Quale futuro per il cristianesimo? (gdt 286)
(Giornale di teologia)EAN 9788839907868
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In tale contesto si colloca anche il “giornale di teologia” firmato da F.-X. Kaufmann, caratterizzato dalla sensibilità di un sociologo cattolico della religione, con la tipica sfumatura di uno studioso nato in diaspora a Zurigo e perciò abituato fin da giovane al confronto con persone che la pensano diversamente. Le 150 pagine riportano una proposta che, in prima stesura, nel maggio del 1999 fu una serie di lezioni tenute alla Humboldt-Universität di Berlino e successivamente venne rielaborata per la stampa alla luce delle vivaci domande e dei dibattiti successivi alle lezioni.
Il testo inizia segnalando la rottura con la tradizione nei paesi-cardine della cristianità occidentale europea, rottura che si rende manifesta nelle numerose fuoriuscite dalle chiese, nella perdita dei contenuti centrali del cristianesimo e in una progressiva erosione di quelle tradizioni cristiane che in precedenza mantenevano compatto il tessuto ecclesiale e sociale. L’evidente legame dei fenomeni negativi con le condizioni moderne di vita pone la domanda sulla sopravvivenza del cristianesimo nella modernità. Per abbozzare una risposta il sociologo svizzero esamina, dal suo punto di vista, anzitutto i motivi del successo storico del cristianesimo, richiamando la nascita della comunità primitiva e le condizioni favorevoli della diffusione del cristianesimo sulle tracce della precedente diffusione del giudaismo, lungo le sicure vie di comunicazione romane, approfittando della lingua greca commerciale comune nel mondo mediterraneo. Resta in parte un enigma l’attrazione esercitata dal cristianesimo in un tempo vivace dal punto di vista religioso: probabilmente la semplicità di una religiosità ben delineata e la precisione delle regole etiche dell’ospitalità e della beneficenza verso qualsiasi persona, l’atteggiamento franco dei martiri e degli asceti si accompagnarono alla perfetta organizzazione della chiesa a partire dal secolo quarto in una rete policentrica con punti nodali nelle grandi città del Mediterraneo antico. Pure la svolta costantiniana resta una questione aperta: comunque dà inizio alla distinzione tra Roma e Bisanzio con diverse tradizioni dottrinali e cultuali.
Il passaggio ulteriore mette a fuoco l’incidenza del cristianesimo nella storia europea della libertà: la sopravvivenza del cristianesimo dipende sempre meno dalla sua plausibilità e sempre più da rapporti di forza; resta il fatto che il cristianesimo occidentale è una “radice” importante per la storia della libertà della persona e del mondo moderno europeo sempre più disincantato (cf. pp. 50-61). La religione cristiana, come la sua radice ebraica, non si riduce semplicemente al culto, ma esige fede personale. La lotta per le investiture mostra un influsso sociale diretto molto intenso delle idee cristiane nella storia dell’Occidente, con la distinzione tra funzioni spirituali e funzioni secolari sullo stesso territorio, all’interno di un tutto sociale: il che renderà possibili le condizioni istituzionali di una società liberale e gli inizi della differenziazione funzionale della società. Le chiese nazionali e l’assolutismo segnarono delle regressioni, ma la tarda scolastica spagnola e l’influsso del calvinismo portarono all’affermazione della concezione individualistica dei diritti alla libertà in nome della coscienza personale.
Modernizzazione, secolarizzazione ed ecclesializzazione del cristianesimo sono categorie culturali che caratterizzano gli ultimi secoli in Europa: l’a. sintetizza i modi assai diversi in cui fu spiegata la secolarizzazione (cf. pp. 87-88) nei confronti di un cristianesimo antropologicamente livellato alla religione naturale e verso una ristrutturazione della società fondata sui diritti individuali inalienabili, uguali per tutti i cittadini. Le chiese si specializzano sui compiti spirituali, unificando nel cattolicesimo la religione ufficiale con la religione popolare e dando luogo a una subcultura cattolica molto solida attorno al clero. In tale clima europeo contenuti originariamente cristiani come patrimonio tradizionale si trasformano in elementi della cultura secolare. Specialmente dopo la seconda guerra mondiale, in Europa gli individui non si identificano più facilmente con la chiesa come patria spirituale propria, preferendo l’individualizzazione della condotta di vita e rivendicando il diritto di perseguire la propria felicità: assistiamo così a una crescente separazione concettuale tra ecclesialità, cristianità e religione.
Sopravviverà il cristianesimo alla modernità? Nelle ultime quaranta pagine ritorna impietosa la domanda accompagnata dalla candida confessione dell’a.: “La domanda un po’ pretenziosa... non può ricevere una risposta nel senso stretto del termine” (p. 114). Il concetto di modernità implica come ovvia la legittimità del cambiamento, ma le prospettive del progresso aperto al futuro e accompagnato da attese positive ha già ricevuto più di una smentita: si torna perciò a ricercare nella storia passata qualche punto di orientamento stabile. In tale orizzonte il cristianesimo si segnala come già sopravvissuto; ma per diventare lievito alle nuove generazioni deve apparire come una risorsa appetibile alle decisioni personali e come capacità di ampliamento di orizzonti, capacità finora purtroppo sconosciuta nella tradizione cristiana europea. I nuovi legami con il cristianesimo vanno esperimentati come profondissima espressione di se stessi e non eterodeterminanti: devono far parte della nostra “biografia”. Pastoralmente la cosa più importante coincide perciò con il saper guidare i giovani a fare delle esperienze religiose qualificate, ampliando con immaginazione e duttilità anche le offerte minime o di soglia senza richiedere subito una risposta religiosa (cf. p. 144). Kaufmann conclude con notevole franchezza: “Tutto sommato le prospettive del cristianesimo alle nostre latitudini non sembrano molto felici” (p. 152): rinascenze del cristianesimo verranno in futuro da paesi nuovi del Terzo mondo piuttosto che dai vecchi paesi-cardine del cristianesimo. I salmi antichi, i discorsi di addio di Gesù nel vangelo giovanneo, le lettere dell’apostolo Paolo ci assicurano che mai la trasmissione della fede è stata “tradizione” facile; per l’a., uno “sconcerto creativo” rispetto al centralismo romano potrebbe rivelarsi presupposto favorevole per il confronto con un futuro aperto e insicuro.
Anche da queste nostre righe riassuntive risulta chiaro che l’interessante volumetto del sociologo svizzero risponde solo indirettamente alla domanda del titolo, riproponendo una lettura storico-sapienziale del passato cristiano, sottolineando le radici cristiane che l’Europa dovrebbe riconoscere almeno come dato di fatto e proponendo un supplemento di fantasia coraggiosa perché la tradizione cristiana prosegua vivace per le nuove generazioni europee. Oltre la speranza nelle comunità cristiane del Terzo mondo, l’a. fa capire l’opportunità di una plantatio ecclesiae europea analoga a quella statunitense e, almeno indirettamente, opta per una valorizzazione delle chiese locali nella trasmissione coraggiosa della fede in forme nuove.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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