerta per la sua forza, che coinvolge profondamente l’uomo e spinge alla ricerca di autenticità. È una lettura che invita soprattutto a trascendere la logica dell’autosufficienza e dell’egocentrismo alla quale il nichilismo, ultimo esito della logica dell’imposizione, finisce per approdare: «Quando lo si riduce alla sua essenza, l’ebraismo di Franz Rosenzweig assomiglia decisamente al Cantico de cantici. Un canto profondo. Una fuga magistrale. Una corale da cui si eleva,dalla piana di Engaddi, la voce di una giovane donna che racconta l’enigma della vita e della morte, la storia dell’amore e del tempo che passa, e la nostra attesa di qualcosa o di qualcuno dietro ai quali corriamo da millenni come dietro a una stella nel cielo» (p. 158).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
L’uomo è dato a sé nella creazione. Ora, come ci dimostra il riferimento alla Genesi, al Cantico dei cantici ed ai Salmi, vi sono tre modalità pronominali per rivolgerci al tempo che scandisce il ritmo, ma soprattutto il senso della creazione: vi è il tu o io divino che crea, l’io come io umano che ama e il noi come comunità degli uomini che aspirano alla pienezza della felicità, ad un mondo e ad un esistere riconciliati. Queste tre dimensioni e tensioni, svolgendosi nel ritmo che va dalla creazione alla redenzione, sono, allora, in costante riferimento al Cantico dei cantici, un testo che, diversamente letto o interpretato nella sua «trama» poetica, è concordemente ritenuto soprattutto una melodia, perché «è il libro in cui l’amore parla il linguaggio dell’anima, dell’intimità, dell’interiorità» (p. 77).
La filosofia di Rosenzweig, così sensibile a tutte queste tematiche, mantiene il suo costante riferimento al Cantico, che non è un testo fra altri, bensì un testo-guida di un autore che il tempo allontana, ma insieme riconferma. Anche quando il pensatore vive il contrasto e sperimenta la diffi-coltà di aprirsi al mondo e ritrovarsi come creature, egli non cade in una prospettiva senza amore, quella che potremmo forse chiamare una visone nichilistica e disincantata, più o meno cinica.
A questo punto, è bene ricordare che il filosofo, nel suo personalissimo cammino di fede, visse la prossimità al Cristianesimo, ma avvertì, ritornandovi, anche la specificità del messaggio religioso ebraico. Tuttavia, egli vide, nel Cristianesimo e nell’Ebraismo, una diversità che è anche prossimità, una prossimità che non invitava a soluzioni esteriori.
Rosenzweig, nota ancora Malka, non volle vedere, nelle due religiosità, una pura e semplice esclusione e distanza, ma anche il richiamo ad una verità che va oltre quello che siamo e quello che non siamo in grado di vivere pienamente.
Già questa sarebbe la cifra della riflessione di Rosenzweig, ma tale convinzione è ancor più significativa, perché egli, come abbiamo accennato, andò riconfermando la sua ricerca nei giorni della solitudine e del dolore, allorché, a poco più di quaranta anni, la malattia inguaribile lo condusse alla morte. La religiosità di Rosenzweig non è, insomma, una religiosità consolatoria, illusoria e rivolta al disimpegno, ma una religiosità che, in sintonia con l’amore contrastato del Cantico, si pone in alternativa ad un presente vissuto con superficialità o con quel senso dell’ineluttabilità che cede alla difficoltà di vivere.
A Rosenzweig si ritorna, nota l’autore, perché egli parla senza imporre e si riferisce ad un evento sempre nuovo, qual è la redenzione, che, se ha valenza comunitaria, è sempre personale: la verità, come nota Malka, si dà nella modalità della scissione, ma tale frattura apre ad ricerca auten-tica e la rivolge al bisogno profondo di amore.
Questo richiamo non emerge tanto da una lettura minuziosa o analitica del testo biblico, ma si avverte quando esso diviene evento spirituale, allorché è proclamato nella comunità e nel momento in cui emerge il respiro della vita. Perciò, il pensiero di Rosenzweig vuole condurre, sulla scorta del Cantico, a riflettere sull’amore in quanto esso è al di là della logica del possesso o della rassicurazione. Il bisogno di possesso e quello di rassicurazione nascono, infatti, dall’incapacità di amare e dalla difficoltà di volgersi verso l’altro. L’amore puro e contrastato del Cantico, diversamente letto in vari punti della sua trama, è un amore che non si disperde nella superficie, ma diviene attesa di un tempo sempre rinnovato.
Malka nota, riflettendo su Rosenzweig, che la Scrittura pone l’uomo in una prospettiva diversa da quella perseguita dal logos filosofico. Il pensiero di Rosenzweig non può conseguentemente appagarsi della logica come ricerca della totalità, dell’esaustività e del sistema autosufficiente. Si tratta, dunque, di delineare una riflessione che, tra l’altro, si distanzi profondamente dall’hegelismo, inteso come paradigma della filosofia dell’ Occidente, e da ogni tendenza sistematica e totalizzante, sempre costretta alla semplificazione ed alla violenza operata sulla realtà. Il desiderio di chiudere ogni cosa non si può conciliare con una filosofia dell’amore, così come essa emerge, invece, dalle pagine del grande pensatore ebraico. È anche totalitario il pensiero che rifugge, in nome del piacere più che dell’amore, il confronto con la vita e si abbandona ad un perfettismo insincero. Anche dietro l’ateismo o il relativismo, vi è la convinzione che l’amore non possa adempiersi e che esso riguardi una sfera separata della realtà nella quale ci si può fermare solo per un momento.
Ecco perché la lettura dell’opera di Rosenzweig ci pone nell’ottica, così ricca di suggestioni, del Cantico dei Cantici, cioè di un testo profondamente poetico e spesso solo allegorizzato, al quale tutta la tradizione religiosa e la mistica ebraico-cristiana hanno, però, costantemente guardato: è un testo, che parla di un amore profondo e vero, che sconcerta per la sua forza, che coinvolge profondamente l’uomo e spinge alla ricerca di autenticità. È una lettura che invita soprattutto a trascendere la logica dell’autosufficienza e dell’egocentrismo alla quale il nichilismo, ultimo esito della logica dell’imposizione, finisce per approdare: «Quando lo si riduce alla sua essenza, l’ebraismo di Franz Rosenzweig assomiglia decisamente al Cantico de cantici. Un canto profondo. Una fuga magistrale. Una corale da cui si eleva,dalla piana di Engaddi, la voce di una giovane donna che racconta l’enigma della vita e della morte, la storia dell’amore e del tempo che passa, e la nostra attesa di qualcosa o di qualcuno dietro ai quali corriamo da millenni come dietro a una stella nel cielo» (p. 158).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Recensione della rivista Il Regno
È una curiosa combinazione fra il commento al Cantico dei Cantici e la memoria della vita e dell’opera di Franz Rosenzweig (La stella della redenzione), come un doppio libro da leggere assieme. Il cammino di conversione al cristianesimo interrotto per l’ebreo tedesco e la coltivazione della riscoperta tradizione ebraica familiare si sovrappongono capitolo dopo capitolo, elemento di quella straordinaria stagione dove il nascente sionismo impattava la grande storia della borghesia ebraico-tedesca integrata e laica con l’imminente tragedia della Shoah.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 2
(http://www.ilregno.it)
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 2
(http://www.ilregno.it)
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