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La libertà oltre il male. Discussione con Piero Coda ed Emanuele Severino
(Teologia)EAN 9788831132909
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DETTAGLI DI «La libertà oltre il male. Discussione con Piero Coda ed Emanuele Severino»
Tipo
Libro
Titolo
La libertà oltre il male. Discussione con Piero Coda ed Emanuele Severino
Autore
Donà Massimo
Editore
Città Nuova
EAN
9788831132909
Pagine
112
Data
gennaio 2006
Peso
132 grammi
Dimensioni
13 x 20 cm
Collana
Teologia
COMMENTI DEI LETTORI A «La libertà oltre il male. Discussione con Piero Coda ed Emanuele Severino»
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Recensione di Francesco De Carolis della rivista Studia Patavina
Il dialogo fra filosofia e teologia è «fatto» antico tanto quanto la specifica vicenda storica delle due discipline in questione: «La filosofia (nel significato assegnatole per la prima volta in Grecia nel corso del V secolo a.C.) e la teologia (l’orizzonte nel cui contesto si sarebbe cominciato a sviluppare un logos intorno a Dio, almeno a partire dai primi grandi commenti alle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento) hanno sempre dialogato, anche là dove la loro distanza poteva sembrare davvero insormontabile» (p. 7). Massimo Donà argomenta questa sua convinzione con il richiamo ad Aristotele, il quale, non senza connessione con le tesi di Platone, rammentò come la riflessione sull’essere, cioè sulla problematica «totalità» dell’ente, deve pur sempre approdare alla teologia. Infatti, il termine composto, teologia, contiene intrinsecamente il riferimento all’eterno, ma anche quello al logos della filosofia.
Si tratta di un dialogo necessario, ma anche difficile. Ciò può essere ascritto a reciproci fraintendimenti, dovuti a radicali razionalismi o fideismi. Tuttavia, nota ancora Donà, un dialogo è possibile, soprattutto quando alla domanda filosofica di radicalità il teologo risponde, in piena autonomia dialogica, mediante l’esibizione dei motivi di fondo della sua fede e del proprio richiamo alla Rivelazione. Il teologo può chiedere, a sua volta, al filosofo di non chiudersi in una preventiva esclusione dalla Rivelazione, ma di mantenersi aperto a quanto la fede scopre e propone, inquietando e provocando la ragione filosofica.
Nell’ambito degli incontri dedicati al «dramma della forma», il dibattito, di cui l’autore dà relazione (p. 99), tra Piero Coda ed Emanuele Severino mostra rilevanti tratti di originalità, autenticità e dialogicità: «Da un lato il ferreo rigore argomentativi del filosofo del ‘destino’, teorico della necessità di un ‘essere’ pensato come tutto, in quanto tale, eterno, e dall’altro la disincantata e potentissima vis interrogante del teologo più autenticamente pericoretico del nostro tempo. Due voci, due modalità procedurali, due attitudini speculative, due prospettive di pensiero, ma un’unica e intensissima sinfonia» (p. 11). Riflettendo sui contributi dati in quell’occasione dai due interlocutori, Donà, in dialogo con essi ( p. 14 e p. 54), sa di portare la sua personale interpretazione, ma non considera ciò negativamente, se è vero che il dialogo, quasi riflesso trinitario, si apre costitutivamente e originariamente alla dimensione del «terzo», cioè a quella che, nel nostro orizzonte, è la comunità dialogica.
La riflessione è chiamata a porsi sull’arduo terreno della libertà e del male: oltre lo scacco della libertà, si pongono la ricerca della salvezza come amore personale (Coda) e come Destino-Verità- Svelamento eterno dell’essere (Severino).
Coda anzitutto sostiene che la realtà, in quanto dinamismo, non è cosa ferma, chiusa e impenetrabile. Tale dinamismo richiede un principio originario, il quale deve essere svolgimento: siamo a quel dinamismo trinitario che è intrinseco alla Rivelazione cristiana. Nel cristianesimo la cretura e il creatore devono essere pensati in-uno: questo pensiero dell’unità è anche il pensiero dell’Incarnazione e dell’epilogo pasquale, cioè il movimento della salvezza che è comunione d’amore, la quale è l’unica prospettiva per superare non banalmente l’orizzonte del male. In questo senso, si leggeranno le pagine dedicate da Coda agli scritti di Luigi Pareyson: «il Padre è libero perché, amando il Figlio e donandosi, non realizza alcun destino necessario e neppure salva se stesso (come sembra pensare invece Pareyson, a proposito dell’originaria vittoria sul Bene, grazie a cui appunto, sarebbe stato evitato l’avvento del non-essere), ma, ben più semplicemente, ‘ è’ se stesso- questo il punto! - , e non diversamente da come lo sarebbe stato a prescindere da tale atto d’amore. Né guadagna né perde nulla, dunque, l’amante; e neppure l’amato. Ché, se di ciò si trattasse, è evidente, mera parvenza di libertà sarebbe quella connessa a una scelta comunque operata in vista di un determinato guadagno» (p. 41).
Emanuele Severino, a sua volta, ricorda che la cultura occidentale non si fonda pienamente sulla ragione, ma anzitutto su una fede, quella che ogni cosa soggetta al divenire viene dal nulla e ritorna nel nulla: è da questa fede che vengono poi le diverse fedi che cercano di riparare a questo evento terribile, sconcertante e foriero di paura per un mondo che si inabissa nel nulla. Dunque, pensando a partire dalla verità questa condizione di sofferenza e di terrore, Severino enuncia il suo pensiero della gioia , la sua liberazione dal male e dall’errore è la verità che nulla è da salvare perché tutto è salvo.
Come osserva Donà, per il filosofo Severino e per il teologo Coda, la verità non può essere separabile dalla gioia. È questo un tratto comune ai due interlocutori: vi è in queste due riflessioni la presenza del problema, talora obliato o misconosciuto, della salvezza. Per Coda, però, la salvezza è nel divenire cristologico: essa si offre sul fondamento inoggettivabile della trascendenza. La salvezza è nel cuore stesso della libertà divina e nell’abisso che è origine imprendibile. Per Severino, la verità dell’essere conduce a salvazione: essa resta ed include anche l’errore degli uomini, allorché si volgono verso patrie false e illusorie. A questo punto, il male non si pone dinanzi alla gloria dell’essere: comprendere ciò sino in fondo è uscire dalla logica dell’ imposizione (p. 63): «l’errore deve apparire, affinché la verità possa brillare nella sua luce più piena» (p. 64).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Si tratta di un dialogo necessario, ma anche difficile. Ciò può essere ascritto a reciproci fraintendimenti, dovuti a radicali razionalismi o fideismi. Tuttavia, nota ancora Donà, un dialogo è possibile, soprattutto quando alla domanda filosofica di radicalità il teologo risponde, in piena autonomia dialogica, mediante l’esibizione dei motivi di fondo della sua fede e del proprio richiamo alla Rivelazione. Il teologo può chiedere, a sua volta, al filosofo di non chiudersi in una preventiva esclusione dalla Rivelazione, ma di mantenersi aperto a quanto la fede scopre e propone, inquietando e provocando la ragione filosofica.
Nell’ambito degli incontri dedicati al «dramma della forma», il dibattito, di cui l’autore dà relazione (p. 99), tra Piero Coda ed Emanuele Severino mostra rilevanti tratti di originalità, autenticità e dialogicità: «Da un lato il ferreo rigore argomentativi del filosofo del ‘destino’, teorico della necessità di un ‘essere’ pensato come tutto, in quanto tale, eterno, e dall’altro la disincantata e potentissima vis interrogante del teologo più autenticamente pericoretico del nostro tempo. Due voci, due modalità procedurali, due attitudini speculative, due prospettive di pensiero, ma un’unica e intensissima sinfonia» (p. 11). Riflettendo sui contributi dati in quell’occasione dai due interlocutori, Donà, in dialogo con essi ( p. 14 e p. 54), sa di portare la sua personale interpretazione, ma non considera ciò negativamente, se è vero che il dialogo, quasi riflesso trinitario, si apre costitutivamente e originariamente alla dimensione del «terzo», cioè a quella che, nel nostro orizzonte, è la comunità dialogica.
La riflessione è chiamata a porsi sull’arduo terreno della libertà e del male: oltre lo scacco della libertà, si pongono la ricerca della salvezza come amore personale (Coda) e come Destino-Verità- Svelamento eterno dell’essere (Severino).
Coda anzitutto sostiene che la realtà, in quanto dinamismo, non è cosa ferma, chiusa e impenetrabile. Tale dinamismo richiede un principio originario, il quale deve essere svolgimento: siamo a quel dinamismo trinitario che è intrinseco alla Rivelazione cristiana. Nel cristianesimo la cretura e il creatore devono essere pensati in-uno: questo pensiero dell’unità è anche il pensiero dell’Incarnazione e dell’epilogo pasquale, cioè il movimento della salvezza che è comunione d’amore, la quale è l’unica prospettiva per superare non banalmente l’orizzonte del male. In questo senso, si leggeranno le pagine dedicate da Coda agli scritti di Luigi Pareyson: «il Padre è libero perché, amando il Figlio e donandosi, non realizza alcun destino necessario e neppure salva se stesso (come sembra pensare invece Pareyson, a proposito dell’originaria vittoria sul Bene, grazie a cui appunto, sarebbe stato evitato l’avvento del non-essere), ma, ben più semplicemente, ‘ è’ se stesso- questo il punto! - , e non diversamente da come lo sarebbe stato a prescindere da tale atto d’amore. Né guadagna né perde nulla, dunque, l’amante; e neppure l’amato. Ché, se di ciò si trattasse, è evidente, mera parvenza di libertà sarebbe quella connessa a una scelta comunque operata in vista di un determinato guadagno» (p. 41).
Emanuele Severino, a sua volta, ricorda che la cultura occidentale non si fonda pienamente sulla ragione, ma anzitutto su una fede, quella che ogni cosa soggetta al divenire viene dal nulla e ritorna nel nulla: è da questa fede che vengono poi le diverse fedi che cercano di riparare a questo evento terribile, sconcertante e foriero di paura per un mondo che si inabissa nel nulla. Dunque, pensando a partire dalla verità questa condizione di sofferenza e di terrore, Severino enuncia il suo pensiero della gioia , la sua liberazione dal male e dall’errore è la verità che nulla è da salvare perché tutto è salvo.
Come osserva Donà, per il filosofo Severino e per il teologo Coda, la verità non può essere separabile dalla gioia. È questo un tratto comune ai due interlocutori: vi è in queste due riflessioni la presenza del problema, talora obliato o misconosciuto, della salvezza. Per Coda, però, la salvezza è nel divenire cristologico: essa si offre sul fondamento inoggettivabile della trascendenza. La salvezza è nel cuore stesso della libertà divina e nell’abisso che è origine imprendibile. Per Severino, la verità dell’essere conduce a salvazione: essa resta ed include anche l’errore degli uomini, allorché si volgono verso patrie false e illusorie. A questo punto, il male non si pone dinanzi alla gloria dell’essere: comprendere ciò sino in fondo è uscire dalla logica dell’ imposizione (p. 63): «l’errore deve apparire, affinché la verità possa brillare nella sua luce più piena» (p. 64).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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