Sacrosanctum concilium
-Storia / Commento / Recezione
(Universale)EAN 9788838242298
La Sacrosanctum concilium, come è noto, è stata la prima Costituzione conciliare a essere pubblicata e, tutto sommato, quella che ha avuto meno problemi nel suo iter processuale. Ciò indica che i quarant’anni di riforma liturgica che l’avevano preceduta erano già entrati nella mentalità ecclesiale e che, anche per le più recenti e notevoli iniziative di Pio XII, i vescovi erano in qualche modo pronti a rivedere la materia. Non che siano mancati i dibattiti o i contrasti, sia in fase di costruzione, che di recezione, quest’ultima se si pensa che proprio la liturgia ha fatto da cavallo di battaglia per lo scisma lefebvriano. Quanto poi lo spirito liturgico del Vaticano II abbia risposto alle attese e sia realmente penetrato nel cuore dei fedeli, è cosa da verificare, perché i giudizi sono spesso esposti a partire dal parere del giudicante. Che le chiese si stiano svuotando e che la richiesta dei sacramenti sia in netto calo rispetto al periodo pre-conciliare è cosa che non si può negare, ma che questo sia dovuto alla Sacrosanctum concilium o a ciò che ne è seguito in termini di riforma pressoché globale è cosa ugualmente da dimostrare.
Problema scottante quindi, che non tocca solo lo specifico, visto che l’intera vita cristiana passa attraverso la liturgia, in base alla regola d’oro dell’interazione tra lex credendi e lex orandi (cui si aggiunge la lex vivendi). Per Romano Guardini «la liturgia è null’altro che il dogma pregato, la verità rivissuta pregando». Benché la posizione abbia qualcosa di unilaterale, il senso generale è indiscutibile. Parlare della liturgia, perciò, non significa solo considerare il tempo dedicato all’interno dell’edificio sacro, ma abbracciare l’intera identità cristiana. Di questo sono stati consapevoli gli stessi padri conciliari quando hanno conferito alla liturgia un posto primario, col celebre ritornello di fons et culmen e sostenendo che «nessun’altra azione della Chiesa ne eguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (SC 7). Tornare sui passi della Sacrosanctum concilium non è allora mai un’impresa inutile.
Gli specialisti sanno come muoversi, e hanno a disposizione una bibliografia praticamente alluvionale. Vi sono però giovani studenti che, senza esagerare, non sanno neanche come e dove collocare questo documento.
Segnaliamo quindi con piacere il libretto del giovane professore Pasquale Bua, che con un linguaggio agile, corretto e documentato, riesce a offrire una lettura quasi completa della Costituzione, inserendola in un cammino a tre tappe che sono la storia, il commento e la recezione. Il testo è per forza di cose sintetico, ma le pagine sono dense e non mancano di una organizzazione personale. L’Autore parla di visione “teo-cristocentrica” della liturgia e pone intenzionalmente in testa una citazione del discorso pronunciato all’atto della promulgazione, in cui Paolo VI dava del primato cronologico della Sacrosanctum concilium un’interpretazione teologica, confessando la volontà conciliare di porre “Dio al primo posto”. La stessa citazione ritorna al termine della prima parte, che considera il percorso della Costituzione nei suoi antecedenti della riforma liturgica e nella sua costruzione all’interno dell’aula conciliare. Un giudizio generale sul senso di una riforma, intesa come equilibrio fra tradizione e aggiornamento, non poteva che essere condotto avendo come guida questo principio essenziale.
Altre due chiavi di accompagnamento ermeneutico sono la cristologia e l’ecclesiologia, che «attraversano da cima a fondo la costituzione liturgica» (43). Il rapporto è coniugato soprattutto coi verbi epifanici, ma non mancano quelli più sostanziali del vivere e dell’accadere, come quando si parla di dimensione genetica della liturgia e si evidenzia il decisivo passaggio da una concezione cerimoniale-rubricale a un movimento storico-salvifico. La liturgia è inoltre collocata in una missione ecclesiale più ampia, che implica un prima e un dopo. Il commento segue la pianificazione degli articoli e pone in evidenza temi di fondo come la partecipazione (considerata leitmotiv) e la pastoralità, ma sceglie una divisione dei paragrafi in strutture logiche, consone a una più mirata individuazione dei criteri, congiungendo “liturgia e”: mistero, riforma, sacramenti, tempo, bellezza. Originale quest’ultimo punto, che parte dai testi dedicati al munus della musica sacra e dell’arte sacra, riconoscendo che è «il coinvolgimento consapevole e corale dell’assemblea e non gli “artifici estetici”, a rendere “bella” la liturgia» (150).
L’Autore mostra di aver digerito le varie coordinate e si muove con linguaggio sicuro, dando prova di maturità nel comunicare gli aspetti salienti della riforma. Opera anche collegamenti, soprattutto con la Lumen gentium, dando il valore di preludio a temi come la Chiesa locale, la concezione sacramentale dell’episcopato e la collegialità. Evidenzia inoltre alcuni limiti, come la scarsa vena pneumatologica, e sintetizza il fine della prima Costituzione conciliare con la volontà «di alimentare una spiritualità meno individualista e devozionale, maggiormente fondata sulla Sacra Scrittura, ispirata dalle espressioni più antiche e autorevoli della preghiera ufficiale della Chiesa, improntata a uno spirito comunitario e al protagonismo di tutto il popolo di Dio» (90). Proprio questo protagonismo richiedeva forse uno spazio specifico al tema dell’assemblea, che appare solo indirettamente attraverso il tema della partecipazione. Il tutto è impreziosito da sapienti e invitanti citazioni, tratte da una bibliografia di ottima fattura e che arricchisce le note, oltre ad avere lo spazio ordinato in un elenco finale.
Piuttosto intricato appare l’ultimo capitolo dedicato alla recezione e non poteva essere diversamente visto che proprio qui la Sacrosanctum concilium ha conosciuto i suoi successi e insuccessi, diventando pure banco di prova di una recezione complessiva, per il carattere appariscente della vita liturgica. Una più oculata gradualità da parte degli organismi competenti avrebbe forse permesso un’assimilazione migliore, se si pensa che nel giro di soli sei anni si sono promulgati ben sessanta documenti. Più di ciò che si poteva cambiare è così potuto passare il messaggio che si doveva cambiare e basta, a volte in modo indiscriminato, con abusi dilettantistici. Appoggiando quella che può essere definita come ultima fase, ispirata da Benedetto XVI, Bua parla di “riforma della riforma”, spiegando «che se con essa non si intende la volontà di bypassare il concilio, ma quella di ritornare al concilio, per verificare la coerenza tra il dettame conciliare e le realizzazioni postconciliari, allora ci troviamo all’imbocco di un sentiero promettente» (178). Non si tratta di un ritorno al passato, ma semmai di un ritorno al concilio.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2015
(http://www.pul.it)
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