La BIBBIA COMMENTATA DAI PADRI è un'opera prevista in 29 volumi e in due sezioni: ANTICO TESTAMENTO e NUOVO TESTAMENTO. Ogni volume è dedicato ad un singolo libro biblico oppure a più libri, suddivisi in pericopi corredate dall'interpretazione esegetica desunta dai commentari dei Padri della Chiesa e raccoglie questa ricchezza disseminata in tante opere, spesso non facilmente accessibili, sia in lingua greca sia latina, e in altre lingue della cristianità, come il copto, il siriaco e l'armeno. Diretta da Thomas C. Oden, curata dell'istituto di Studi Cristiani Classici (ICCS) della Drew University, New Jersey (U.S.A.) in collaborazione con un team di studiosi ed esperti internazionali di varie chiese. Edizione italiana a cura di Angelo di Berardino. Formato dei volumi 17,5x24,5.
INTRODUZIONE A ROMANI
La Lettera ai Romani non è, semplicemente, il testo dell'Occidente cristiano ma è, in qualche misura, l'Occidente. Autorità e libertà, autonomia e destino, individuo e comunità, universale e particolare sono tensioni generali che l'attraversano e la strutturano, a parere di chi scrive, ancor prima di quelle antinomie teologiche — legge e grazia, predestinazione e salvezza, opere e fede — destinate a diventarne le più consolidate chiavi ermeneutiche.
Così, se nella Chiesa antica per rilievo intrinseco e attenzione degli esegeti, le stava accanto almeno la prima lettera ai Corinzi, a partire da Agostino la prima letterea ai Romani è divenuta il testo chiave di ogni successiva svolta teologica ed ecclesiologica, da Tommaso d'Aquino a Erasmo, da Lutero a Wesley a Karl Barth, sino all'ebraismo cristiano di Jakob Taubes, la cui Teologia politica di san Paolo, null'altro da un'ennesima, serrata esegesi di Romani, alle soglie del terzo millennio segna, nel nome di una necessaria e rinnovata antinomia tra ebraismo e cristianesimo, la conclusione stessa della parabola della modernità apertasi con la Vorrede premessa da Lutero all'epistola paolina nell'ambito della sua traduzione tedesca del Nuovo Testamento: «Questa lettera è la parte più importante del Nuovo Testamento e il Vangelo più puro; è perciò del tutto degno e importante che ciascun cristiano la conosca a memoria parola per parola; non solo: la deve meditare ogni giorno come fosse il pane quotidiano dell'anima. [...]
In questa lettera troviamo infatti in modo eccellente cosa deve sapere un cristiano, cioè cosa siano la legge, il Vangelo, il peccato, la punizione, la grazia, la fede. Pertanto è come se in questa lettera Paolo abbia voluto riassumere definitivamente tutto l'insegnamento cristiano del Vangelo e rendere disponibile una via di accesso all'Antico Testamento. Non può esserci dubbio, infatti, che chi mantiene questa lettera nel suo cuore porta con sé la luce e la forza dell'Antico Testamento; per questo ogni cristiano deve conoscerla a fondo e meditarla ininterrottamente».
Proprio il rapporto del Vangelo con l'Antico Testamento — ovvero, in buona sostanza, con l'ebraismo — rappresenta non solo il nodo centrale su cui viene giocata l'esegesi complessiva del testo paolino, bensì la scaturigine stessa del libro.
Composta probabilmente nel 55 o 56 a Corinto, in un momento decisivo della vicenda di Paolo, la lettera è indirizzata a una comunità — o più precisamente a un insieme di comunità domestiche non particolarmente vincolate tra loro — che Paolo non aveva ancora visitato. tuttavia, sia per la collocazione nella capitale dell'Impero, sia per la vivacità della loro fede (cf. Rm 1, 8; 15, 14; 16, 19) i cristiani di Roma dovevano rappresentare un punto di riferimento e un interlocutore ineludibile anche per Paolo, tanto più in un momento in cui la sua predicazione era sottoposta a serrate critiche da parte di quanti, a differenza di lui, concepivano con maggiore difficoltà una collocazione della fede in Gesù al di fuori delle consolidate categorie e pratiche del-l' ebraismo. In questo quadro, i gruppi cristiani di Roma, sia di origine ebraica, sia di provenienza dai Gentili, erano attraversati da tensioni provocate deliberatamente dagli oppositori di Paolo, che lo accusavano di slegare la fede in Cristo da qualsiasi rapporto con le pratiche di vita, favorendo in questo modo il lassismo e la condotta di quanti, provenienti dal paganesimo, non si ritenevano in alcun modo legati alle prescrizioni alimentari e comportamentali della tradizione ebraica, esemplarmente racchiuse nel digiuno di cui si parla al capitolo 14.
La lettera segna la decisa reazione da parte di Paolo a queste accuse; una tale reazione era necessaria non solo per difendere in linea generale il suo messaggio e la sua interpretazione del Vangelo, bensì anche per la dichiarata volontà di recarsi a predicare in Spagna, dopo aver consegnato a Gerusalemme i frutti della colletta promossa tra le chiese d'Asia: su quell'itinerario, Roma segnava una tappa ineludibile, non solo geografica, ma, a questo punto, anche di legittimazione (cf. Rm 15, 24).
Due caratteristiche dello scritto denunciano immediatamente lo sfondo problematico su cui esso si colloca: da un lato, il frequente ricorso all'interlocuzione diretta degli avversari, sia sotto forma di interrogazioni retoriche che riproducono le probabili obiezioni mossegli, sia sotto forma di esclamazioni che ne sottolineano la serrata argomentazione (si veda soprattutto l'inizio del capitolo 3); dall'altro, il costante tentativo di ingraziarsi gli interlocutori, sottolineandone l'importanza, la maturità nella fede, la rilevanza delle scelte. Aspetti, questi, che gli esegeti antichi, ben formati alla pratica retorica, erano in grado di cogliere e apprezzare con maggior gusto e consapevolezza di quanto non sia forse oggi possibile.
La struttura della lettera nelle sue linee generali, pur se non nei dettagli, è abbastanza chiara. Tra l'intestazione e l'esordio (1, 1 - 1, 17), da una parte, e la conclusione (15, 14 - 16, 27), il corpo della lettera si suddivide in due parti di estensione differente: da 1, 18 alla fine del capitolo 11, Paolo illustra il contenuto del suo annuncio, non nella sua completezza (mancano temi caratteristici della sua predicazione come l'eccksiologia e l'insegnamento sull'eucaristia), bensì per ciò che riguarda il rapporto tra fede e salvezza; dall'inizio del capitolo 12 a 15, 13, invece, Paolo svolge un discorso parenetíco (cioè di esortazione) su come il vangelo annunziato nella prima parte deve essere calato nella vita del singolo e della comunità. La prima parte, a sua volta, può essere ulteriormente suddivisa in due: da 1, 18 al capitolo 8, Paolo tratta dell'annuncio, della salvezza e della giustificazione offerta da Dio per chi ha fede in Cristo, mentre nei capitoli 9-11 affronta di petto il problema del destino di Israele come popolo e dei singoli ebrei che hanno rifiutato il loro assenso al Vangelo, con tutto ciò che questo comporta per quello che riguarda il senso e l'osservanza della legge mosaica.