I fondamentalismi nell'era della globalizzazione
(La dialettica)EAN 9788838241277
Fin dal titolo, il bel volume collettaneo curato da Ignazio Sanna, esplicita, per così dire, i due punti focali del problema che affronta e tenta di risolvere: i fondamentalismi e la globalizzazione. Frutto dei seminari di studio dell’Area di ricerca Teologia Filosofia Scienze Umane dell’Università Lateranense, in collaborazione con il Servizio Nazionale della Cei per il Progetto culturale, il testo può essere diviso, non solo idealmente, in due parti distinte ma complementari: la prima prende in esame gli aspetti molteplici e contraddittori del fenomeno detto globalizzazione; la seconda i diversi fondamentalismi religiosi presenti attualmente in vaste zone del pianeta, insieme con le conseguenze delle rivendicazioni identitarie, anch’esse fenomeno ben rappresentato in molte società moderne, con tutte le problematiche e i pericoli sottesi.
Dopo l’Introduzione di Ignazio Sanna (pp. 11-22), che puntualmente attraversa i dodici saggi che compongono il volume, illustrandone compendiosamente gli aspetti essenziali, sì da preparare il lettore fin dall’inizio alla tonalità unificante degli scritti, il volume è aperto dal saggio di Lorenzo Caselli dell’Università di Genova (La globalizzazione dopo la crisi del 2008-2009. Soggetti, processi, contraddizioni vecchie e nuove pp. 23-36). Esso affronta in medias res il problema dei problemi nell’era della globalizzazione, vale a dire la povertà. Si parte dallo sfaccettato concetto di globalizzazione, citando la Caritas in veritate e sottolineando come l’enciclica insista sul concetto che la globalizzazione renda tutti più vicini ma anche come si senta il bisogno che l’umanità compia un ulteriore passo in avanti e diventi “una sola famiglia”. I poveri, gli ultimi della società, in un mondo squassato dalla crisi economica, in un mondo sempre più complesso e interdipendente, non più spiegabile con le classiche e tradizionali dicotomie nord-sud o società ricche e società povere, diventano così la chiave interpretativa del vivere sociale: «Gli ultimi hanno bisogno dei primi», prosegue Caselli, «i primi hanno bisogno degli ultimi. Gli ultimi hanno bisogno dell’imprenditoria, competenza, scienza, abilità dei primi. I primi a loro volta hanno bisogno degli ultimi per trovare un senso alle loro ricchezze: l’accumulo fine a se stesso non genera una nuova qualità della vita bensì una cultura di disperazione» (p. 35).
Il primo contributo di Flavio Felice (L’economia civile nel contesto della globalizzazione, pp. 37-60) affronta il problema dell’economia civile nel contesto della globalizzazione. Il docente alla Lateranense esamina la critica marxista dell’economia politica sulla scorta dell’analisi di Simone Weil. Quest’ultima contesterebbe al filosofo di Treviri proprio la sua antropologia, ispirata dalla dialettica “servo-padrone” di hegeliana ascendenza, e la sua epistemologia di tipo olistico. Per la grande pensatrice francese, l’elemento disumano dei moderni processi produttivi non sparirebbero con l’abolizione della proprietà privata, che – asserisce – è “un bisogno vitale dell’anima”. Felice, dunque, dopo aver analizzato un importante saggio del giurista tedesco Ernst Wolfgang Böckenförde dal titolo L’uomo funzionale. Capitalismo, proprietà, ruolo degli stati, in cui si sostiene la tesi secondo cui il crollo del capitalismo [sic] potrebbe e dovrebbe permettere una sua radicale contestazione, giunge ad auspicare una soluzione meno estrema e più possibilista. L’autore, a tale proposito, sostiene che occorre riconoscere e preservare la rilevanza delle regole anche per la disciplina dei mercati. Per raggiungere tale obiettivo, non bisogna, per alcuna ragione, escludere la persona, né considerarla una presenza meramente strumentale, pena ridurla a vittima sacrificale sull’altare di forze maggiori.
Il saggio di Roberto Papini (La globalizzazione tra vecchi e nuovi diritti, pp. 61- 71) affronta, invece, la questione dell’impatto che può avere la globalizzazione sui diritti. Questi ultimi sarebbero messi a rischio e, a pagarne i danni maggiori, sarebbero i più deboli della società. L’autore s’interroga sul destino di quei diritti che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo individua, appunto, come “universali”. Mancando oggi una corte universale dei diritti dell’uomo, la stessa Dichiarazione sembra messa seriamente in discussione, in primis dalle urgenze della globalizzazione, in seconda battuta dalle tecnoscienze, da culture non occidentali o di altra provenienza e derivazione. Papini sostiene che la Dichiarazione, elaborata in un linguaggio e in una prospettiva necessariamente occidentali, andrebbe oggi integrata con valori di altre culture che abbiano, ne varietur, una loro inequivocabile universalità. Il rapporto tra tecnologia e globalità è alla base dell’interessante contributo di mons. Domenico Pompili (Innovazioni tecnologiche e comunicazione globale, pp. 73-82). Oltre Mc Luhan, si può affermare oggi che la techne e la coscienza del soggetto siano ormai orientate a plasmarsi reciprocamente. È vero, certo, che le reti telefoniche e telematiche hanno unito tutto il mondo, rendendolo molto più che “villaggio globale”, ma è altrettanto vero che «la sola zona di Tokyo dispone di più telefoni che tutta l’Africa insieme e che il Giappone ha più apparecchi telefonici di tutti i Paesi in via di sviluppo di Asia, Africa e America del Sud messi insieme» (p. 79). Se, da una parte, i prodotti globali possono arrivare in tutta Europa attraverso le reti, gli stessi non arrivano neanche nel 20,25% delle famiglie africane e di altri Paesi del Sud del mondo. Mons. Pompili ritiene, pertanto, che occorra investire soprattutto in ciò che ci consente di comunicare meglio, da una gestione, ad esempio, meno centralizzata del flusso di informazioni per finire ad una sorveglianza più oculata ed efficace degli spazi virtuali di confluenza e di smistamento dello stesso, al fine di scongiurare il rischio di monopolio della comunicazione da parte di oligarchie estremamente ristrette e pericolose. Per finire, Pompili suggerisce la riscoperta di una “globale località”, sorta di strano, ma efficace, neologismo ossimorico, che svela il “qui” e l’“ovunque” di ogni realtà umana, la sua ineffabile ma inconfutabile totalità.
Anche il contributo successivo di Giuseppe Lorizio (Globalizzazione religiosa: periferia e centralità nella chiesa, pp. 83-104) prende l’abbrivio dalla Caritas in veritate, laddove rimarca con forza la necessità della caritas coniugata dalla ragione e dalla fede. Il progresso tecnico, pur essendo fondamentale per qualsiasi prospettiva di sviluppo socioeconomico del mondo, non può prescindere dalla presenza fondante dell’amore, quell’amore “che vince il male con il bene e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà”. Ricordando l’icona biblica di Davide e Golia, paradigma della sproporzione delle forze messe in campo, Lorizio ricorda al piccolo gregge dei cristiani di non soccombere e di “non avere paura”; di non lasciarsi sopraffare da una tecnologia invadente e molesta e, infine, di sapersi “muovere” con discernimento e spirito di mediazione attraverso le insidie e le panie del villaggio globale. L’etica, da sola, non è più sufficiente e dovrà, quindi, accompagnarsi alla fede nel Dio Unitrino.
La prima parte del volume è suggellata da un breve ma pregnante studio dello stesso Sanna, dal titolo Società planetaria e rivendicazione identitaria (pp. 105-131). In esso si sviluppa l’aspirazione a una composizione unitaria dell’umanità e se ne fa un rapido excursus storico attraverso le varie epoche, dal mondo greco-romano al Rinascimento europeo, fino ai giorni nostri. Il cosmopolitismo – secondo Sanna – rappresenta un fenomeno più virtuale che sostanziale, dominato com’è dalla tirannia del capitale finanziario, in cui si assiste alla monetarizzazione progressiva dei rapporti umani, alla messa al bando della soggettività e della persona. Detto cosmopolitismo si manifesta non soltanto nel campo sociale e culturale, ma anche in quello più specifico della giurisprudenza, all’interno del quale constatiamo un’ambiguità di fondo dello stesso concetto di “universalità del diritto”, laddove esso si riferirebbe a un ordinamento giuridico unitario cosmopolitico che, al contrario, non rientra nelle prospettive condivise e neppure, molto probabilmente, nei desideri umani presenti. Sanna, allora, auspica il superamento delle semplificazioni identitarie, oggi attive in vaste aree del pianeta, attraverso una sorta di “ecumenismo antropologico” già praticato e teorizzato, del resto, fin dall’inizio del pensiero cristiano e solo negli ultimi tempi incrinato dal pensiero globalizzato. Solo il cristianesimo, d’altra parte, delle tre religioni monoteiste, si rivolge all’umanità intera, manifestando in tal modo il suo carattere universale. A questo proposito, ci viene in soccorso l’eccezionale magistero del Concilio Vaticano II, il quale traccia con mano ferma le coordinate dell’uniformazione dell’umanità: libertà religiosa e fraternità universale. Non si può invocare Dio come Padre di tutti gli uomini se non ci si comporta da fratelli con tutti gli esseri umani, che sono, tutti, creati a immagine somigliantissima di Dio.
Il contributo di Angela Ales Bello inaugura la seconda parte del libro (Conflitti di identità, pp. 133-143), naturale prosecuzione della prima, in quanto il problema dei fondamentalismi religiosi hanno acuito le rivendicazioni identitarie e creato continui conflitti e tensioni internazionali, attraverso un contraddittorio e, pure, consequenziale cortocircuito nel quadro di una società globalizzata. L’identità – sostiene Ales Bello – ha un aspetto positivo e un altro negativo. Essa può provocare atteggiamenti esiziali di chiusura che tendono, da una parte, a uno sfrenato individualismo solipsistico, dall’altra alla formazione di gruppi in cui il singolo perde la sua identità personale a favore di quella collettiva. Tutto questo porta a conflitti e odio verso l’“altro”, che hanno, spesso, come obiettivo l’eliminazione del nemico. La risposta a codesto stato delle cose è data, dall’autrice del saggio, nel sottolineare l’importanza dell’incontro personale, che favorisce la conoscenza reciproca e mette in atto l’aiuto vicendevole concreto. Esemplare, a questo scopo, è la condotta di tante associazioni di volontariato, che, entrando in contatto con usi costumi tradizioni e leggi diversi, ci danno la consapevolezza che stiamo attraversando un’epoca straordinaria. E sebbene il fenomeno non sia, di fatto, nuovo nella storia dell’uomo, noi dobbiamo sentirci privilegiati perché maggiormente consapevoli della novità e, dunque, più attrezzati e disposti a darne testimonianza e a diffonderlo agli altri.
Il saggio di Adolfo Russo Unità di Dio in un mondo plurale (pp. 145-171) affronta il problema del rapporto del Dio cristiano con quello delle altre fedi religiose. Si è passati dal severo monito di extra ecclesiam nulla salus alle aperture del Concilio Vaticano II, riprese e allargate vieppiù da Giovanni Paolo II. Nella Redemptoris missio, infatti, il grande papa sottolinea la valenza universale della salvezza, offerta a tutti, indistintamente, a quanti vivono in altre tradizioni religiose. Si potrebbe, forse, avanzare l’ipotesi di trovarsi ormai di fronte a una molteplicità di rivelazioni, per così dire, extrabibliche. Eppure il senso e il valore del Sacro Testo non può essere considerato semplicemente uno fra i tanti percorsi o tracciati possibili. Si possono, invece, cogliere, nelle altre esperienze religiose, numerose affinità e convergenze, che denotano una struttura comune in fondo a ogni possibile cammino spirituale. Alla base delle diverse religioni, c’è, allora, l’esperienza della trascendenza, condizione comune a ogni credenza e, più radicalmente, a ogni essere umano. Ogni tradizione religiosa rappresenta una modalità storica, una prospettiva sulla realtà dell’esistenza. Due, allora, potrebbero essere gli atteggiamenti da adottare di fronte a tale situazione: o ignorarsi reciprocamente e ritenersi, ciascuno per suo conto, l’unico detentore della verità; o dialogare, con onestà e mente aperta, alla ricerca della verità sia nella propria religione, sia in quella degli altri. «La comunità cristiana», conclude Russo, «può conservare la propria fede in Gesù Cristo […] senza per questo sostenere l’infondatezza e l’illegittimità delle altre religioni» (p. 171).
Particolarmente interessante si presenta il contributo di Giancarlo Pani, che, fin dal titolo, Tolleranza e intolleranza del cristianesimo (pp. 173-198), anticipa inequivocabilmente l’argomento affrontato. Cristianesimo tollerante, certo, ma non esente, purtroppo, da episodi di intolleranza e da tendenze fondamentaliste, disseminate nelle varie epoche storiche. Il turning point da parte della chiesa, avviene, secondo lo studioso de La Sapienza, con il Concilio Vaticano II. I rapporti con gli altri, alla luce del magistero di questo grande spartiacque storico, che è stato il Concilio, risulteranno radicalmente e definitivamente mutati. La chiesa non è più l’unica strada che conduce alla salus. Cambiano, pertanto, anche i rapporti con l’ebraismo e con le altre religioni. Questo tema viene affrontato, in particolar modo, in due dichiarazioni conciliari fondamentali, la Nostra aetate e la Dignitatis humanae. Condannate perentoriamente tutte le forme possibili di antisemitismo, si afferma altresì la libertà di coscienza di ogni persona in campo religioso e il diritto di ciascuno di ricercare la verità seguendo la propria coscienza religiosa. Sono documenti, questi, del tutto inediti, nella forma e nei contenuti, rispetto a quelli prodotti dagli altri concili ecumenici moderni, in quanto non ispirati a tradizioni magisteriali precedenti o all’insegnamento dei padri della chiesa, ma semplicemente fondati sulla lezione dell’Antico e del Nuovo testamento, quasi a evidenziare la purezza originaria delle verità sostenute.
Continua il discorso sull’intolleranza il saggio successivo di Giuseppe Lorizio (Monoteismo e violenza, pp. 199-212), che prende l’avvio dalla tesi, piuttosto diffusa, secondo cui molti episodi di violenza e di intolleranza siano da far risalire al monoteismo cristiano o, almeno, ai monoteismi religiosi tout court. Lorizio chiede “ausilio” a due grandi maestri del pensiero credente, Rosmini e Florenskij, che affrontano il tema della fede cristiana nel Dio unitrino. Essa «esige un “nuovo pensiero” o se si vuole un “pensare altrimenti” e stimola una speculazione che, senza nulla togliere all’autonomia del filosofare, anzi la esalta e le consente di raggiungere vertici insperati» (p. 212). Attualissimo e, per molti versi chiarificatore, è il saggio di Francesco Zannini (Aspetti del fondamentalismo islamico, pp. 213-238). Questi sgombera subito il campo dalla communis opinio, secondo la quale l’islam, in quanto tale, sarebbe portatore di scontro di civiltà, di antagonismo violento e di integralismo. Il mondo dell’islam è sicuramente un pianeta vasto e complesso, talora anche contraddittorio, in cui coesistono coloro che accettano, anche criticamente, la modernità nei suoi aspetti più peculiari e nei suoi valori, a fronte di altri che invece, rifiutando l’Occidente e ciò che rappresenta, ritengono di trovare nel patrimonio dell’islam i modelli più adatti a un modus vivendi conforme ai dettami del Libro sacro. Nelle mani di gruppi estremisti, allora, situazioni storiche particolarmente nevralgiche e irrisolte, come quella palestinese, possono diventare (e spesso lo diventano) motivo di legittimazione della difesa, condotta con ogni mezzo, di popoli perseguitati. Si sono ramificate, in questo modo, reti fondamentaliste e “jihadiste” un po’ in tutto il mondo, di cui Al Qaeda e Osama bin Laden rappresenterebbero, pur con tante zone oscure e di ardua interpretazione, i vertici. A parer nostro, Zannini è particolarmente lucido e felice nell’affrontare il problema della sharìa, che non è (e non potrebbe esserlo) un’applicazione legittima e/o scientifica della tradizione legale islamica, quanto piuttosto una selezione, estremamente strumentale e contingente, del corpus di leggi costruito all’interno di un preciso quadro ideologico e storico. La sharìa, insomma, non è un sistema chiuso e immutabile di leggi, quanto un percorso legislativo che storicamente si è tenuto sempre aperto a nuove letture e interpretazioni. E a questo proposito, ci pare interessante segnalare la recente pubblicazione, presso le edizioni Einaudi, dell’interessantissimo Al Muwattà di Malik ibn Anas (Torino 2011), una collezione di leggi islamiche su cui si basa larga parte delle attuali legislazioni in uso nei paesi del Nord Africa. Per la prima volta tradotto in italiano, il testo dimostra quanto sia vivo l’interesse, anche da parte della grande editoria, di far luce su temi per lo più misconosciuti e banalizzati in Occidente e, inoltre, conferma la tesi di Zannini della varietà e delle tante possibili declinazioni che il diritto islamico ha a sua disposizione, le quali partono – certo – da alcuni principi divini e universali, ma che mai costituiscono un blocco monolitico e metastorico.
Come Ignazio Sanna aveva aperto il libro con la sua Introduzione, ne aveva collegato le due parti con un testo “traghettatore”, così conclude l’ottimo lavoro con un saggio conclusivo che traccia le linee-guida di quella che viene definita “identità aperta” (L’identità aperta, pp. 240-252). La sua è una concezione di identità forte, universalistica, esemplare, adottabile da ogni uomo, sotto ogni orizzonte di tempo e di cultura, che garantisce e difende la vera “umanità” dell’uomo. Si tratta di un volume, dunque, che oltre al pregio della scientificità e autorevolezza di ciascun contributo, raggiunge subito e mantiene quella che Michail Bachtin chiamava “tonalità”, la capacità cioè di unificare le voci, pur non intaccando le spiegatezza polifonica dell’impianto.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2011
(http://www.pftim.it)
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