L'etica della comunicazione nell'era digitale
(Cultura)EAN 9788838241628
Il curatore di questo volume, docente per molti anni di antropologia teologica alla Pontificia Università Lateranense e ora vescovo metropolita di Oristano, ha trovato il tempo, nonostante o forse grazie al suo nuovo impegno pastorale, di avviare la nuova serie della storica editrice Studium di Roma pubblicando come primo contributo questo impegnativo saggio che ha due risvolti: il primo, di carattere prevalentemente empirico, descrittivo, è la definitiva presa d’atto che viviamo ormai nell’era digitale della comunicazione.
Il che significa molto concretamente che «una buona parte di giovani e meno giovani trascorre la vita sociale principalmente in compagnia di un computer o di un cellulare e solo secondariamente in compagnia di altri esseri in carne e ossa» (p. 9). Il secondo, di carattere piú normativo e valutativo, rimanda all’analisi degli aspetti positivi e negativi di questa specie di trapasso comunicativo che non è solo tecnico, ma culturale. Per cui diventa sempre piú difficile e problematico interagire, dialogare, come opportunamente e criticamente annota nell’introduzione il curatore: «Si moltiplicano i mezzi che consentono agli internauti, e agli utenti della world wide community piú largamente intesa, di interagire tra di loro. Ma spesso nella fretta di predisporre nuove tecnologie sempre piú avanzate non si dà ai loro fruitori il tempo di sviluppare un minimo abbozzo di dialogo» (p. 10).
A partire da tale annotazione è relativamente facile individuare il contesto in cui collocare i corposi interventi di ben sette tra i maggiori esperti di comunicazione sociale che hanno partecipato a un seminario sull’etica della comunicazione nell’era digitale, di cui per altro non si precisa né luogo, né data, né l’istituzione che l’ha organizzato o sponsorizzato. Nell’impossibilità di dare conto dei singoli interventi, tutti autorevoli, riportiamo l’elenco dei partecipanti al seminario, che vanno dal teologo pastorale della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, Luca Bressan, al docente emerito di teoria dell’informazione all’Università di Trieste, Giuseppe O. Longo; dal docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi nell’Università di Bologna, Marino Cavallo, alla docente di sociologia e antropologia dei media dell’Università Cattolica di Milano, Chiara Giaccardi; dal direttore di Civiltà cattolica, Antonio Spadaro, al docente di comunicazione istituzionale della Pontificia Università Lateranense, Massimiliano Padula, e al docente di comunicazione politica e sociologia della comunicazione alla Luiss di Roma, Michele Sorice.
A questi primi sette interventi, in realtà dei veri e proprio saggi, il curatore ha ritenuto di aggiungerne altri cinque, frutto di un secondo seminario sulle implicanze sociali e morali dell’uomo tecnologico, cui hanno partecipato e portato il proprio contributo, oltre al curatore del volume, Paolo Marino Cattorini, docente di bioetica all’Università dell’Insubria; Paul O’ Callaghan, docente di antropologia teologica all’Università della Santa Croce di Roma; Carlo Cirotto, citologo dell’Università di Perugia; Maurizio Faggioni, docente di bioetica all’Accademia Alfonsiana di Roma. Impossibile, ancora una volta, rendere conto degli apporti dei singoli contributi. Meglio prendere atto del filo conduttore del volume e illustrare quella specie di sfida trasversale cui accenna in conclusione del suo intervento Maurizio Faggioni: «Dovremo avere il coraggio di lasciare i lidi sicuri della naturalità biologica per avventurarci verso gli orizzonti incerti ed entusiasmanti di un progetto umano che si dischiude a noi come un dono sempre in divenire. Sviluppare il progetto senza tradire l’uomo, questa è la sfida che il futuro ci riserva» (p. 250).
A partire da questa sfida dovremmo essere tutto sommato riconoscenti all’esplosione del digitale e delle nuove tecnologie in quanto ci aiutano a capire e ad apprezzare la necessità e l’urgenza di un’etica che offra all’uomo valori, punti di riferimento, ma anche norme, strade su cui camminare. Convinzione, questa, frutto non di una furia anti internet o anti tecnica, quanto piuttosto di una delusione di chi in buona fede aveva creduto in un sogno. E che si sta imponendo in ambiti sempre piú vasti e critici della cultura, non esclusi gli stessi «evangelisti del web» e «profeti del bionico» che all’inizio degli anni Novanta sognarono un cambiamento simile a una rivoluzione che avrebbe rinnovato il mondo, mentre oggi si trovano ad assistere a una eterogenesi dei fini, certo prevedibile, anzi già vista, ma forse ancora da analizzare e comunque reversibile.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 1/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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