Contemplare e condividere la luce di Dio
(Contributi di teologia)EAN 9788831148207
L’obiettivo che si pone il testo, suddiviso in sei ambiti o capitoli, consiste nel desiderio, da parte dell’autore, di presentare il metodo teologico di Tommaso d’Aquino come tutt’ora valido e da proporre come soluzione ai problemi teologici attuali della ricerca filosofico-teologica. Tommaso, infatti, afferma che dove la ragione e la filosofia non possono fare progressi entrano in campo la fede e la teologia. La teologia si fonda sui dati della fede, su cui ragiona per credere con maggiore consapevolezza e accedere ai misteri rivelati. La ragione, ammettendo di non poterli dimostrare, riconosce che essi, pur essendo al di sopra di sé, non sono mai assurdi o contro la ragione stessa: fede e ragione, sono entrambe dono di Dio e non possono contraddirsi. Nel nostro tempo, il pensiero di Tommaso d’Aquino e la sua modalità di approccio trova il beneplacito anche degli studiosi protestanti, grazie al suo metodo di lavoro schiuso a fonti e contributi di ogni genere; infatti, la sua riflessione muove dalla Sacra Scrittura agli autori pagani, senz’alcun pregiudizio, ma tenendo sempre il suo centro nella rivelazione cristiana, alla quale ogni cultura, dottrina o autore antico avrebbe dovuto far capo.
Nel primo ambito (pp. 11-38) l’autore rileva come il pensiero dell’Angelico affondi le proprie radici sull’esperienza vissuta nell’ordine dei Predicatori; egli era rimasto colpito dal modus vivendi di un ordine religioso che aveva posto alla base della propria missione la predicazione del Vangelo, a cui bisognava anteporre, conseguentemente, lo studio approfondito della verità evangelica. «Il motto che Tommaso renderà famoso, contemplari et contemplata aliis tradere esprime assai bene la vocazione domenicana. Contemplare Dio attraverso la luce di Cristo […], per comunicare a tutti la luce della verità che è in lui» (p. 18). Pertanto, per poter assolvere a questo compito in maniera retta, Tommaso ritiene che il cristiano debba assumere due atteggiamenti fondamentali: l’uscita dallo stato di colpa, vale a dire la rinuncia al peccato e, nel contempo, l’uscita dal “mondo”, intesa come rinuncia ai desideri terreni per entrare nella sfera della contemplazione. Ecco perché è necessaria la conformità del predicatore/teologo/conoscitore di Cristo alla vita di Gesù (cf. p. 37).
Nel secondo ambito (pp. 39-51) viene evidenziata la teoria contemplativa di Tommaso rispetto alla ratio aristotelica. In questo contesto assume rilevanza l’eredità lasciata da sant’Agostino che, nel De Trinitate, illustrava la verità trinitaria e l’ascesa alla contemplazione divina. Dalla tradizione teologica greca, Tommaso attinge degli elementi utili, nel contempo, a superare la prospettiva platonica che, a suo avviso, non sarebbe riuscita ad aiutare nella spiegazione dell’essenza della Trinità. Dovendo parlare dell’Uno che è trino, preferisce descriverlo, più nella linea aristotelica, in quanto l’Essere sussistente che si esprime nella Trinità (cf. p. 49). Di qui «l’affermazione secondo cui “l’ipsum esse subsistens” (di Tommaso) risulta capace di implicare non soltanto l’unità e l’identità, ma pure l’intera divisione e pluralità» (ivi). In questo modo, la rivelazione del Dio, uno nell’essere e trino nelle persone, può essere proposta come una verità rivelata congruente con la ragione.
Il terzo ambito (pp. 52-93) descrive gli anni di vita in cui Tommaso scrive l’opera che eserciterà maggiore influenza sulla teologia, la Summa theologiae. Nella sua trattazione, tiene conto delle opere di alcuni autori, nella fattispecie Aristotele, relativamente al campo filosofico, e Agostino d’Ippona per l’ambito teologico. In sostanza, Tommaso sostiene che, attraverso la rivelazione divina, sono state rese note agli uomini quelle verità che vanno oltre i mezzi della ragione, ma che risultano comunque importanti per la salvezza dell’anima; per esempio, in campo morale, l’uomo, illuminato nella coscienza, che opera in piena libertà, è in grado di scegliere tra il bene e il male. È a questo proposito che la teologia viene retta sia dalla scienza che dalla sapienza, nel senso “analogico” dell’espressione: la teologia riceve le sue certezze direttamente dalla luce della scienza di Dio (cf. pp. 66-73).
Nella quarta parte (pp. 94-127) viene evidenziata l’unità dinamica e strutturale della prima parte della Summa, esaminando in modo più pertinente l’essentia divina e mettendola poi in relazione con la capacità di conoscerla da parte dell’intellectus e, da parte della voluntas, di accoglierla per giungere alla beatitudo. Tuttavia, all’indagine sull’essenza occorre far precedere un’indagine circa l’esistere di Dio. «Come noto, Tommaso, nel primo articolo della quaestio 2, ribadisce la sua consolidata convinzione secondo cui “Deum esse non est per se notum”. Con ciò egli vuole sottolineare con forza che l’esistenza di Dio non è acquisizione innata […] ma è piuttosto una scoperta connessa con la nativa apertura della conoscenza umana alla realtà tutta entro cui si trova immersa» (p. 101). Ciò che è desiderato è poi realmente per natura conosciuto. È il primato del desiderio sulla ratio, come via attraverso la quale giungere alla beatitudo, in un intersecarsi armonioso tra desiderium e cognitio e tra voluntas e intellectus. «Tommaso rivendica la capacità intrinseca della ragione di pervenire a una conoscenza veritiera dell’essere di Dio partendo dagli effetti della sua azione creatrice» (p. 111). A tal riguardo, attraverso la disamina delle cinque vie, viene messo in luce che l’uomo, essendo spirito incarnato, entra in relazione con la realtà mediante la sensibilità e grazie ad essa «la realtà si offre alla coscienza per quello che è, in modo tale che la coscienza la può cogliere così come essa è» (p. 115). Nella parte finale di questo quarto ambito Piero Coda, riprendendo Tommaso, cerca di dare una risposta alla questione molto sentita nella modernità: se Dio è bene infinito e ha creato il mondo come frutto del suo amore, perché allora il male? Il punto di forza della risposta prende avvio dal dato secondo il quale Dio, amore infinito, crea un essere finito dotato di piena libertà, consapevole pertanto anche dell’uso distorto (ecco il male) che l’uomo può fare della libertà: «La presenza del male, testimonia in definitiva, la bontà infinita di Dio come volontà positiva dell’altro da sé» (p.124).
Nel quinto ambito (pp. 128-145), una volta “provato” che c’è un Dio, si tenta di rilevare, dal punto di vista metodologico, le vie che consentono all’uomo di esprimere l’essere di Dio: «all’uomo è necessaria quell’ascesi intellettuale, e cioè quella purificazione dell’intelletto (purgatio mentis la definiva Agostino) che sola permette di attingere Dio nell’assoluto rispetto della sua trascendenza, la purezza totale, la verginità, si potrebbe dire, dell’essere di Dio» (p. 129). Vengono pertanto sintetizzate, partendo dalle affermazioni dell’Aquinate, le vie o gli attributi che ci permettono di descrivere l’essenza di Dio, in linea con quanto aveva già insegnato lo pseudo Dionigi: 1) quomodo non sit, ovvero mostrando ciò che Dio non è e rimuovendo le cose che a lui non si confanno. Passando alle proprietà positive. 2) La simplicitas che precede e fonda l’attributo dell’immutabilitas, Dio infatti semplicemente “È”.
«In Dio, dunque, vi è identità tra il soggetto che sussiste (suppositum), l’essenza per cui egli è ciò che è (essentia) e l’atto d’essere in virtù del quale Egli sussiste (esse in quanto actus essendi)» (p. 134). 3) Il summum bonum. A Dio la bontà appartiene per suam essentiam e, citando Agostino a supporto della sua affermazione, dice: «Trinitas divinarum personarum est summum bonum, quod purgatissimis mentibus cernitur» (p. 145).
Nella parte conclusiva e riassuntiva delle considerazioni sul De Deo (pp. 146-155) l’autore rintraccia nella necessità di uno stringente dialogo tra metafisica e rivelazione, il segreto per poter parlare in modo adeguato di Dio. Quale via percorrere allora? La via è da rintracciare in quanto afferma san Paolo: «I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato» (1Cor 2,11-12). Fa eco a quanto affermato dall’apostolo delle genti il pensiero di Bonaventura da Bagnoregio che così chiosa: «Nemo intrat recte in Deum nisi per Crucifixum» (p. 155).
Il testo di Coda esamina in modo assai pertinente e approfondito il metodo teologico di Tommaso, sottolineandone, alla luce della Parte prima della Summa theologiae, l’attualità che tale sistema teologico assume ancora nel panorama contemporaneo. Tale metodo, pur non essendo il solo con cui giungere alla contemplazione della verità rivelata, resta ancor oggi una possibilità data al sapere teologico per poter giungere, pur nei limiti della ragione finita, alla comprensione di Dio.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-4/2014
(http://www.pftim.it)
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