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Fino all'abbandono. L'eucaristia nella fenomenologia di Jean-Luc Marion
(Teologia)EAN 9788831133418
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DETTAGLI DI «Fino all'abbandono. L'eucaristia nella fenomenologia di Jean-Luc Marion»
Tipo
Libro
Titolo
Fino all'abbandono. L'eucaristia nella fenomenologia di Jean-Luc Marion
Autore
Reali Nicola
Editore
Città Nuova
EAN
9788831133418
Pagine
312
Data
gennaio 2001
Peso
390 grammi
Dimensioni
14 x 21 cm
Collana
Teologia
COMMENTI DEI LETTORI A «Fino all'abbandono. L'eucaristia nella fenomenologia di Jean-Luc Marion»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Fino all'abbandono. L'eucaristia nella fenomenologia di Jean-Luc Marion»
Recensione di Ermanno Roberto Tura della rivista Studia Patavina
Al comune lettore è chiesto il non comune coraggio di rompere il guscio linguistico impegnativo di questo volume (molto fitto anche nella stampa) per accedere alla fecondità e apprezzare tutta la validità del contributo di un giovane studioso. Nicola Reali, spezzino di nascita, milanese di formazione teologico-linguistica e romano di adozione nel dottorato e nell’insegnamento accademico, in queste trecento pagine sa far convivere l’acutezza della “esegesi” e della riflessione con l’entusiasmo appassionato tipico del neofita. Il traguardo del lavoro è raggiunto ripensando la sacramentalità cristiana alla luce delle aperture della fenomenologia di J. L. Marion, filosofo francese che nella breve ma intensa prefazione al testo si dichiara soddisfatto dell’attenzione teologica di N. Reali. Ripercorriamo volentieri le trecento pagine, nell’implicita speranza di capire così meglio anche noi la proposta, ridicendola con parole il più possibile vicine al dettato del libro.
Nell’Introduzione l’a. contestualizza la teologia sacramentale attuale, indicando in Rahner e von Balthasar gli ispiratori di un recupero della verità nella storia dell’uomo, oltre l’astrattezza dei manuali, in un dialogo attento con la disciplina filosofica. La forma sacramentale è in grado di chiarificare allora i con-torni della realtà entro la quale l’uomo vive la sua esistenza concreta nella dinamica della libertà. Gli itinerari teologici di Chauvet, Ganoczy e Ubbiali precisano ulteriormente il quadro, sottolineando il dovere di rispondere alle provocazioni dell’epoca recente. In tale contesto si colloca anche lo studio di Nicola Reali: esso si propone «la finalità di interrogarsi sul rilievo che una teoria filosofica in chiave fenomenologica può donare alla riflessione sul sacramento» (p. 36). Rifacendosi alla riflessione di Jean-Luc Marion, che a sua volta si lascia provocare dal tipo di presenza messa in campo dall’eucaristia come dono donato (don donné), l’a. precisa il suo disegno fitto e coerente, per apprezzare il quale è severamente proibito distrarsi.
Sotto il titolo L’eucaristia presenza donata. Per una fenomenologia della donazione la prima lunga parte del volume sottolinea la centralità della categoria della donazione nel pensiero di Marion, che coglie nell’eucaristia il fattore decisivo di revisione del moderno in quanto essa attesta una forma di presenza che l’uomo non può padroneggiare a proprio piacimento. In un primo passaggio si segnala perciò il superamento di una duplice riduzione, antropologica e ontologica. Anzitutto viene superata la riduzione antropologica perché la specificità del sacramento, rispettato nel suo darsi concreto e non giudicato in base a un a priori che il soggetto già conosce a livello intellettuale, implica una rimessa in gioco di tutta la concettualità implicata. In luce eucaristica Marion oltrepassa Husserl e Kant, cancellando ogni predeterminazione del soggetto: il darsi precede l’intuizione e ne abolisce i limiti kantiani. Alla fine del ragionamento Marion «giunge a legittimare il programmatico “allargamento” sulla base del diritto riconosciuto alla donazione di specificare essa stessa ciò che di fatto appartiene al campo della fenomenalità» (p. 60). L’uomo è se stesso in quanto imprevedibilmente appartiene alla logica della donazione e alla sua fenomenologia; il rapporto tra soggetto e oggetto presuppone una relazione di inclusione che ingloba l’autonomia del soggetto nella donazione dei fenomeni. Nel dibattito postconciliare riguardante la transustanziazione eucaristica e nei tentativi di riespressione linguistica Marion intuisce perciò un possibile rischio di idolatria in quanto l’uomo sembra pretendere di misurare il mistero di Dio.
Marion supera anche una seconda riduzione, quella ontologica in cui Dio resta limitato e rappreso a priori nell’essere. Nell’eucaristia Dio si manifesta nella storia attraverso una logica che comporta la progressiva assunzione della realtà cruda anche delle cose, esponendosi così alla inattenzione dell’uomo. Qui va opportunamente richiamata la differenza tra presenza e cosa: la presenza è legata allo “spazio del senso” coglibile solo nell’amore capace di superare la cosalità. Nell’eucaristia Dio si dona presente nella cosa (il pane spezzato), esponendosi al rischio del non-amore incapace di superare la distanza.
Si chiarificano così i nodi teoretici su cui Marion edifica il progetto di una fenomenologia della donazione implicanti lo scarto tra l’intuizione dell’uomo (e la realtà a lui data nell’intuizione) e il mostrarsi tramite indizio. Alla luce della rivelazione la fenomenologia si propone come metodo di manifestazione dell’invisibile attraverso i suoi fenomeni indiziali (cf. p. 78). Il confronto con Heidegger, con Bultmann, con Rahner, porta Marion a ribadire che l’unico a priori dei fenomeni è la loro donazione. Si comprende così la simpatia del pensatore francese per Dionigi che, rispetto a Tommaso e ad Heidegger, dà il primato al dono sull’essere, sottolineando così la rilevanza dell’esperienza liturgica nella preghiera e nella lode.
L’eucaristia come fenomeno saturo. Trascendenza della verità e possibilità della libertà: sotto tale titolo il secondo passaggio della prima parte configura l’itinerario riflessivo idoneo a pensare la presenza di Cristo nell’eucaristia alla luce della rivelazione. La tesi che soggiace individua nella rivelazione un fenomeno «così saturo di donazione al punto di dare smisuratamente di più di ciò che l’intenzione può prendere di mira o pre-vedere» (p. 100: i corsivi sono nel testo). Nella sua luce l’eucaristia costringe il pensiero filosofico a istituire una figura di soggettività convocata a decidersi non solo per l’indisponibilità del fondamento, ma più radicalmente per la sua stessa indisponibilità ad esserci compiutamente: la rivelazione segnala una donazione al di là dell’essere e la fede un Io al di fuori dell’essere (cf. p. 103). Dopo una rivisitazione di Husserl e Heidegger sull’intuizione e una parziale riabilitazione di Descartes e Kant, N. Reali segue Marion nell’esaminare l’eucaristia come fenomeno saturo per eccellenza in quanto attesta l’assoluto primato della donazione. L’eucaristia mette in campo una nozione di realtà che deve aprirsi verso aspetti di invisibilità, per cui l’atteggiamento antropologico adeguato sta nella contemplazione orante come relazione dell’uomo alla realtà in quanto tale. Il teologo in particolare deve lasciarsi dire dal Verbo un campo referenziale sconosciuto in naturalibus: la preghiera porta al di là del “qui e ora disponibile” e il fenomeno saturo s’impone il più sovente grazie allo stupore. Si esplicita qui la preoccupazione fondamentale della fenomenologia di Marion: «impedire alla radice ogni possibile subordinazione dei fenomeni all’a priori antropologico della soggettività trascendentale sulla base della irriducibilità della realtà alla sua determinazione ontica» (p. 126). Il fenomeno saturo provoca una inversione del rapporto io/fenomeno: è il fenomeno che si impone. L’esperienza fenomenica comune dell’uomo è apprezzabile solo nella misura in cui accetta di lasciare ridefinire le proprie qualità espressive dalla donazione stessa con un rovesciamento dei canoni consueti dell’esperienza. L’evento cristologico esaminato filosoficamente è fenomeno saturo in quanto riassume in sé le caratteristiche della saturazione, richiedente all’uomo l’atteggiamento della veglia e dell’attesa, accompagnate dalla rinuncia ad ogni previsione e ad ogni possesso come nell’episodio evangelico del giovane ricco. L’eucaristia si propone senza analogia con il mondo naturale, perché concretizza una donazione al di là dell’essere e del soggetto.
Nell’ultimo tratto della prima parte, sotto il titolo L’adonato (l’adonné): il rapporto verità/bene, Nicola Reali prende in esame il momento antropologico del ragionamento di Marion: l’uomo è qualificato dal primato della rivelazione. Alcune illuminanti pagine sull’episodio di Emmaus (pp. 146-159) lasciano in-tuire nella benedizione l’atteggiamento indispensabile dell’uomo come discepolo per accogliere il suo bene nel riconoscimento dell’identità di Dio. Qui la rivelazione divina conserva un legame con il soggetto che a sorpresa è costituito testimone in una vocazione: la donazione, donandosi, autorizza il soggetto a parteci-parvi attivamente, segnalando così il carattere indiviso del bene dell’uomo e della verità da lui indeducibile.
Conclusa, almeno parzialmente, l’esegesi puntuale del dettato di J.-L. Marion, che da filosofo legge il fatto sacramentale eucaristico come suggerimento filosofico di apertura al futuro e al mistero, la seconda parte dello studio di N. Reali affronta la provocatoria e articolata critica di D. Janicaud nei confronti di Marion sotto il titolo Una svolta teologica della fenomenologia? In effetti Marion, escludendo preclusioni pregiudiziali sul momento teologico, si colloca in una ampia tradizione europea di reciproca stimolazione tra filosofia e teologia, tradizione interrotta dall’isolamento della Neoscolastica (cf. la nota di p. 161). Janicaud teme un riaffacciarsi della metafisica nella fenomenologia proprio in questo contagio e interesse verso il trascendente, oltre i fenomeni, compreso quello religioso: la sua critica tende a squalificare da subito Marion segnalando l’impertinenza della sua ricezione delle tesi di Heidegger e giudicando quella di Marion una lettura impropria anche di Husserl, lettura che porterebbe con sé il desiderio della metafisica del filosofo tedesco. Marion ritiene invece che pensare fenomenologicamente è impossibile prescindendo dall’esperienza storicamente situata della soggettività antropologica (cf. p. 174). Il fatto sacramentale è fenomeno da esaminare con rigore filosofico: non è affatto oblio della fattualità delle forme simboliche, ma autentico “ritorno alle cose stesse” segnalante l’ulteriorità della verità che rende la protensione dell’uomo al proprio compimento realmente attuabile. Per Janicaud la fenomenologia deve restare rigorosamente atea nel senso che deve limitarsi a descrivere i fenomeni così come sono, constatando l’assenza di Dio nella nostra esperienza sensibile (cf. p. 184): egli colloca il tornante teologico di Marion sulla scia delle ambiguità del secondo Heidegger, viziato dall’oblio della concretezza che registra appunto l’assenza di Dio. Invece, proprio per la fedeltà alle “cose stesse” che la fenomenologia vorrebbe garantire, Marion assegna un ruolo specifico alla soggettività nel movimento di protensione ex-statica dell’uomo verso il suo proprio compimento. In tale protensione il soggetto ha sempre istituito figure simboliche, tra cui quelle peculiari liturgico-sacramentali cristiane. «Di fatto il fenomeno sacramentale è colto come tale solo quando la manifestazione dell’originario non è disgiunta dalla libera decisione dell’uomo di guardare-in-volto (envisager) la presenza sacramentale, per cui legittimare l’ulteriorità della trascendenza come condizione dell’esperienza umana non appare percorribile laddove si mette in secondo piano la concretezza dell’atto con cui l’uomo scegliendo riconosce l’alterità di Dio come ciò che autorizza efficacemente la sua libertà aprendole l’orizzonte ultimo dell’intenzionalità» (p. 194: corsivi nel testo). Di fatto il soggetto umano è così, e l’evento della celebrazione va posto a fondamento di una rinnovata teologia sacramentale perché nella celebrazione diventa riconoscibile «la donazione in atto della salvezza di Dio a fronte di una particolare situazione antropologica letta nella prospettiva di una libertà che aspira al proprio compimento, senza tuttavia poter dedurlo né da un’evidenza concettuale né dalla struttura trascendentale della propria libertà» (pp. 197-198): il che è precisamente il sacramento.
La critica talora accesa e aspra di Janicaud per smontare le indicazioni di Marion prosegue nel successivo passaggio, intitolato L’esperienza dell’uomo e la «presenza di Dio», critica ovviamente contro il “dimagrimento” della fenomenologia per far posto alla trascendenza. In tale luce Nicola Reali si impegna a verificare l’impostazione di Marion perché vi vede in gioco la plausibilità fenomenologica dell’evento della celebrazione sacramentale come modello adatto a pensare la relazione Dio/uomo, in quanto unità degli stili del vivere umano (cf. pp. 204 e 218). Janicaud in realtà difende la drammaticità della vicenda umana, e tuttavia la sua reazione violenta contro orientamenti non minimalisti verso tale drammaticità non nasconde il suo totale disimpegno in sede propositiva. Marion invece si impegna elaborando la nozione di fenomeno saturo, pura possibilità donata sotto il segno della kenosi, fenomeno colto nel sacramento eucaristico e in grado di salvare la libera scelta umana (cf. pp. 208, 216, 237). La critica di Janicaud serve da filo conduttore anche nelle successive pagine, dove Marion difende la donazione come fenomeno ed evidenzia il suo presupposto filosofico fondamentale: «l’indagine su qualsiasi fenomeno è una domanda sul grado di donazione presente nel fenomeno stesso» (p. 235); l’eucaristia è una donazione aldilà dell’essere e del soggetto, senza analogie nel mondo “naturale”. In tale luce viene evocato l’argomentare di s. Anselmo con una esegesi interessante e l’apporto dello Pseudo-Dionigi che legge Dio nell’orizzonte della carità, non dell’essere. Janicaud rimprovera Marion anche per la traduzione francese univoca dei termini tipici e spesso polisemici di Husserl e di Heidegger: ma anche qui N. Reali difende Marion dal “camaleontismo” di Janicaud (p. 249) che di Husserl e Heidegger evidenzia solo ciò che appoggia le sue critiche, tralasciando volutamente ciò che dà ragione a Marion.
La terza parte riprende conclusivamente il titolo del volume Fino all’abbandono lasciando sperare in un approdo alla teologia sacramentaria, dopo aver attraversato “paesaggi filosofici” come tappa obbligata per una intelligenza profonda di ciò che fa essere l’atto di fede sul terreno dell’umano: il sacramento mette in gioco nell’esperienza dell’uomo la presenza della trascendenza divina. Nel significativo passaggio Ex-porsi per porsi (pp. 255ss.) la fenomenalità appare come tale soltanto se il filosofo si lascia coinvolgere senza presunzione di com-prenderla, presunzione che caratterizza la metafisica in un tentativo legittimo ma sempre pericoloso: i fenomeni hanno diritto di porre le regole della comprensione. In tale luce l’eucaristia si prospetta occasione privilegiata, perché in quanto sacramento può auto-dispiegare la sua comprensione, come prolungamento del modo in cui Dio si dà in Gesù Cristo: una donazione kenotica, ossia assoluta, fino all’abbandono (cf. p. 257). L’eucaristia dice la fenomenalità dell’abbandono: la sua res è res mistica, non ontica: diventa comprensibile solo nell’ermeneutica auto-referenziale del Verbo, con lo scarto dell’appello divino: Emmaus insegna! La donazione rimane categoria senza pretese di com-prendere, perché ogni dono è dato aldilà della spiegazione e della soggettività trascendentale. Il soggetto stesso deve ricevere anche se stesso da ciò che riceve nella figura dell’adonato. «Così la verità teologica non implica la messa tra parentesi o il discredito del contingente, giacché il luogo proprio dell’affermazione su Dio è l’esperienza storica, la quale trova nella celebrazione un luogo privilegiato in cui esprimersi nella forma “oggettiva” di un sapere pre-teoretico inoggettivabile» (p. 269).
Chi firma questo abbozzo di sintesi della fatica di Nicola Reali, pur avvertendo forte la sensazione di aver attraversato un territorio a lui abbastanza sconosciuto (in parte rimastogli tale anche dopo l’impegnativa lettura), sinceramente confessa il proprio stupore dinanzi alla capacità analitico-esegetica del docente dell’Università Lateranense nei confronti della proposta filosofica di Jean-Luc Marion; ammira l’umiltà del giovane teologo che, per raggiungere il dottorato in teologia, si mette alla scuola di un maestro filosofo d’Oltralpe, onde lasciarsi stimolare ad imparare ulteriori orizzonti, in un confronto ricettivo, che sarà fruttuoso probabilmente ben oltre questo volume. Sintomatico è il fatto che al recensore resti profondo il desiderio di ripercorrere queste trecento pagine per cogliere in seconda lettura ciò che un primo approccio lascia solo intuire nell’intreccio continuo e coraggioso tra filosofia e teologia.
Alcune perplessità vanno aggiunte. La prima è probabilmente ascrivibile ai limiti culturali del recensore e si concretizza nella accennata difficoltà linguistica, sofferta nella lettura del volume: anche Nicola Reali sembra avvertirla, sforzandosi di ridire il suo pensiero “in altri termini” (ritornello ripetuto molto spesso, anche se i “termini nuovi” il più delle volte non si discostano di molto dal linguaggio elitario precedente). L’augurio va nel senso di una maggiore “preoccupazione” comunicativa, trattandosi, nel caso di Reali, di un docente che dovrà necessariamente comunicare con alunni e colleghi talora caratterizzati da estrazione culturale-linguistica “lontana” e che dovrà probabilmente offrire la sua competenza in vari servizi ecclesiali. Una seconda perplessità tocca più il contenuto del volume. L’eucaristia suggerisce a Marion un’ottima sponda per la sua riflessione filosofica e ne pilota lo sviluppo teoretico per la sua fenomenologia; ma l’eucaristia nelle trecento pagine del volume di Reali, almeno quantitativamente, gioca un ruolo abbastanza marginale e implicito, se abbiamo letto bene; l’appello all’eucaristia è presente a frammenti ricorrenti ma forse insufficienti per una logica sacramentale da esplicitare: un disegno completato teologicamente alla fine ci stava. È sintomatico che nelle venti pagine conclusive, dove il lettore è in attesa di poter apprezzare un rimbalzo sintetico della fecondità eucaristica della riflessione su Marion, il filosofo francese scompare dalla scena, e N. Reali si appoggia al suo maestro Sergio Ubbiali e all’amico Piero Coda. Ancora: l’apprezzamento per la teologia eucaristica postridentina, leggibile nelle critiche di Marion verso la teologia successiva al Vaticano II (ma cf. anche la nota a p. 255), andrebbe preso con attenzione critica, se non altro perché un concilio Vaticano II ha offerto una proposta eucaristica che non si riduce alla riforma concreta pastorale, ma ha fatto tesoro (il più delle volte per brevi cenni sintetici, ma non insignificanti) degli studi offerti dai movimenti biblico-patristico- liturgico-ecumenico. Proprio tale attenzione potrebbe portare alla discrezione su termini come “ripetizione” e “mediazione” usati per l’eucaristia nelle ultime pagine del bel volume.
Il testo è dedicato da Nicola Reali “ai miei amici”. Nonostante l’abisso anagrafico che separa il sottoscritto dal giovane teologo dell’Università Lateranense e le perplessità espresse sul suo lavoro, anche chi firma queste righe desidererebbe entrare come destinatario della dedica e restare una voce in questo coro amicale, avendo conosciuto e apprezzato N. Reali non solo per le sue doti organizzative durante un congresso teologico romano.
Nell’Introduzione l’a. contestualizza la teologia sacramentale attuale, indicando in Rahner e von Balthasar gli ispiratori di un recupero della verità nella storia dell’uomo, oltre l’astrattezza dei manuali, in un dialogo attento con la disciplina filosofica. La forma sacramentale è in grado di chiarificare allora i con-torni della realtà entro la quale l’uomo vive la sua esistenza concreta nella dinamica della libertà. Gli itinerari teologici di Chauvet, Ganoczy e Ubbiali precisano ulteriormente il quadro, sottolineando il dovere di rispondere alle provocazioni dell’epoca recente. In tale contesto si colloca anche lo studio di Nicola Reali: esso si propone «la finalità di interrogarsi sul rilievo che una teoria filosofica in chiave fenomenologica può donare alla riflessione sul sacramento» (p. 36). Rifacendosi alla riflessione di Jean-Luc Marion, che a sua volta si lascia provocare dal tipo di presenza messa in campo dall’eucaristia come dono donato (don donné), l’a. precisa il suo disegno fitto e coerente, per apprezzare il quale è severamente proibito distrarsi.
Sotto il titolo L’eucaristia presenza donata. Per una fenomenologia della donazione la prima lunga parte del volume sottolinea la centralità della categoria della donazione nel pensiero di Marion, che coglie nell’eucaristia il fattore decisivo di revisione del moderno in quanto essa attesta una forma di presenza che l’uomo non può padroneggiare a proprio piacimento. In un primo passaggio si segnala perciò il superamento di una duplice riduzione, antropologica e ontologica. Anzitutto viene superata la riduzione antropologica perché la specificità del sacramento, rispettato nel suo darsi concreto e non giudicato in base a un a priori che il soggetto già conosce a livello intellettuale, implica una rimessa in gioco di tutta la concettualità implicata. In luce eucaristica Marion oltrepassa Husserl e Kant, cancellando ogni predeterminazione del soggetto: il darsi precede l’intuizione e ne abolisce i limiti kantiani. Alla fine del ragionamento Marion «giunge a legittimare il programmatico “allargamento” sulla base del diritto riconosciuto alla donazione di specificare essa stessa ciò che di fatto appartiene al campo della fenomenalità» (p. 60). L’uomo è se stesso in quanto imprevedibilmente appartiene alla logica della donazione e alla sua fenomenologia; il rapporto tra soggetto e oggetto presuppone una relazione di inclusione che ingloba l’autonomia del soggetto nella donazione dei fenomeni. Nel dibattito postconciliare riguardante la transustanziazione eucaristica e nei tentativi di riespressione linguistica Marion intuisce perciò un possibile rischio di idolatria in quanto l’uomo sembra pretendere di misurare il mistero di Dio.
Marion supera anche una seconda riduzione, quella ontologica in cui Dio resta limitato e rappreso a priori nell’essere. Nell’eucaristia Dio si manifesta nella storia attraverso una logica che comporta la progressiva assunzione della realtà cruda anche delle cose, esponendosi così alla inattenzione dell’uomo. Qui va opportunamente richiamata la differenza tra presenza e cosa: la presenza è legata allo “spazio del senso” coglibile solo nell’amore capace di superare la cosalità. Nell’eucaristia Dio si dona presente nella cosa (il pane spezzato), esponendosi al rischio del non-amore incapace di superare la distanza.
Si chiarificano così i nodi teoretici su cui Marion edifica il progetto di una fenomenologia della donazione implicanti lo scarto tra l’intuizione dell’uomo (e la realtà a lui data nell’intuizione) e il mostrarsi tramite indizio. Alla luce della rivelazione la fenomenologia si propone come metodo di manifestazione dell’invisibile attraverso i suoi fenomeni indiziali (cf. p. 78). Il confronto con Heidegger, con Bultmann, con Rahner, porta Marion a ribadire che l’unico a priori dei fenomeni è la loro donazione. Si comprende così la simpatia del pensatore francese per Dionigi che, rispetto a Tommaso e ad Heidegger, dà il primato al dono sull’essere, sottolineando così la rilevanza dell’esperienza liturgica nella preghiera e nella lode.
L’eucaristia come fenomeno saturo. Trascendenza della verità e possibilità della libertà: sotto tale titolo il secondo passaggio della prima parte configura l’itinerario riflessivo idoneo a pensare la presenza di Cristo nell’eucaristia alla luce della rivelazione. La tesi che soggiace individua nella rivelazione un fenomeno «così saturo di donazione al punto di dare smisuratamente di più di ciò che l’intenzione può prendere di mira o pre-vedere» (p. 100: i corsivi sono nel testo). Nella sua luce l’eucaristia costringe il pensiero filosofico a istituire una figura di soggettività convocata a decidersi non solo per l’indisponibilità del fondamento, ma più radicalmente per la sua stessa indisponibilità ad esserci compiutamente: la rivelazione segnala una donazione al di là dell’essere e la fede un Io al di fuori dell’essere (cf. p. 103). Dopo una rivisitazione di Husserl e Heidegger sull’intuizione e una parziale riabilitazione di Descartes e Kant, N. Reali segue Marion nell’esaminare l’eucaristia come fenomeno saturo per eccellenza in quanto attesta l’assoluto primato della donazione. L’eucaristia mette in campo una nozione di realtà che deve aprirsi verso aspetti di invisibilità, per cui l’atteggiamento antropologico adeguato sta nella contemplazione orante come relazione dell’uomo alla realtà in quanto tale. Il teologo in particolare deve lasciarsi dire dal Verbo un campo referenziale sconosciuto in naturalibus: la preghiera porta al di là del “qui e ora disponibile” e il fenomeno saturo s’impone il più sovente grazie allo stupore. Si esplicita qui la preoccupazione fondamentale della fenomenologia di Marion: «impedire alla radice ogni possibile subordinazione dei fenomeni all’a priori antropologico della soggettività trascendentale sulla base della irriducibilità della realtà alla sua determinazione ontica» (p. 126). Il fenomeno saturo provoca una inversione del rapporto io/fenomeno: è il fenomeno che si impone. L’esperienza fenomenica comune dell’uomo è apprezzabile solo nella misura in cui accetta di lasciare ridefinire le proprie qualità espressive dalla donazione stessa con un rovesciamento dei canoni consueti dell’esperienza. L’evento cristologico esaminato filosoficamente è fenomeno saturo in quanto riassume in sé le caratteristiche della saturazione, richiedente all’uomo l’atteggiamento della veglia e dell’attesa, accompagnate dalla rinuncia ad ogni previsione e ad ogni possesso come nell’episodio evangelico del giovane ricco. L’eucaristia si propone senza analogia con il mondo naturale, perché concretizza una donazione al di là dell’essere e del soggetto.
Nell’ultimo tratto della prima parte, sotto il titolo L’adonato (l’adonné): il rapporto verità/bene, Nicola Reali prende in esame il momento antropologico del ragionamento di Marion: l’uomo è qualificato dal primato della rivelazione. Alcune illuminanti pagine sull’episodio di Emmaus (pp. 146-159) lasciano in-tuire nella benedizione l’atteggiamento indispensabile dell’uomo come discepolo per accogliere il suo bene nel riconoscimento dell’identità di Dio. Qui la rivelazione divina conserva un legame con il soggetto che a sorpresa è costituito testimone in una vocazione: la donazione, donandosi, autorizza il soggetto a parteci-parvi attivamente, segnalando così il carattere indiviso del bene dell’uomo e della verità da lui indeducibile.
Conclusa, almeno parzialmente, l’esegesi puntuale del dettato di J.-L. Marion, che da filosofo legge il fatto sacramentale eucaristico come suggerimento filosofico di apertura al futuro e al mistero, la seconda parte dello studio di N. Reali affronta la provocatoria e articolata critica di D. Janicaud nei confronti di Marion sotto il titolo Una svolta teologica della fenomenologia? In effetti Marion, escludendo preclusioni pregiudiziali sul momento teologico, si colloca in una ampia tradizione europea di reciproca stimolazione tra filosofia e teologia, tradizione interrotta dall’isolamento della Neoscolastica (cf. la nota di p. 161). Janicaud teme un riaffacciarsi della metafisica nella fenomenologia proprio in questo contagio e interesse verso il trascendente, oltre i fenomeni, compreso quello religioso: la sua critica tende a squalificare da subito Marion segnalando l’impertinenza della sua ricezione delle tesi di Heidegger e giudicando quella di Marion una lettura impropria anche di Husserl, lettura che porterebbe con sé il desiderio della metafisica del filosofo tedesco. Marion ritiene invece che pensare fenomenologicamente è impossibile prescindendo dall’esperienza storicamente situata della soggettività antropologica (cf. p. 174). Il fatto sacramentale è fenomeno da esaminare con rigore filosofico: non è affatto oblio della fattualità delle forme simboliche, ma autentico “ritorno alle cose stesse” segnalante l’ulteriorità della verità che rende la protensione dell’uomo al proprio compimento realmente attuabile. Per Janicaud la fenomenologia deve restare rigorosamente atea nel senso che deve limitarsi a descrivere i fenomeni così come sono, constatando l’assenza di Dio nella nostra esperienza sensibile (cf. p. 184): egli colloca il tornante teologico di Marion sulla scia delle ambiguità del secondo Heidegger, viziato dall’oblio della concretezza che registra appunto l’assenza di Dio. Invece, proprio per la fedeltà alle “cose stesse” che la fenomenologia vorrebbe garantire, Marion assegna un ruolo specifico alla soggettività nel movimento di protensione ex-statica dell’uomo verso il suo proprio compimento. In tale protensione il soggetto ha sempre istituito figure simboliche, tra cui quelle peculiari liturgico-sacramentali cristiane. «Di fatto il fenomeno sacramentale è colto come tale solo quando la manifestazione dell’originario non è disgiunta dalla libera decisione dell’uomo di guardare-in-volto (envisager) la presenza sacramentale, per cui legittimare l’ulteriorità della trascendenza come condizione dell’esperienza umana non appare percorribile laddove si mette in secondo piano la concretezza dell’atto con cui l’uomo scegliendo riconosce l’alterità di Dio come ciò che autorizza efficacemente la sua libertà aprendole l’orizzonte ultimo dell’intenzionalità» (p. 194: corsivi nel testo). Di fatto il soggetto umano è così, e l’evento della celebrazione va posto a fondamento di una rinnovata teologia sacramentale perché nella celebrazione diventa riconoscibile «la donazione in atto della salvezza di Dio a fronte di una particolare situazione antropologica letta nella prospettiva di una libertà che aspira al proprio compimento, senza tuttavia poter dedurlo né da un’evidenza concettuale né dalla struttura trascendentale della propria libertà» (pp. 197-198): il che è precisamente il sacramento.
La critica talora accesa e aspra di Janicaud per smontare le indicazioni di Marion prosegue nel successivo passaggio, intitolato L’esperienza dell’uomo e la «presenza di Dio», critica ovviamente contro il “dimagrimento” della fenomenologia per far posto alla trascendenza. In tale luce Nicola Reali si impegna a verificare l’impostazione di Marion perché vi vede in gioco la plausibilità fenomenologica dell’evento della celebrazione sacramentale come modello adatto a pensare la relazione Dio/uomo, in quanto unità degli stili del vivere umano (cf. pp. 204 e 218). Janicaud in realtà difende la drammaticità della vicenda umana, e tuttavia la sua reazione violenta contro orientamenti non minimalisti verso tale drammaticità non nasconde il suo totale disimpegno in sede propositiva. Marion invece si impegna elaborando la nozione di fenomeno saturo, pura possibilità donata sotto il segno della kenosi, fenomeno colto nel sacramento eucaristico e in grado di salvare la libera scelta umana (cf. pp. 208, 216, 237). La critica di Janicaud serve da filo conduttore anche nelle successive pagine, dove Marion difende la donazione come fenomeno ed evidenzia il suo presupposto filosofico fondamentale: «l’indagine su qualsiasi fenomeno è una domanda sul grado di donazione presente nel fenomeno stesso» (p. 235); l’eucaristia è una donazione aldilà dell’essere e del soggetto, senza analogie nel mondo “naturale”. In tale luce viene evocato l’argomentare di s. Anselmo con una esegesi interessante e l’apporto dello Pseudo-Dionigi che legge Dio nell’orizzonte della carità, non dell’essere. Janicaud rimprovera Marion anche per la traduzione francese univoca dei termini tipici e spesso polisemici di Husserl e di Heidegger: ma anche qui N. Reali difende Marion dal “camaleontismo” di Janicaud (p. 249) che di Husserl e Heidegger evidenzia solo ciò che appoggia le sue critiche, tralasciando volutamente ciò che dà ragione a Marion.
La terza parte riprende conclusivamente il titolo del volume Fino all’abbandono lasciando sperare in un approdo alla teologia sacramentaria, dopo aver attraversato “paesaggi filosofici” come tappa obbligata per una intelligenza profonda di ciò che fa essere l’atto di fede sul terreno dell’umano: il sacramento mette in gioco nell’esperienza dell’uomo la presenza della trascendenza divina. Nel significativo passaggio Ex-porsi per porsi (pp. 255ss.) la fenomenalità appare come tale soltanto se il filosofo si lascia coinvolgere senza presunzione di com-prenderla, presunzione che caratterizza la metafisica in un tentativo legittimo ma sempre pericoloso: i fenomeni hanno diritto di porre le regole della comprensione. In tale luce l’eucaristia si prospetta occasione privilegiata, perché in quanto sacramento può auto-dispiegare la sua comprensione, come prolungamento del modo in cui Dio si dà in Gesù Cristo: una donazione kenotica, ossia assoluta, fino all’abbandono (cf. p. 257). L’eucaristia dice la fenomenalità dell’abbandono: la sua res è res mistica, non ontica: diventa comprensibile solo nell’ermeneutica auto-referenziale del Verbo, con lo scarto dell’appello divino: Emmaus insegna! La donazione rimane categoria senza pretese di com-prendere, perché ogni dono è dato aldilà della spiegazione e della soggettività trascendentale. Il soggetto stesso deve ricevere anche se stesso da ciò che riceve nella figura dell’adonato. «Così la verità teologica non implica la messa tra parentesi o il discredito del contingente, giacché il luogo proprio dell’affermazione su Dio è l’esperienza storica, la quale trova nella celebrazione un luogo privilegiato in cui esprimersi nella forma “oggettiva” di un sapere pre-teoretico inoggettivabile» (p. 269).
Chi firma questo abbozzo di sintesi della fatica di Nicola Reali, pur avvertendo forte la sensazione di aver attraversato un territorio a lui abbastanza sconosciuto (in parte rimastogli tale anche dopo l’impegnativa lettura), sinceramente confessa il proprio stupore dinanzi alla capacità analitico-esegetica del docente dell’Università Lateranense nei confronti della proposta filosofica di Jean-Luc Marion; ammira l’umiltà del giovane teologo che, per raggiungere il dottorato in teologia, si mette alla scuola di un maestro filosofo d’Oltralpe, onde lasciarsi stimolare ad imparare ulteriori orizzonti, in un confronto ricettivo, che sarà fruttuoso probabilmente ben oltre questo volume. Sintomatico è il fatto che al recensore resti profondo il desiderio di ripercorrere queste trecento pagine per cogliere in seconda lettura ciò che un primo approccio lascia solo intuire nell’intreccio continuo e coraggioso tra filosofia e teologia.
Alcune perplessità vanno aggiunte. La prima è probabilmente ascrivibile ai limiti culturali del recensore e si concretizza nella accennata difficoltà linguistica, sofferta nella lettura del volume: anche Nicola Reali sembra avvertirla, sforzandosi di ridire il suo pensiero “in altri termini” (ritornello ripetuto molto spesso, anche se i “termini nuovi” il più delle volte non si discostano di molto dal linguaggio elitario precedente). L’augurio va nel senso di una maggiore “preoccupazione” comunicativa, trattandosi, nel caso di Reali, di un docente che dovrà necessariamente comunicare con alunni e colleghi talora caratterizzati da estrazione culturale-linguistica “lontana” e che dovrà probabilmente offrire la sua competenza in vari servizi ecclesiali. Una seconda perplessità tocca più il contenuto del volume. L’eucaristia suggerisce a Marion un’ottima sponda per la sua riflessione filosofica e ne pilota lo sviluppo teoretico per la sua fenomenologia; ma l’eucaristia nelle trecento pagine del volume di Reali, almeno quantitativamente, gioca un ruolo abbastanza marginale e implicito, se abbiamo letto bene; l’appello all’eucaristia è presente a frammenti ricorrenti ma forse insufficienti per una logica sacramentale da esplicitare: un disegno completato teologicamente alla fine ci stava. È sintomatico che nelle venti pagine conclusive, dove il lettore è in attesa di poter apprezzare un rimbalzo sintetico della fecondità eucaristica della riflessione su Marion, il filosofo francese scompare dalla scena, e N. Reali si appoggia al suo maestro Sergio Ubbiali e all’amico Piero Coda. Ancora: l’apprezzamento per la teologia eucaristica postridentina, leggibile nelle critiche di Marion verso la teologia successiva al Vaticano II (ma cf. anche la nota a p. 255), andrebbe preso con attenzione critica, se non altro perché un concilio Vaticano II ha offerto una proposta eucaristica che non si riduce alla riforma concreta pastorale, ma ha fatto tesoro (il più delle volte per brevi cenni sintetici, ma non insignificanti) degli studi offerti dai movimenti biblico-patristico- liturgico-ecumenico. Proprio tale attenzione potrebbe portare alla discrezione su termini come “ripetizione” e “mediazione” usati per l’eucaristia nelle ultime pagine del bel volume.
Il testo è dedicato da Nicola Reali “ai miei amici”. Nonostante l’abisso anagrafico che separa il sottoscritto dal giovane teologo dell’Università Lateranense e le perplessità espresse sul suo lavoro, anche chi firma queste righe desidererebbe entrare come destinatario della dedica e restare una voce in questo coro amicale, avendo conosciuto e apprezzato N. Reali non solo per le sue doti organizzative durante un congresso teologico romano.
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