Giudici
-Nuova versione, introduzione e commento
(I libri biblici) [Con sovraccoperta]EAN 9788831536035
L’A. di questo commentario è un sacerdote dell’ordine dei chierici regolari di San Paolo, noti come barnabiti. Ha conseguito i titoli accademici in Sacra Scrittura a Gerusalemme (1980) e attualmente insegna come professore stabile di Antico Testamento nella Facoltà di teologia della Pontificia Università Urbaniana a Roma. È un esperto di antiche traduzioni della Bibbia: una conoscenza che risalta lungo tutto il suo commento. Il lavoro è inserito nella collana ormai affermata nel mondo scientifico, «I libri biblici», edita dalle Paoline.
Come gli altri volumi, anche questo è diviso in tre parti: sezione introduttiva, traduzione e commento del testo, diviso in larghe unità, messaggio teologico. Nella sezione introduttiva, egli si sofferma soprattutto sulla ricerca moderna riguardo a Giudici concentrata su alcuni punti principali: la storicità del libro; il libro nella «storiografia deuteronomistica»; l’apporto del materiale qumranico, l’avvento dei metodi sincronici; il genere letterario. Per quanto riguarda la storicità, Rizzi ritiene eccessiva e ingenua l’ipotesi della scuola italiana secondo la quale il libro è un appello coerente, accuratamente inventato, progettato e stilizzato per gli ebrei dell’epoca postesilica, per ammonirli sui rischi dell’assimilazione alle popolazioni circostanti. Infatti, questo e altri messaggi del libro sono costruiti con materiale testuale, grammaticale, sintattico e letterario in vari casi poco coeso, lasciando vedere incongruenze e rimaneggiamenti. Si tratta, cioè, di riletture emergenti da tradizioni piú antiche. Sul tema: il libro nella «storiografia deuteronomistica», l’A. espone le varie proposte attuali, ma non sembra preferire una particolare soluzione.
Egli ricorda come dalle due principali redazioni della storia deuteronomistica (all’epoca di Giosia e durante l’esilio) si sia passati all’ipotesi di una triplice edizione: di tipo storico già in epoca esilica, di tipo nomistico (intorno al 560 a.C.), di tipo profetico (in epoca esilica). Piú recentemente, è stata proposta una sintesi degli studi su Giudici con due orientamenti principali. Il primo riguarda il rapporto del libro con la tradizione all’epoca di Giosia e in quella esilica. Il secondo tende ad attribuire alla redazione finale il valore di una narrazione strutturata molto significativa. Riguardo poi alle redazioni deuteronomistiche e il materiale qumranico, l’A. nota come alcuni manoscritti biblici di Qumran presentino piú affinità con il testo greco che con quello ebraico e potrebbero essere una testimonianza di forme testuali ebraiche, precedenti a quella del TM.
Un argomento approfondito dall’A. è l’avvento dei metodi sincronici favoriti dalla complessità della ricerca diacronica. Il metodo diacronico si è rivelato necessario per soppesare anche il valore storico del libro e le possibili ricostruzioni di quell’epoca, emergenti dalle varie tradizioni bibliche. Tuttavia, secondo Rizzi, la vera questione dell’esegesi biblica sul libro dei Giudici non dovrebbe essere la dimostrazione della storicità dei racconti o delle tradizioni, ma la chiarificazione del loro significato nel contesto del libro e del corpo letterario biblico al quale esso appartiene. L’opera fu pensata come conclusa in se stessa, capace di dare un messaggio completo, in ordine ai problemi di fondo in essa affrontati. Per restare, cioè anche tornare, nella terra dei padri dopo il fallimento della monarchia, secondo Giudici, bisognava attuare senza compromessi il rigore presupposto e raccomandato nei divieti di scendere a compromessi con le popolazioni idolatriche e in pratica di matrimoni misti: diversamente, la stessa sopravvivenza dei figli di Israele nella terra dei padri sarebbe risolta in un catastrofico fallimento.
Altro argomento trattato è il genere letterario del libro. Le antiche tradizioni giudaiche e cristiane hanno classificato il libro come storico, pur ponendosi interrogativi di ordine teologico e morale che permangono anche oggi nell’esegesi moderna, la quale però tende a negare qualsiasi valore storico all’opera o ad ammettere che vi siano frammenti di tradizioni tribali piú antiche, in una redazione decisamente tardiva. In realtà, secondo l’A., si tratta di un’opera storico-teologica in cui viene rielaborata una serie di motivi letterari o di temi, riscontrabili nella letteratura biblica e anche talvolta extrabiblica. Vi si incontra una riflessione sull’identità religiosa, sociale e politica di Israele dopo il fallimento della monarchia davidica.
Circa le suddivisioni interne e l’unità del libro, occorre distinguere tra quanto offerto dalle tradizioni del giudaismo di lingua ebraica e greca, tradizioni di cui Rizzi è un esperto, e quanto è offerto dagli studi classici o piú recenti della critica moderna. L’ultimo argomento trattato nell’introduzione è il profilo geografico, storico-culturale e religioso dei Giudici. La ricostruzione della geografia biblica dell’AT all’epoca dei giudici pone dei problemi. Varie informazioni sulla geografia storica palestinese presenti nel libro non appartengono all’epoca dei giudici. Rizzi non sembra voler seguire la posizione radicale che vuole relegare non solo la redazione ma anche la nascita delle tradizioni bibliche di Giudici in epoca persiana ed ellenistica. Il redattore pensa all’epoca storica che va da Giosuè a Samuele come una drammatica epopea di dura lotta senza quartiere della fede in Jhwh contro i pagani idolatri e politeisti di Canaan, nei confronti dei quali i figli di Israele erano scesi sempre piú rovinosamente a compromessi, fino a rischiare il proprio annientamento. Durante l’epoca persiana si stava correndo lo stesso rischio.
Era quindi necessario guardare a una monarchia sul modello di Dt 17,14-20: un re sottomesso alla legge e impegnato a farla rispettare. Secondo il programma generale della collana, il commento del testo è condotto per grandi unità. L’A. combina con molto equilibrio un’analisi diacronica del testo con quella sincronica. Il messaggio teologico è sintetizzato poi nella terza parte: la fede di Israele ha compreso le disgrazie dell’epoca di Giudici come dovute al fatto di essersi appoggiati agli idoli stranieri e le liberazioni come opera del Signore anche attraverso i giudici.
Ciò che mi sembra piú originale in questo commento è il fatto che l’A. tiene conto delle varie riletture ebraiche e cristiane del testo, ricercando una parola di Dio che possa ancora parlare all’uomo d’oggi. La parola di Dio, infatti, precede ed eccede la Bibbia. Penso che Rizzi abbia indicato una strada percorribile anche da altri studiosi dell’AT.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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